"Noè trovò grazia agli occhi del Signore"(Gn 6,8)
Sono un'umile scriba, divenuta discepola del regno dei cieli, simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche.
"Noè trovò grazia agli occhi del Signore"(Gn 6,8)
"Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me" (Mc7,6)
"Tutti ti cercano!" (Mc1,37)
Tutti ti cercano Signore volontariamente, inconsciamente, sentiamo tutti bisogno di verità, di senso, di amore, di eternità, di bene, di pace, di felicità.
Signore ti cerchiamo nei posti sbagliati, nel modo sbagliato, ti cerchiamo per motivi egoistici perché alla fine dei conti pensiamo solo a noi stessi, al nostro tornaconto e degli altri, specie se non li vediamo, non ci importa nulla.
E anche quelli che vivono con noi, quelli che incrociamo sulla nostra strada, facciamo finta di non conoscerli.
Signore tu lo sai.
Abbiamo la memoria corta, ma anche la memoria colpevole perché, quando qualcuno ci fa del male o solo contrasta i nostri piani, lo condanniamo a morte.
Tu sei venuto Signore a instaurare il tuo regno, a riportare l'uomo all'unica vera radice, all'unico nutrimento che non fa morire, all'unica verità che ci accomuna, ma non siamo capaci Signore di starti dietro.
Anche se abbiamo abbondantemente usufruito del tuoi benefici, anche se sappiamo che la nostra vita senza di te vale meno che nulla, ci comportiamo come ciechi, muti, sordi, storpi, lebbrosi, guariti, ci ammaliamo e abbiamo continuamente bisogno del medico che ci guarisca.
Signore ci sono momenti in cui la tua vicinanza è così palpabile, così percepibile che mi sembra assurdo preoccuparmi, lamentarmi, anche solo per dirti ciò che già tu conosci.
Sono momenti di intimità, di paradiso, che però non durano e questo non mi piace.
Specie quando poi mi risucchia la vita con le sue esigenze di vigilanza, di deserto, di solitudine, di dolore, di affanno, occasioni difficili, solitudine.
Signore io vorrei che tu fossi sempre con me, che io possa trovarti quando il bisogno di te è grande.
A volte mi fai restare a digiuno per un tempo che a me sembra insostenibile, a volte il mio cuore si chiude, quando mi trovo nel deserto e il calore del sole mi brucia la pelle, l'assenza di acqua mi infuoca la gola, la sabbia si estende a perdita d'occhio e niente mi indica la direzione .
La sofferenza non si placa, il martirio è quotidiano, di notte e di giorno c'è sempre qualcosa o qualcuno che mi richiama al limite, alle corde impazzite del corpo, la prigione da cui non posso venire liberata.
Io ti cerco perché, quando tu sei con me, questa stanza non ha più parenti, questa casa non è più luogo di lupi solitari, ma soffia attraverso le finestre spalancate la dolce brezza di primavera e i tiepidi raggi del sole si posano sulle mie membra dolenti.
Quando ci sei tu Signore tutto cambia colore, sapore, tutto si trasforma.
Penso che non sei tu che te ne vai, riflettendo sulla Parola che la liturgia di oggi ci propone alla riflessione, ma io che non sono capace di starti dietro.
A volte mi stanco di pregare quando sto un po' meglio, ti cerco di meno appagata da quello che umanamente posso fare, mi piace fare.
Ma la cosa che più mi dispiace è l'incapacità di fare comunione con i miei fratelli, occupata a fuggire dalla bestia che mi perseguita.
Mi sembra di fare ben poco per te Signore, per i fratelli che tu mi hai affidato.
Mi sembra che la mia vita si snodi su un unico binario, quello che porta a liberarmi dal dolore di turno, dalla sofferenza insostenibile che mi provocano le corde tirate del corpo, i lacci, i legami, le bende, i tendini, i muscoli che intrecciano danze fin dentro le midolla.
Come pensare a fare del bene agli altri, quando sono così imprigionata, legata, sofferente?
Un tempo avevo messo al primo posto l'altro, pensando che dovevo amare, servire il mio prossimo senza curarmi di me.
Ci fu qualcuno che mi disse che dell'altro avevo fatto un idolo e che dovevo prima amare me stessa perché altrimenti l'amore era imperfetto.
Se non ami te stesso, non riesci ad amare nessun altro.
Mi sembravano parole vane e vuote e bugiarde e non le compresi allora.
Poi, quando, nonostante gli sforzi, non riuscendo a cavar un ragno dal buco, ricominciai da Maria, andai da lei e le chiesi di aiutarmi in questo cammino di ricerca, di conoscenza della verità che rende liberi.
Così Maria pian piano mi ha condotto per mano con il suo sì a riconoscermi figlia del Padre, a rientrare nella sua casa, mi ha portato a vivere la gioia e la sicurezza che ne veniva dall' essere figlia di Dio.
Mi ha insegnato ad essere figlia, Maria e per questo non finirò mai di ringraziarla, cominciando da quel “kaire”,( rallegrati )che mi aprì le porte della conoscenza..
Perché dovevo essere felice? Mi chiesi
Così scoprii che la felicità viene dal vivere la propria identità di figli di Dio.
Il fatto è che ora io me ne approfitto e spesso mi assolvo, perché ti attribuisco gli stessi sentimenti che un genitore nutre nei confronti dei figli, pronto a perdonare, abbracciare, curare, ammaestrare, consolare.
Io sento che tu sei mio Padre, che mi hai generato, sento che da te dipende ogni più piccolo soffio di vita.
Non riesco a vedere che te, a pensare a te, a vivere con te e per te anche se in modo molto molto imperfetto.
«Il Signore è mia luce e mia salvezza: di chi avrò timore?».Salmo 26
" Il Signore corregge colui che ama" ( Mc 5,34 )
Che vuoi da me, Gesù, Figlio del Dio altissimo? (Mc 5,7)
"Stillate cieli dall'alto"
Questa è la settimana della gioia, inaugurata domenica, quella gioia che mi conquistò quando entrai per la prima volta (in verità non era la prima, visto che avevo frequentato per 16 anni un istituto di suore, che a messa bene o male c'ero andata sempre, salvo gli ultimi anni) eppure mi viene di dire la prima volta che entrai in una chiesa.
Si entra con il corpo ma non con il cuore tante volte in una casa, in una storia, in una situazione.
Ecco quel giorno il corpo e il cuore erano sintonizzati se ne ricordo esattamente la data e le parole che ascoltai.
Era giunto il momento di accontentarsi di quello che la vita ti dava, di quello che riuscivi a vedere, sentire, fare.
Quel giorno era importante per me cercare una sedia al riparo dai rigori dell'inverno,in un luogo appartato e silenzioso, per starmene per conto mio.
Fu la gioia prorompente delle lodi del mattino che erano recitate in quella chiesa che mi svegliarono dal sonno e mi fecero tendere le orecchie.
Fu un giorno memorabile quello di una gioia scoperta lì dove mai avrei pensato.
La gioia nella Parola di Dio che non conoscevo e quella dei fedeli che la proclamavano con convinzione..
Erano pochi ma a me bastarono per invidiarli e desiderare di nutrirmi dello stesso cibo.
La mia vita è stata avara di gioie solevo dire fino a poco tempo fa e l'unica cosa che mi invidiano le persone è il marito che mi segue e mi accompagna.
Anche se sto in punto di morte sono una persona fortunata, a detta degli altri.
Anche io penso la stessa cosa... basta accontentarsi, come dice la Scrittura.
Ma io sono una che non si è mai accontentata, che ha sempre guardato non a quello che aveva ma a quello che mi mancava.
Non l'ho preteso dagli altri, però, ma da me stessa e ho cercato di rimediare cercando dentro di me tutto ciò che mi serviva per non soccombere.
Dio in questa storia dell'Antico Testamento, non ce l'ho fatto entrare e le mie gioie erano frutto di sudore, fatica, bravura mia e solo mia.
Oggi la liturgia da un lato ci pone la gioia annunciata a Sion, a Israele, a noi, uno per uno, perchè è finita la condanna, il dolore, il martirio, la persecuzione, la morte.
Ma la cosa sconvolgente è che Dio esulta di gioia per la sua sposa.
Mai abbastanza mi sazierò di questo Dio che si commuove, che soffre e che gioisce, che è vicino a noi nella gioia e nel dolore nella salute e nella malattia.
La perfezione non sta nell'impassibilità davanti ai nostri problemi, ma la sua partecipazione in anima e corpo a tutto ciò che ci affligge o ci fa stare bene.
" La gioia del Signore sia la nostra forza!"...Quando sentivo il sacerdote concedarci con queste parole non ho mai pensato alla sua, al suo cure di carne che esultava per la sua sposa.
Sono sempre più innamorata di questo Dio dal volto umano, un Dio che parla, che ama, che soffre, che spera.
Un Dio che ogni anno ci ripropone il mistero dell'incarnazione, la bellezza del nostro credo in una Persona viva che cammina con noi e che porta la parte più pesante del nostro bagaglio.
" Rallegrati piena di grazia, il Signore è con te!" disse l'angelo a Maria, annunciandogli il concepimento del Figlio di Dio destinato ad essergli Sposo per sempre.
Il cammino dell'Avvento è un cammino nuziale, perchè non puoi amare lo Sposo se non l'hai prima partorito, e non puoi essere madre se non hai fatto esperienza di essere figlia amata sopra ogni altra cosa dal tuo Creatore.
Il Natale è possibile se viviamo nell'ascolto della Parola che era in principio, che era presso Dio che era Dio come dice Giovanni.
Il cammino per partorire Gesù è quello di un'infinita miseria presentata a Dio perchè la trasformi in utero fecondo di gioia senza fine.
"Il Signore è vicino a chi lo cerca" (Salmo 33)
"Lo Spirito del Signore è sopra di me,mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio" (Is 61,1)
Ai tempi di Giovanni Battista era Dio a scegliere il profeta, non l'uomo a chiedere di diventarlo.
I tempi sono cambiati e in meglio da questo punto di vista,
Perchè ciò che il popolo di Israele aspettava è avvenuto, e noi abbiamo tutti gli strumenti per conoscere Dio e annunciarlo.
Nessuno sapeva come Dio era fatto, per questo era necessario che qualcuno si facesse portavoce della sua parola.
Oggi noi abbiamo il Vangelo che ci dà i connotati di colui che deve venire a cui non siamo degni di sciogliere neanche i legacci dei sandali.
Mi chiedo se noi cristiani, abbiamo l'umiltà necessaria per portare Cristo ai fratelli nella sua integrità, senza deformarne il volto, stravolgendo il senso del suo messaggio.
Giovanni Battista non cercava visibilità, tanto che si era ritirato nel deserto a contatto con l'essenziale, unica strada perchè Dio possa passare, entrare nella nostra storia, ingombra di pensieri, aspettative, giudizi e pregiudizi, condizionamenti di ogni tipo.
Il deserto è il luogo privilegiato dell'incontro con il Signore, perchè nel deserto sperimenti cosa vale e cosa è superfluo e puoi cogliere la voce di Dio anche quando è nascosta nel vento leggero.
Tutta la liturgia di oggi è incentrata sulla gioia, gioia dell'uomo che si sente oggetto delle attenzioni di Dio, che si sente amato da Dio, gioia prorompente che porta a testimoniarlo fino a mettere in gioco la propria vita.
" Io gioisco pienamente nel Signore","L'anima mia magnifica il Signore" dice il profeta Isaia, perchè è stato scelto per portare la bella notizia dell'amore che salva, ma lo dice anche Maria commentando il saluto della cugina Elisabetta che riconosce in lei la portatrice del Salvatore.
"State sempre lieti, pregate incessantemente, in ogni cosa rendete grazie" dice Paolo ai Tessalonicesi, perchè la gioia sia strumento per attendere con fiducia la venuta del Signore.
Il Battesimo ci consacra re, profeti e sacerdoti.
Anche noi , quindi siamo chiamati a vivere l'attesa con gioia e gratitudine perchè ognuno di noi è chiamato a far nascere Gesù, non cambiandogli i connotati.
"In mezzo a voi sta uno che non conoscete", dice Giovanni.
Chi conosce Gesù?
Chi è certo che la persona che ha incontrato sia proprio lui?
Quando ci innamoriamo pensiamo sempre che la persona giusta sia quella che ci ha fatto battere il cuore a prima vista.
Ma perchè l'amore duri devi frequentarla, ascoltarla, vedere quello che fa, ascoltare quello che dice e quello che ti dicono gli altri, amici e nemici.
E poi , la cosa più importante è che ti fa stare bene, perchè non ti giudica, ma ti ama a prescindere da quello che sei, fai, dici, taci.
Ti ama e basta.
La nostra condanna è il giudizio degli altri che ci inchioda, ci ingessa, ci costringe a recitare sempre una parte del tutto.
E io sono stanca di aspettare chi si accorga di me, sono stanca di aspettare che qualcuno si convinca che la vita con me è stata inclemente, stanca di aspettare che qualcuno si ricordi che esisto.
Quest'anno non ho voglia di mettere luci e festoni per la casa, non ho voglia di pranzi succulenti, nè di regali che tignola e ruggine corrodono.
Mi piacerebbe far felice qualcuno, questo sì e con questo spirito ho comprato i regali, nonostante la crisi.
Per la Parola di Dio, i calendari liturgici, non ho badato a spese perchè sulla Parola è peccato mortale risparmiare.
Non cerco visibilità o almeno cerco di evitarlo, non voglio che gli altri si accorgano di me perchè sono brava a scrivere, a confezionare cose originali con le mie mani, non voglio distinguermi per il numero di malattie, nè per la capacità di sopportare i dolori.
Vorrei tanto che le persone a cui sono legata attraverso la Parola di Dio incontrino Gesù e lo riconoscano.
Non voglio cambiargli i connotati, come un tempo facevo, dando importanza alla mia capacità di annunciare il Vangelo in modo chiaro e corretto.
Un tempo ero fiera del lettorato, perchè la mia voce forte e chiara arrivava a tutti e tutti capivano quello che Dio ci diceva nella messa.
Ora non leggo più, perchè non sto più in piedi, ogni giorno gli strumenti umani diminuiscono, diventano difettosi, per questo ti rendo lode, Padre, perchè mi stai portando nel deserto per farti incontrare in ciò che mi manca.
" A chi posso paragonare questa generazione?" (Mt 11,16-19)
" Giudicherà con giustizia i miseri"(Is 11,4)
Passiamo la vita a gareggiare per arrivare primi; per essere giudicati migliori, facciamo carte false.
E' una corsa al massacro e sono pochi quelli che si rassegnano a Qrimanere nella condizione di ultimi, piccoli, disprezzati, giudicati non ok per la nostra società che mette in palio sempre troppo pochi posti per sperare di farcela.
E' una lotta che contraddistingue le nostre relazioni perchè nessuno vuole sentirsi da meno rispetto agli altri, anche se si fa quotidianamente esperienza di fallimento perchè i sapienti, i bravi conoscono tutti i trucchi per raggiungere l'ambito obiettivo.
Quando poi ci capita una pagina del vangelo che contrasta vistosamente con ciò che ci hanno insegnato e che la società pretende da noi, rimaniamo spiazzati e non comprendiamo.
Ho sempre pensato che la Parola di Dio era rivolta ai semplici, a quelli che madre natura non ha dotato di cervello e l'ho snobbata per tanto tempo.
Del resto se si ragiona con il cervello come si fa a dar ragione a Gesù?
E io ero, e ancora lo sono un po', donna di cervello, come si suol dire, donna per cui due più due fa quattro e tutto si spiega con la ragione, cosa di cui mi sono sempre gloriata.
Al cuore non ho mai pensato come sede di sentimenti, come terzo occhio, come custode delle verità più profonde.
I bambini ci insegnano il vangelo, ci definiscono categorie nuove, ci mettono davanti un altro modo per guardare il mondo e le cose.
Nelle catechesi prebattesimali siamo soliti dire questo portando ad esempio la nostra esperienza di nonni a cui Dio ha dato la possibilità di fare gli esami di riparazione con due splendidi libri di carne, i nostri nipotini.
E non è a dire che non ci avesse fornito del materiale necessario quando eravamo giovani sposi, visto che dopo un anno di matrimonio nacque il nostro primo e rimasto unico figlio.
Ma noi, per le vicende della vita ma soprattutto per le nostre abitudini a guardare quello che non c'è e non a ringraziare per quello che c'è, abbiamo slittato lo sguardo sempre lontano dal dono che ci era stato recapitato.
Non mi sono mai fermata a giocare con mio figlio nè ho guardato il mondo con i suoi occhi nel poco tempo che mi era concesso di stare con lui.
Mi dispiace che la malattia, subentrata con la sua venuta al mondo, sia stata un ostacolo per godere del dono.
Ho cercato lontano ciò che Dio continuava a mettermi vicino.
Ecco perchè le mie frequentazioni non sono state con i piccoli ma con i migliori che mi potevo comprare con il denaro che allora non ci mancava.
Dovevamo sperimentare i limiti di certi nomi, grandezze e specializzazioni, per tornare a valle con le pive nel sacco e tanti problemi irrisolti.
E nel silenzio, nell'angoscia e nel buio di tanti sconvolgimenti, ecco spuntare il germoglio, i germogli su piante ormai inaridite, piante incapaci di dare frutto.
Si può diventare fecondi e felici quando lo stato e la vita e il mondo ti hanno messo da parte, ti hanno cancellato praticamente dai loro registri?
I figli di nostro figlio sono stati
i piccoli libri di carne, cresciuti nelle nostre mani perchè illuminati e alimentati dall'amore di Dio a cui avevamo permesso di penetrare e permeare i nostri cuori .
Essi sono diventati la nostra bibbia, il nostro catechismo, la chiave per entrare nel mistero del regno, nel significato delle parabole.
Le loro domande sono diventate le nostre domande, i loro bisogni, i nostri bisogni, nostri i loro confusi balbettii.
Con loro ho imparato a guardare nel cielo le stelle e i fiori nei prati e sugli alberi gli uccelli e le formiche nelle piccole buche.
Ho imparato a piangere e ridere con loro per cose piccole e grandi, a fidarmi senza pregiudizi e paure di tutto ciò che la vita mi metteva davanti.
"Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina".(Lc21,28,)
O Dio, tu sei il mio Dio, all'aurora ti cerco, di te ha sete l'anima mia, a te anela la mia carne, come terra deserta, arida, senz'acqua...Nel mio giaciglio di te mi ricordo, penso a te nelle veglie notturne,...Signore, fino a te giunga il mio grido... esulto all'ombra delle tue ali...
Per te ogni giorno siamo messi a morte, stimati come pecore da macello. Svègliati, perché dormi, Signore? Dèstati, non ci respingere per sempre. Perché nascondi il tuo volto,
dimentichi la nostra miseria e oppressione? Poiché siamo prostrati nella polvere, il nostro corpo è steso a terra. Sorgi, vieni in nostro aiuto; salvaci per la tua misericordia...
Quanto vorrei Signore conoscere a memoria tutte le preghiere scritte nel libro della vita, preghiere da te ispirate che mi accompagnino in ogni momento della giornata, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia.
Tu sei un Dio che parla, un Dio che suscita, crea la parola che sale a te non invano.
Questa notte è stato un inferno di dolore.
Pensavo a Daniele nella fossa dei leoni e pensavo che la sua arma è stata un 'incessante preghiera di lode.
Io questa notte non sono stata capace di lodarti, benedirti e ringraziarti, nè di leggere ciò che forse mi avrebbe distratto da tanto dolore.
I miei occhi erano offuscati da un velo che mi impediva di distinguere chiaramente lo scritto.
Ho cercato allora di trovare una posizione che mi permettesse di dare riposo alle membra fiaccate da una lotta impari con il male.
Avrei, come spesso mi accade, chiamato al mio fianco Maria perchè mi aiutasse a contemplare il mistero della mia vita abitata da te.
Ma il dolore era troppo grande per formulare qualsiasi pensiero che mi facesse vivere questo momento come occasione di grazia.
"Rimanete nel mio amore" le parole che mi venivano in mente, rimanere, stare, non fuggire da quel tormento, da questo tormento alle mani, alle braccia, al collo, a tutto il corpo.
Rimanere inchiodati alla croce senza sentire nulla, non il tuo respiro, non il battito del tuo cuore, senza avvertire il tuo sguardo posarsi su di me.
Il sabato santo ho sperimentato questa notte.
"Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina", hai detto.
Ho intrecciato il rosario tra le dita dolenti e ho sperato che il calore del legno d'ulivo dei grani e del crocifisso a cui erano legati sarebbe stato un buon segnale perchè ti accorgessi di me e venissi in mio soccorso.
Ho trovato la pace del cuore stando in silenzio con Maria al mio fianco e la certezza che saresti presto venuto a liberarmi.
Mi si attacchi la lingua al palato se ti dimentico Gerusalemme!