domenica 27 ottobre 2019

Umiltà



“Chi si esalta sarà umiliato”. (Lc 18,14)

Ieri ho bruciato quattro volte quello che avevo messo a cuocere: carciofi, piselli, zucchine, acqua con il bicarbonato che sarebbe servita per staccare le incrostazioni del tegame. 
Non c'è che dire un bel bilancio per una che si credeva un asso in cucina.
Franco, quando era piccolo, diceva:”Quando sarò grande voglio fare il cuoco per superare mamma almeno in qualche cosa.”
Sono sempre apparsa gli occhi di chi mi stava vicino brava, migliore di quello che in effetti  ero e questo da un lato mi consolava, mi appagava, dall'altro mi portava a esibire la mia bravura, nascondendo con grande maestria gli errori che inevitabilmente facevo.
Mamma, quand'ero piccola, mi diceva sempre che ero brava prima di darmi una commissione.
La bravura era un sistema collaudato per farmi lavorare, ma era anche l'unica via per affermare la mia esistenza.
Ho sempre saputo di non valere molto, ma mi sono sempre vantata di riuscire a trarre vantaggio dal poco, dall'errore, dall'inadeguatezza attraverso una straordinaria abilità di copertura, di ironia, di distacco tra me e la cosa sbagliata.

Quanto più vado avanti nella conoscenza di Dio, attraverso la Sua parola,  tanto più capisco me, i miei errori, la mia vulnerabilità, il mio limite.
La parola di Dio non aumenta tanto la Sua conoscenza come Essere perfetto, sommo Creatore, Signore del cielo e della terra, quanto la conoscenza del mio peccato.
La luce che viene dalla parola mette infatti in risalto sempre più il mio limite contrapposto a ciò che solo Dio può fare.

Tu gradisci, Signore, gli umili di cuore.
Ho sempre pensato che il peccato fosse separarsi da Te, vivere lontano dalla tua casa, non riconoscerti come fonte di vita. 
Leggendo oggi la Tua parola mi è saltato davanti agli occhi l'atteggiamento del fariseo che pregava ringraziandoti della sua capacità di essere giusto e di osservare la legge.
Il fariseo  in fondo ti riconosce il merito per tutto quello che hai fatto per lui sì da renderlo giusto.

I paragoni non mi sono mai piaciuti, specie nella fede, anche se sicuramente il giudizio sul comportamento degli altri mi ha molto condizionato nella progressione verso la comprensione del mistero.
Beato è chi si riconosce peccatore, incapace da solo di realizzare in pienezza la sua umanità.
“Io sono tu che mi fai” ho trovato scritto, parole che mi hanno evocato l'immagine della creta molle nelle mani del vasaio.
E quando sembra che il vaso abbia preso una forma, il vasaio può decidere di cambiarla, rimodellando a suo piacimento l'opera delle sue mani, per aumentarne la bellezza e l'armonia.
Lasciamoci plasmare da Dio, diventiamo creta molle nelle sue mani con l'ascolto e la preghiera, apriamoci alla sua opera creatrice che continua nella storia, che è l'unica che ci garantisce la vita.

Chi si vanta, si vanti nel Signore ( 1Cor 31)

1 commento:

Gus O. ha detto...

Eri e sei la migliore perché hai il coraggio di parlare delle tute debolezze.