IL MIO ALBERO
Ora
che il mondo lo vedo girare, perché ho imparato a fermarmi, che i
colori li ho stampati nel cuore, quelli dei sentimenti vissuti e
accettati, mi chiedo che ne è stato del “gioco dell’oca”, dei
dadi che per anni ho continuato a lanciare, sperando, una volta
arrivata alla meta, di vincere quell’assurda partita portata avanti
da sola.
L’infanzia
tradita, l’arrangiati portato all’estremo, la malattia a
ricordarmi che non bastavo a me stessa, la normalità cercata nello
stare seduta, quel farmi piacere le cose anche quando le avrei
vomitate, quel non voler arrendersi all’evidenza di un handicap,
insopportabile per chi la vita la viveva correndo, quel non voler
ammettere che non c’era speranza, perché tutte le cose hanno un
termine, dove sono andati a finire?
Quanti
anni sono passati da quest’oggi vissuto nell’ascolto della voce
che viene da dentro, di quella che mi torna da ciò che mi si pone
dinanzi, che si unisce alla sinfonia del creato per portarmi
prostrata a pregare e lodare il Signore per tutte le cose che sono,
per quelle che riesco a capire, per quelle che non capisco, perché è
dolce l’incontro con Lui quando viene improvviso a spiegarmele.
Con
lo sguardo perso nel tempo, affondandovi forte le dita, cerco
l’albero da cui sono uscita, per trovarvi scritto nei cerchi ciò
che unisce i pezzi della mia storia.
Percorrendo
la valle della memoria, lo vedo, nella terra, stendere le sue radici,
insinuarsi nei suoi tanti e misteriosi meandri, fondersi con le sue
viscere vive.
Lo
guardo, mentre sbuca tra i sassi, attraverso le crepe del suolo,
mentre cerca di sollevarsi a fatica verso il cielo, per catturarne la
luce..
Il
mio albero è questa mia vita, che ieri mi appariva contorta, una
pianta da sradicare perché, a guardarla un po’ più da vicino, non
era bella per niente: la corteccia piena di tagli, di ferite che non
si rimarginano, il tronco storto da un lato, mutilato nelle sue
braccia, le foglie in parte ingiallite, malate, le migliori cadute ai
suoi piedi, quelle che avrebbe voluto riprendersi, se ne fosse stato
capace..
Il
mio albero voleva vivere libero, senza dar conto a nessuno. Lo spazio
non lo voleva dividere, perché ne aveva bisogno per tenersi stretti
quei rami belli e vitali che, pur togliendo forza al suo fusto, era
un peccato tagliare.
Ma lo
sforzo diventava sempre più grande per sostenere quell’inutile
peso.
Il
mio albero ha imparato a morire, ad amare le sue cicatrici quelle che
segnano il tempo lungo faticoso e sofferto della sua crescita, ha
imparato ad accogliere tra i suoi rami, divenuti robusti, gli uccelli
che al mattino lo svegliano, i piccoli insetti che lo percorrono
attingendo la linfa da lui.
Il
mio albero oggi lo guardo e ringrazio quella Croce non a caso
incontrata dove né fiori né foglie abbelliscono il legno, ma Colui
che mi ha riportato alla vita.
(Tratto da L'Emorroissa di Antonietta Milella)
Albero
della vita
In
profondità nel deserto quasi senza dimora in giro, l' Albero della
Vita si trova: un ampio, ombroso, albero mesquite matura in solitario
splendore. Un mistero ancora oggi, fonte di questo albero di acqua è
sconosciuta.
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