VANGELO (Mc 1,40-45)
In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in
ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe
compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato.
E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro».
Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.
E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro».
Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.
Sfogliando il diario...
Quando Gianni non si presentò alla radio quel
lunedì, tirai un sospiro di sollievo, perché era arrivato il momento che
si scoprissero le carte e si vedesse chiaramente chi faceva e chi non
faceva.
Ci eravamo impegnati con don Remo, il direttore di
Radio Speranza, a portare avanti una trasmissione (“Famiglia oggi:
riflessioni di coppia”), in cui comunicavamo agli ascoltatori
l’esperienza, faticosa e nello stesso tempo esaltante, del camminare
insieme a Cristo, che avevamo scoperto potente alleato.
Pian piano il peso del lavoro si era riversato
sulle mie spalle a tal punto che Gianni dava per scontato che, massimo
la domenica mattina, lo Spirito Santo faceva il miracolo di rimettere in
ordine tutta la mole di appunti che io ero andata prendendo durante la
settimana, limitandosi a mettere in bella copia il testo sopra il
computer.
Non c’è che dire, un bel sodalizio; ma il suo
comportamento negli ultimi tempi mi stava dando sui nervi, perché mi
sentivo sola in quella battaglia e non vivevo ciò che dai microfoni
volevo passasse.
Mi ero gettata in quell’avventura un po’ per fede
un po’ per scommessa, sperando che Gianni si svegliasse dal sonno. Ma
niente era cambiato.
Quel lunedì, quando uscii dagli studi, ero
soddisfatta per come erano andate le cose, perché il discorso sulla
solidarietà, che deve partire da valori vissuti nella famiglia, mi aveva
dato lo spunto per parlare della nostra esperienza personale, scaturita
da una preghiera fatta insieme per una coppia in crisi: l’inizio di una
dolce abitudine che continua ad accompagnarci, condizione
imprescindibile per abolire le distanze che ci dividono.
Mentre io disquisivo alla radio sulle distanze
colmate e da colmare, Gianni, con salto da atleta, alla stessa ora,
aveva superato tutti gli ostacoli, per essere vicino a suo cugino in
cerca di aiuto, che il padrone di casa non vede l’ora di sfrattare,
perché non si lava e puzza.
Solo da poco ho imparato ad apprezzare ciò che
naturalmente Gianni fa da sempre, nonostante nei lunghissimi anni della
mia malattia non abbia mai fatto lo schizzinoso, accudendomi in ogni
genere di necessità, quando l’immobilità mi teneva inchiodata ad un
letto o ad una poltrona.
L’incontro con un Crocifisso e con chi da Lui
prende luce, mi ha portato a vedere, rispettare e servire i crocifissi
messi sulla mia strada..
Luciana
Luciana è una di questi, la più importante per la
mia storia personale, perché in lei e con lei ho scoperto il potere
rigenerante e salvifico della croce portata con i fratelli.
La prima volta che l’incontrai, ricordo, mi fermai
alle mani sporche, alle unghie ingrommate di roba marrone, ai jeans
lisi, ai neri scarponi ricoperti di polvere.
Cosa avevo io da spartire con una che, a mezzogiorno, nei pressi del centro, va in giro conciata a quel modo?
Quando si fermò a salutare la mia accompagnatrice,
non alzai neanche lo sguardo, tutta presa a cercare una sedia per porre
fine al mio inseparabile dolor di schiena. Se l’avessi fatto subito, mi
sarei imbattuta nel suo inusuale copricapo, un foulard che le fascia la
testa, legato alla maniera dei corsari, e mi sarei posta qualche
domanda, che andava oltre il vestito e lo sporco.
Solo quando mi decisi a guardarla negli occhi, mi specchiai in due polle di acqua sorgiva..
Ci ritrovammo a parlare come se ci fossimo
conosciute da sempre, io che di lei non sapevo niente, lei che di me
aveva intuito tutto, perché “dove hai gli occhi hai il cuore” e Luciana
gli occhi e il cuore li ha aperti alla sofferenza del mondo, anche se
passa i suoi giorni chiusa in un garage, senza che luce e aria vi
circolino liberamente.
Lì restaura mobili per la gente perbene che, pur amandoli, non ama la gommalacca che penetra nelle unghie quando devi restaurarli, né la gente che se ne porta appresso l’odore.
Lì restaura mobili per la gente perbene che, pur amandoli, non ama la gommalacca che penetra nelle unghie quando devi restaurarli, né la gente che se ne porta appresso l’odore.
Cominciai a frequentarla quando mi mise a
disposizione una sedia, l’unica cosa che mi faceva decidere di fermarmi a
parlare lontano da casa mia. E ci si mise d’impegno per farmene trovare
sempre una, che non traballasse, cosa non facile nel suo negozio.
Mi piaceva ascoltarla perché mi faceva entrare
nelle storie delle persone, raccontandomi ciò che non appariva allo
sguardo dei frettolosi passanti. Attraverso i suoi discorsi mi accorsi
che esisteva un mondo sommerso , invisibile, di cui i pochi accattoni
incontrati non erano che la punta dell’iceberg.
Luciana sembrava un giocoliere che ogni giorno dal
cappello faceva uscire qualcosa di straordinario. Erano le persone che,
grazie al suo abbigliamento poco ortodosso, si lasciavano avvicinare e
delle quali scopriva preziosi tesori da esplorare.
Il restauro migliore, mi accorsi che lei lo faceva alla persona, restituendole la dignità che Dio dà ad ogni uomo.
Luciana è stata la battistrada che mi ha portato a
concepire la solidarietà non come un gesto grandioso ed emblematico,
fatto una volta per tutte, ma un insieme di piccoli gesti gratuiti,
ripetuti ogni giorno, nei riguardi di chi il Signore ci mette di fronte.
Mi colpì il fatto che pregava per gente che non conosceva, che
accoglieva nella sua casa senzatetto ed emarginati, che si adoperava
affinchè quelli che non hanno cittadinanza nella nostra società
opulenta, avessero di che mangiare e vestirsi, privandosi spesso del
necessario per loro.
Fino a quel momento la carità che conoscevo era
quella che non mi scomodava, neanche per andare a fare un vaglia alla
posta, con la scusa che non potevo stare in piedi, quella che era
garantita dalla riconoscenza di chi aveva effettivamente bisogno, quando
i bisogni degli altri li misuravo sui miei, quando la carità non
nasceva dalla rinuncia e dal sacrificio.
I bisogni degli altri, Luciana, m’insegnò a vederli
nelle storie anonime di tanta gente con cui si fermava a parlare. I
poveri, i veri poveri, poi costatammo insieme, non erano quelli a cui
manca il tetto, il cibo o il vestito, ma quelli che avendo tutto questo e
tanto di più, non hanno nessuno che gratuitamente gli doni un sorriso o
una carezza.
Man mano che procedevano le nostre conversazioni in
mezzo alla polvere, all’odore acre delle vernici, mi sono resa conto
che il tempo, il bene più prezioso che Dio ci ha dato, dopo la vita, era
quello che dovevamo essere disposti a donare agli altri, senza
avarizia, quello sottratto al riposo, allo svago, a volte anche al
lavoro.
La compassione è un sentimento che ci siamo
dimenticati o non abbiamo mai conosciuto, riflettevamo insieme, in una
di quelle mattine che ci vedevano parlare fitto fitto, mentre lei era
intenta al lavoro, è un sentimento divino, è il sentimento che Dio ha
provato quando ha deciso di mettersi nei nostri panni e di traslocare
nel nostro mondo, abolendo le distanze che ci dividevano da Lui.
Frequentando Luciana, le parole ascoltate ogni
giorno durante la Celebrazione Eucaristica: ”Fate questo in memoria di
me”, non mi sono sembrate poi così tanto scontate come credevo, e mi
hanno fatto capire che servire Cristo non significa andare tutti i
giorni alla Messa, ma servirlo nei poveri, nei sofferenti, nei
bisognosi, anche se sono sporchi e mandano cattivo odore.
Gesù non ha avuto paura di sporcarsi, quando ha
deciso di venirci in aiuto, non disdegnando di nascere in una stalla ed
essere deposto in una mangiatoia, riscaldato dal fiato di un bue e di un
asino, mentre gente senza fissa dimora andavano ad adorarlo.
Quanto cattivo odore intorno a Gesù, il figlio di
Dio fatto uomo, ma quale messaggio d’amore ci ha trasmesso attraverso
quelle che sono state le sue preferenze!
Tutta presa a riflettere su come ero e come sono,
non senza un certo compiacimento, mi è capitato sotto gli occhi un
vecchio articolo sullo tsunami che mi ha fatto ricordare Dominicus, il
seminarista indonesiano che, grazie all’interessamento di Luciana, ha
trovato persone che s’interessassero a lui. Mi ero dimenticata di
Dominicus quest’anno, e ci voleva l‘articolo per prendere coscienza che
in Indonesia c’è stato lo tsunami.
Chissà se Dominicus è ancora vivo! Quando ha
scritto gli auguri di Natale sicuramente lo era. E dire che ci sentivamo
la coscienza a posto, Gianni ed io, dopo aver, con la carta di credito,
mandato una bella sommetta a chi di dovere, per finanziare gli aiuti.
Se le immagini che scorrono sul teleschermo
avessero il potere di sporcarci di terra, di tingerci con il sangue di
tante vittime che abbiamo visto morire insieme alle speranze dei pochi
sopravvissuti, potremmo rispondere di sì.
Eppure Gesù, per guarire il cieco nato, "Sputò
per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del
cieco e gli disse: “Va’ a lavarti nella piscina di Siloe” parole
che ci interpellano proprio su quello sporcarsi di Gesù che per guarire
il cieco nato prende della terra e l’impasta con la saliva, per metterla
sugli occhi del malato che cerca la guarigione.
L’amore, adesso ne sono più che convinta, passa
attraverso un contatto fisico con ogni fratello che incontriamo sulla
nostra strada e presuppone la nostra docilità a sporcarci e ad essere
sporcati, toccare ed essere toccati.
Il lunedì successivo, con Gianni, di tutte queste
cose abbiamo parlato alla radio, contenta, questa volta, di avere
accanto chi, come Luciana, non ha mai avuto paura di usare il corpo per
avvicinarsi alla gente, al contrario di me che, dimenticando di averlo,
spesso uso solo la mente.
Abbiamo raccontato di quella passeggiata di fine
agosto, quando, bighellonando tra le bancarelle di un mercatino, verso
il tramonto, ci siamo imbattuti in Luciana che dalla mattina stava in
piedi a vendere le cianfrusaglie, di cui volentieri anche noi ci eravamo
liberati, per i poveri della città.
Abbiamo ripercorso il sentimento che ci ha portato a
guardare con altri occhi chi sta dietro un banchetto, per guadagnarsi
la vita o strapparne un poco per gli altri, che tutto ciò comporta
sacrificio e fatica, che il contrattare, specie per ciò che è destinato
alla beneficenza, è peccato mortale, che alla sera i banchetti bisogna
che ci sia uno che se li carichi sopra le spalle o su un furgone e che
la roba rimasta va incartata e messa per bene in ordine, da parte,
perché la prossima volta non ci si impazzisca, anche solo a cercarle, le
cose.
Abbiamo ringraziato il Signore per le tante storie
nelle quali Luciana ci ha fatto entrare.Abbiamo ricordato quanto ci ha
regalato il batticuore di Monica, che abbiamo accompagnato a Roma ad
incontrare il marito, sposato da meno di un anno, che si era fatto tre
giorni di pullman, senza dormire per riabbracciarla, dalla Bulgaria; il
sorriso sdentato di Ovidio e la puzza sui suoi vestiti di chissà quanti
pacchetti di sigarette, fumate durante il tragitto; la tenerezza e il
pudore dell’abbraccio dei due giovani, quando si sono rivisti. E che
dire della solidarietà che si è accesa intorno al pancione della piccola
albanese rimasta all’agghiaccio, dopo che le avevano chiuso, in pieno
inverno, le porte della stazione, e che avrebbe abortito, se il passa
parola delle piccole e silenziose formiche e la generosità di Luciana,
che non si è arresa neanche di fronte all’irreperibilità della donna,
non gli avessero fatto recapitare una coperta?
Ci siamo chiesti dove avevamo la testa, in che
mondo vivevamo, quando ai vestiti da regalare staccavamo i bottoni,
quando ci sentivamo a posto con la coscienza, dopo aver largheggiato nel
fare l’elemosina al disgraziato che suole sostare davanti alla chiesa, o
al lavavetri, che con quei soldi volevamo levarci di torno.
Ma accanto a questi ricordi sono emersi quelli
legati ai volti di chi non ci ispira simpatia, di chi non lo merita,
degli scorbutici, di quelli che non ci fanno pietà ma solo rabbia,
perché potrebbero darsi una “smossa”, come si dice dalle nostre parti, e
prendere per i capelli la propria vita invece di buttarla e di
lamentarsi, aspettando che qualcuno venga a salvarli.
Abbiamo pensato che il difficile sta proprio lì,
dove la compassione fa fatica a farsi largo e non ti fa aprire il cuore,
a causa di un giudizio che ne tiene chiuse le porte.
Come si fa, c’è da chiedersi, ad imporre ad un uomo
di amare? Se non c’è attrazione, come può nascere l’amore? Come può
perpetuarsi, se l’altro cessa di essere amabile?
La risposta ci è arrivata, mentre, uniti nella preghiera, contemplavamo il Crocifisso.
3 commenti:
Sono grandi cose.
Ciao Antonietta.
Ciao cara Anto, sai venerdI sera è toccato a me fare la lectio nella fraternita,(la mia prima alla fraternita). proprio sulle letture di domenica.
Levitico - San Paolo ai Corinzi e Vangelo di Marco.*_*
Un abbraccio.♥
Dani
Buona Quaresima Anto!
Un abbraccio.
Dani
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