lunedì 4 novembre 2019

Gratitudine




SFOGLIANDO IL DIARIO...
4 novembre 2013
Meditazioni sulla liturgia di
lunedì della XXXI settimana del Tempo ordinario.
5:36.
"Chi ha mai ha conosciuto il pensiero del Signore?"
"Dio ha infatti rinchiuso tutti nella disobbedienza, per usare a tutti misericordia!"

Queste parole appena lette mi hanno provocato disgusto, rifiuto e ho pensato che quello che diceva San Paolo fosse esagerato, ma anche inesatto.
Come può Dio rinchiudere, vale a dire rendere le persone disobbedienti, come può impedire all'uomo di essere buono, bravo, santo?
Certo è che questo non è possibile, perché Dio vuole che noi seguiamo i suoi precetti, lo ascoltiamo e agiamo di conseguenza, perchè ci ama e vuole che viviamo non un giorno solo ma in eterno.
Ma il pericolo più grande è proprio quello di sentirci capaci di fare il bene, di cavarcela da soli, di meritarci con le nostre buone opere il paradiso.
Questa presunzione dell'uomo cozza con ciò che siamo, vale a dire creature malate per via del peccato originale, incapaci da soli di salvarci.
L'affermazione un po' forte di San Paolo non fa che ribadire un concetto fondamentale della nostra fede.
La fede è un dono, non è il frutto di preghiere, rosari, pellegrinaggi eccetera eccetera.
La fede è una risposta a Dio che in un certo momento della tua vita hai sentito operare in te per la tua salvezza.
Quando ti incontri con la misericordia di Dio, vale a dire con il suo amore, non perché hai letto tutta la Bibbia, o hai imparato a memoria tutto il catechismo o perché obbedisci a tutti i comandamenti, nasce spontanea la gratitudine, che è tanto più grande quanto più non te l'aspetti e non la meriti.
Ogni giorno faccio i conti con la mia disobbedienza, con la mia incapacità di aderire completamente, visceralmente al Vangelo.
Ogni giorno faccio il male non voglio e mi devo riconoscere peccatrice.
Ogni giorno sento l'indegnità di meritare tanto amore da parte di Dio, sento la mia inadeguatezza, il mio limite. 
2w3Ma quanto più vivo l'imperfezione, tanto più Dio opera in me la conversione. Proprio ieri riflettevo su questa contraddizione e ne parlavo con mio marito.
Com'è possibile che mi accada tutto questo? Da un lato sento di appartenere a Cristo Gesù, sento che mi ha stregato, mi ha presa, coinvolta in modo totale in questo cammino di rigenerazione, di vita nuova.
Sento che gli appartengo, che senza di lui non posso fare niente, che lui è il mio unico vero punto di riferimento, la roccia che mi sostiene.
Eppure continuo a desiderare le cose del mondo, continuo a parlare troppo di me e ad ascoltare troppo poco, continuo a gloriarmi dei miei successi, a compensare le mie frustrazioni con il cibo e i vestiti.
Continuo a sentirmi migliore degli altri, più brava, ma quello che più mi angustia, sempre più tirchia, avara.
Vale a dire che faccio fatica a espropriarmi di ciò che ho materialmente, mentre non mi succede mai di sottrarmi ad un servizio spirituale, come per esempio consolare, donare il mio tempo per chi è malato, senza amici.
Ma questa cosa, l'unica che riesco a fare, parlare di Gesù, portare Gesù, so che non è frutto del mio giardino.
E' il Signore che guida i miei passi, che dosa le parole, che suscita in me il desiderio di farmi prossima a chi è solo e abbandonato.
La contraddizione che vivo è molto evidente sì che, se prima passavo il tempo a glorificare me stessa per tutte le cose che riuscivo a fare, oggi mi sembra di fare poco o niente.
Per quel poco o quel niente ringrazio il Signore, perché è lui che rende fecondo il seme che getto quando lo getto.
È bello vivere in un rendimento di grazie, vivere nella riconoscenza verso chi ti solleva alla sua altezza, rende sicuri i passi, ti guida per il giusto cammino.
Chi può conoscere i disegni di Dio?
Troppo profondi suoi pensieri, chi può misurarli?
Ma io godo della sua amicizia, godo del suo pane che ogni giorno mi aiuta a superare l'avvilimento di non essere come vorrei.
Ma il Signore è grande e misericordioso, lento all'ira e grande nell'amore.
Il Signore è come ombra che mi copre , rende saldi i miei passi, non posso vacillare.
Il vacillare non è riferito l'incapacità di essere perfetto, di aderire ai suoi comandamenti e metterli in pratica, ma il dubbio sulla sua fedeltà.
Ti lodo ti benedico e ti ringrazio Signore, perché non sono degno che tu entri nella mia casa, ma di' solo una parola io sarò salvato.
So Signore che non sono capace di fare il bene che vorrei, di agire in modo conforme al Vangelo, ma ti amo, ti adoro, ti desidero, chiedo a te aiuto ogni giorno con più ardore, attenzione, speranza, certezza che non mi farai mancare il tuo perdono.
Alzo gli occhi verso i monti da dove mi verrà l'aiuto. Il mio aiuto viene dal Signore e gli ha fatto cielo e terra.
Ti voglio lodare benedire e ringraziare Il Signore, perché mi hai liberato dalle catene del dover essere, mi hai sciolto dai lacci che mi hanno impedito per così tanto tempo di volare fino a te.
Ti ringrazio perché hai concesso che io liberassi anche chi mi sta vicino dall'obbedienza farisaica.
Grazie perché ci hai affidato il ministero della riconciliazione, perché il perdono è possibile solo se facciamo esperienza tangibile della nostra debolezza, dell'ingratitudine, dell'incapacità di volare alto, se riusciamo ad ammettere che le ali le metti tu e non noi, che tutto è grazia se ci lasciamo da te trasformare, portare lì dove tu regni incontrastato sovrano.
"Domine non sum dignus "disse il centurione a te, perché era consapevole di non meritarti, ma tu spiazzi ogni nostro pensiero, agendo in modo imprevedibile.
Così hai fatto con Zaccheo, scomodandoti e andando a casa sua.
Tu entri lì dove c'è bisogno di te. 
A te non piacciono gli autosufficienti, gli autoreferenti, ma guardi la purezza del cuore e il sincero desiderio di incontrarti.
Il Vangelo di oggi non sembrava mi riguardasse in quanto in questi ultimi tempi, quando faccio degli inviti, cerco di privilegiare le persone che non possono o non sanno come ricambiare.
In genere l'ho fatto sempre, ma un tempo l'invito era più dettato dalla mia esigenza che da un effettivo bisogno dell'altro di sedersi alla nostra mensa.
Pensavo che questo fosse un discorso concluso, ma tu Signore mi spingi a fare sempre un passo più avanti.
Così è avvenuto sabato che insieme con Gianni abbiamo deciso di invitare la famiglia di nostro figlio senza aspettare che lo facessero loro.
“Siamo quello che siamo”, ho detto a loro, “e non siamo più in grado di preparare grandi pranzi o cene ma possiamo comperare le cose già fatte. Diteci cosa gradite e se volete stare con noi.”
Partendo dalla nostra inadeguatezza, senza aspettarci niente in cambio ci ha reso felici sabato perché la famiglia di nuovo si è riunita attorno allo stesso tavolo con uno spirito rinnovato.
Così mi sono, ci siamo commossi quando ci hanno raccontato della loro visita ai cimiteri, delle coroncine di carta attaccate alle tombe su cui Giovanni aveva scritto una poesia ed Emanuele qualche piccola frase, doni preparati con l'aiuto dei genitori da deporre sopra ogni tomba.
Peccato che non abbiamo potuto fotografarli, ma mi sono commossa, pensando al fatto che, anche se a nostro figlio non abbiamo mai parlato di Dio e non lo abbiamo portato mai a visitare le tombe dei nostri cari, Dio ci ha donato la gioia di vedere che altri lo hanno portato a Lui.

1 commento:

Gus O. ha detto...

Noi lo chiamiamo Dio ma in effetti Lui è Il Mistero e nessuno può conoscere i suoi pensieri.