(Ag 1,1-8)
Ricostruite la mia casa, in essa mi compiacerò.
Dal libro del profeta Aggèo
L’anno secondo del re Dario, il primo giorno del sesto mese, questa
parola del Signore fu rivolta per mezzo del profeta Aggeo a Zorobabele,
figlio di Sealtièl, governatore della Giudea, e a Giosuè, figlio di
Iosadàk, sommo sacerdote.
«Così parla il Signore degli eserciti: Questo popolo dice: “Non è ancora venuto il tempo di ricostruire la casa del Signore!”».
Allora fu rivolta per mezzo del profeta Aggeo questa parola del Signore:
«Vi sembra questo il tempo di abitare tranquilli nelle vostre case ben
coperte, mentre questa casa è ancora in rovina? Ora, così dice il
Signore degli eserciti: Riflettete bene sul vostro comportamento! Avete
seminato molto, ma avete raccolto poco; avete mangiato, ma non da
togliervi la fame; avete bevuto, ma non fino a inebriarvi; vi siete
vestiti, ma non vi siete riscaldati; l’operaio ha avuto il salario, ma
per metterlo in un sacchetto forato. Così dice il Signore degli
eserciti: Riflettete bene sul vostro comportamento! Salite sul monte,
portate legname, ricostruite la mia casa. In essa mi compiacerò e
manifesterò la mia gloria, dice il Signore».
La parola che oggi la liturgia ci
propone mi fa pensare alla famiglia, sempre più povera di case dove
abitare, alla ricerca di chi o di cosa possa offrirle ciò di cui ha
bisogno, uno spazio dove si coltivano piante in via d’estinzione,
si allacciano legami che non si consumano, si tessono trame che non
si scompongono, un luogo dove, nella ricerca dell’altro, l’uomo
ritrova se stesso, dove, attraverso le relazioni intessute, si
ricompone la sua frammentazione, la disgregazione a cui la società
spesso lo costringe.
La casa dove ritrova la sua identità
nell’essere uomo, nell’essere coppia, nell’essere famiglia,
nell’essere popolo dei figli di Dio.
La casa, intesa come luogo
dell’ascolto, del silenzio, della preghiera, della presenza di un
Dio che si manifesta e cammina con noi, spazio di contemplazione e di
adorazione, ma anche cantiere aperto a tutte le attività che servono
per renderla stabile e salda, funzionale alle necessità di chi vi
abita, aperta all’incontro e all’accoglienza.
Casa cantiere, dove le porte non sono
blindate, dove le finestre sono aperte sul mondo, dove il pellegrino
può poggiare il mantello e riposarsi.
Di quale casa ha bisogno l’uomo del
nostro tempo? Chi deve accogliere, cosa deve contenere, la dimora
dell’uomo che cerca l’unità di una vita vissuta disgregandosi
attraverso le molteplici esperienze a cui la civiltà dei consumi lo
chiama?
Se fosse un cane, diremmo che l’uomo
ha bisogno di una cuccia e ci adopereremmo per costruirgliene una
bella e confortevole, come anche se fosse un pappagallo, non ci
sarebbe difficile costruirgli una gabbia quand’anche fosse d’oro.
Ma l’uomo ha bisogno di ben altro,
anche se, a sentire la televisione o i giornali, sembrerebbe che i
suoi bisogni siano belle donne, belle macchine, ricette per non
invecchiare, cibo che non si prepara con la fatica, l’attenzione e
l’amore di un tempo, quando il poco diventava molto nelle povere e
sapienti mani delle nostre nonne, quando la sfida era invecchiare
bene e con sapienza, quando il tempo non correva più in fretta dei
sogni, quando la casa era riscaldata da veri camini di amore sofferto
e condiviso.
“Chi è l’uomo perché te ne curi,
chi è l’uomo perché te ne ricordi? Eppure l’hai fatto poco meno
degli angeli di gloria e di onore lo hai coronato, tutto hai messo ai
suoi piedi”.
Se l’uomo è così importante da
suscitare tanta attenzione da parte di Chi ha costruito il mondo e
tutto quanto contiene, sicuramente ha diritto a qualcosa di speciale.
La casa luogo dell’incontro con Dio,
luogo dell’incontro con i fratelli attraverso i quali Dio si
manifesta.
La vita alla casa lo dà l’amore che
è fatto di condivisione, di solidarietà, di patire con e per, di
rapporto stretto con un Dio che tiene unite tutte le stanze,
attraverso i fili del telefono, della luce, le condutture dell’acqua
e del gas…
Stanze di uomini, in comunicazione tra
loro attraverso ciò che Dio dispensa con abbondanza, se si tengono
aperti, puliti i canali, non lasciandoli otturare o rompere dal
desiderio di isolarsi, appartandosi e agendo per conto proprio.
Bella e suggestiva è l’immagine
(tratta dall’Antico Testamento), della casa tenda, come quella che
si porta sulle spalle (come la croce), che si porta anche per gli
altri, per i piccoli, i malati, gli anziani, ma che a sera si pianta
per accogliere la famiglia , tenda che si dilata fino a non avere
confini e ad abbracciare il mondo, pronta a ricevere, accogliere
chiunque abbia bisogno.
La casa, cuore di un’umanità
inquieta e sofferente, duro, incapace di amare, di donarsi, di
dilatarsi.
La casa cuore di pietra che diventa
cuore di carne, è l’immagine consolatoria che comunica il Dio
della tenda, il Dio con noi, che viaggia con noi, che si mostra , si
manifesta lì dove c’è fede, dove c’è apertura a Lui, dove c’è
povertà di spirito, desiderio di essere da Lui riempiti.
Il Dio della tenda è il Maestro, per
ricostruire le nostre case traballanti, fondate sulla sabbia, case in
cemento armato che conservano l’armatura , per difendere il proprio
egoismo e difendersi da quello altrui, case che hanno perso il
cemento per tenere uniti i mattoni inerti che si staccano e rendono
invivibile uno spazio sforacchiato, aperto a tutte le intemperie.
La casa dell’Antico Testamento è il
luogo in cui Dio abita, dove l’uomo può abitare, perché la si
porta dietro, sulle spalle, nel cuore, perché è aperta alle
relazioni, al dialogo, aperta allo Spirito.
La casa di carne è quella che più di
ogni altra noi siamo chiamati a costruire, quella che in Cristo Gesù
si realizza, Gesù tempio, casa di carne, che si fa spezzare ogni
giorno sopra gli altari dal sacerdote, che si fa pane per spegnere la
fame di tutti gli affamati del mondo.
Nello sforzo di rendere visibile il Dio
relazione d’amore, il Dio uno e trino, si costruisce la casa che
può subire mille traslochi senza perdere mai la sua identità.
In una casa siffatta tutto appartiene a
Dio e quindi vi prende stabile dimora la santità.
Partire dall’uomo primo Adamo, e
tornare a Cristo, nuovo Adamo è l’unica strada per sapere di quale
casa egli ha bisogno, quale casa ricostruire.
2 commenti:
La nostra incapacità di donarci.
Ciao Antonietta.
Essi
Posta un commento