domenica 7 febbraio 2021

"Tutti ti cercano!" (Mc1,37)

 


"Tutti ti cercano!" (Mc1,37)

Tutti ti cercano Signore volontariamente, inconsciamente, sentiamo tutti bisogno di verità, di senso, di amore, di eternità, di bene, di pace, di felicità.

Signore ti cerchiamo nei posti sbagliati, nel modo sbagliato, ti cerchiamo per motivi egoistici perché alla fine dei conti pensiamo solo a noi stessi, al nostro tornaconto e degli altri, specie se non li vediamo, non ci importa nulla.

E anche quelli che vivono con noi, quelli che incrociamo sulla nostra strada, facciamo finta di non conoscerli.

Signore tu lo sai.

Abbiamo la memoria corta, ma anche la memoria colpevole perché, quando qualcuno ci fa del male o solo contrasta i nostri piani, lo condanniamo a morte.

Tu sei venuto Signore a instaurare il tuo regno, a riportare l'uomo all'unica vera radice, all'unico nutrimento che non fa morire, all'unica verità che ci accomuna, ma non siamo capaci Signore di starti dietro.

Anche se abbiamo abbondantemente usufruito del tuoi benefici, anche se sappiamo che la nostra vita senza di te vale meno che nulla, ci comportiamo come ciechi, muti, sordi, storpi, lebbrosi, guariti, ci ammaliamo e abbiamo continuamente bisogno del medico che ci guarisca.

Signore ci sono momenti in cui la tua vicinanza è così palpabile, così percepibile che mi sembra assurdo preoccuparmi, lamentarmi, anche solo per dirti ciò che già tu conosci.

Sono momenti di intimità, di paradiso, che però non durano e questo non mi piace.

Specie quando poi mi risucchia la vita con le sue esigenze di vigilanza, di deserto, di solitudine, di dolore, di affanno, occasioni difficili, solitudine.

Signore io vorrei che tu fossi sempre con me, che io possa trovarti quando il bisogno di te è grande.

A volte mi fai restare a digiuno per un tempo che a me sembra insostenibile, a volte il mio cuore si chiude, quando mi trovo nel deserto e il calore del sole mi brucia la pelle, l'assenza di acqua mi infuoca la gola, la sabbia si estende a perdita d'occhio e niente mi indica la direzione .

La sofferenza non si placa, il martirio è quotidiano, di notte e di giorno c'è sempre qualcosa o qualcuno che mi richiama al limite, alle corde impazzite del corpo, la prigione da cui non posso venire liberata.

Io ti cerco perché, quando tu sei con me, questa stanza non ha più parenti, questa casa non è più luogo di lupi solitari, ma soffia attraverso le finestre spalancate la dolce brezza di primavera e i tiepidi raggi del sole si posano sulle mie membra dolenti.

Quando ci sei tu Signore tutto cambia colore, sapore, tutto si trasforma.

Penso che non sei tu che te ne vai, riflettendo sulla Parola che la liturgia di oggi ci propone alla riflessione, ma io che non sono capace di starti dietro.

A volte mi stanco di pregare quando sto un po' meglio, ti cerco di meno appagata da quello che umanamente posso fare, mi piace fare.

Ma la cosa che più mi dispiace è l'incapacità di fare comunione con i miei fratelli, occupata a fuggire dalla bestia che mi perseguita.

Mi sembra di fare ben poco per te Signore, per i fratelli che tu mi hai affidato.

Mi sembra che la mia vita si snodi su un unico binario, quello che porta a liberarmi dal dolore di turno, dalla sofferenza insostenibile che mi provocano le corde tirate del corpo, i lacci, i legami, le bende, i tendini, i muscoli che intrecciano danze fin dentro le midolla.

Come pensare a fare del bene agli altri, quando sono così imprigionata, legata, sofferente?

Un tempo avevo messo al primo posto l'altro, pensando che dovevo amare, servire il mio prossimo senza curarmi di me.

Ci fu qualcuno che mi disse che dell'altro avevo fatto un idolo e che dovevo prima amare me stessa perché altrimenti l'amore era imperfetto.

Se non ami te stesso, non riesci ad amare nessun altro.

Mi sembravano parole vane e vuote e bugiarde e non le compresi allora.

Poi, quando, nonostante gli sforzi, non riuscendo a cavar un ragno dal buco, ricominciai da Maria, andai da lei e le chiesi di aiutarmi in questo cammino di ricerca, di conoscenza della verità che rende liberi.

Così Maria pian piano mi ha condotto per mano con il suo sì a riconoscermi figlia del Padre, a rientrare nella sua casa, mi ha portato a vivere la gioia e la sicurezza che ne veniva dall' essere figlia di Dio.

Mi ha insegnato ad essere figlia, Maria e per questo non finirò mai di ringraziarla, cominciando da quel “kaire”,( rallegrati )che mi aprì le porte della conoscenza..

Perché dovevo essere felice? Mi chiesi

Così scoprii che la felicità viene dal vivere la propria identità di figli di Dio.

Il fatto è che ora io me ne approfitto e spesso mi assolvo, perché ti attribuisco gli stessi sentimenti che un genitore nutre nei confronti dei figli, pronto a perdonare, abbracciare, curare, ammaestrare, consolare.

Io sento che tu sei mio Padre, che mi hai generato, sento che da te dipende ogni più piccolo soffio di vita.

Non riesco a vedere che te, a pensare a te, a vivere con te e per te anche se in modo molto molto imperfetto.

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