venerdì 3 novembre 2006

Lo tsunami





Dal diario di Antonietta

Avrei voluto cominciare questo diario, parlando di una rosa rossa, poggiata sulla bara di mia madre, una rosa che testimoniasse il mio desiderio di riconciliarmi con lei. Avrei voluto parlare di tutti i sentimenti che hanno accompagnato questi ultimi mesi di calvario, specie da quando, il 26 di ottobre, è stata ricoverata in ospedale. Avrei voluto ripercorrere il filo che ha tenuto saldi i miei passi, la Parola di Dio, che mi sono sforzata di ascoltare e di mettere in pratica, specialmente da quando la situazione è diventata sproporzionata per le mie forze.

Avrei anche voluto parlare di questo Natale, inusuale, tra sonde e flebo, escrementi e medicinali raccolti in sacche di plastica, collegate a tubi, collegati a vene, a buchi naturali, e non, che servivano a dare vita a mamma e ai suoi numerosi compagni di viaggio.

Avrei voluto parlare della preghiera che Gianni ed io siamo andati a fare sul letto di mamma, stendendo le mani sulla sua pancia in subbuglio, mentre la diarrea continuava ad uscire.

Ricordo che era un giorno in cui non ce l'avevamo fatta ad andare a messa insieme, forse era domenica, e Gianni si era offerto di fare il turno di assistenza a cavallo dell'ora di pranzo. Ho sentito il bisogno di unirmi a lui, in quello che gli riconoscevo come un grande sacrificio, perché presupponeva la rinuncia al riposo in un giorno di festa, per sollevare me dalla fatica.

In questo periodo spesso Gianni ed io ci siamo persi, ma sempre ci siamo ritrovati, celebrando l'Eucaristia insieme e quel giorno l'abbiamo fatto in modo decisamente inusuale, pregando su un altare di carne, uniti nel comune desiderio che Dio trasformasse quel poco di vita e di forze, che rimanevano, in grazia.

Un desiderio di ritrovarci, dopo tutto quello che era successo, da quando anche lui si era dovuto ricoverare, per un intervento improcrastinabile, preceduto di qualche giorno da M., la moglie di nostro figlio, in attesa del secondo bambino, che voleva nascere prima del tempo, senza contare la morte improvvisa di zio G., il fratello giovane di mamma, e quella del compagno e amico di stanza, immaturamente scomparso il 27 dicembre.

Avrei voluto parlare dei foglietti che riempivano disordinatamente il cassetto del mio comodino che aspettavano di essere riordinati dopo che lo allo “tsunami” si era messo in movimento quest'anno, alla fine di ottobre, anticipando ciò che l'anno scorso era accaduto il 26 dicembre, senza che il Natale venisse scalfito.

Quest'anno lo “tsunami” ha colpito anche noi, anche se ci soffia sempre sull'ospedale, per tutto il resto dell'anno. Ha soffiato, sconvolgendole, sulle nostre abitudini, le nostre certezze, i nostri ritmi, le nostre relazioni, da quando quella notte M. mi aveva chiamato, per convincere mamma a farsi ricoverare.

Avrei voluto parlare delle lodi che abbiamo recitato al capezzale di mamma, io e Monica, l'angelo buono venuto a darci una mano per assisterla, mentre stava morendo, il 7 gennaio.

Avrei voluto parlare di I., dei rapporti difficili con questa sorella generosa e autoritaria, di M., l'anello debole della catena, di me, che non ce la facevo più a vivere quella vita da incubo.

Lo “tsunami”sembrava non voler mollare, travolgendo tutto senza pietà.

La notte dell'anno io e Gianni non ci siamo neanche fatti gli auguri: da quando era uscito dall'ospedale le distanze erano diventate incolmabili.

Lo “tsunami continuava a soffiare più forte su tutte le relazioni, mentre mamma miracolosamente era sopravvissuta all'intervento ai reni, che avevamo autorizzato, noi figlie, nonostante il rischio estremo di morte. Decisione combattuta e sofferta, ma inevitabile, sotto la pressione continua dei medici che aspettavano l'ok da noi, per tentare l'ultima chance.

Il 30, alle 9, era scomparsa nell'ascensore, da cui pensammo non sarebbe mai più risalita, salvo poi ricrederci, due ore dopo, quando ce la siamo vista in camera, inaspettatamente viva e cosciente, senza passare per la rianimazione. Abbiamo gridato al miracolo noi che la pensavamo già morta e ci hanno creduto anche i medici, dopo averle tolto il bubbone.

“Signore cosa vuoi dirci? “continuavamo a chiedergli, perché a 90 anni la morte è quasi scontata, non altrettanto una vita di dipendenza assoluta, dalle macchine, dalle medicine, dalle persone.

La sua sopravvivenza avrebbe messo in moto una serie di problemi insormontabili e ingestibili.

Il desiderio che tutto finisse mi faceva sentire in colpa. Non ce la facevo più a tirare avanti per quella strada: ero stremata e continuavo a chiedere aiuto al Signore e, solo con le labbra, dicevo“Sia fatta la tua volontà.”

Il 7 gennaio, quando è spirata, ho pensato a quei foglietti sparsi alla rinfusa nel cassetto e al perchè lo “tsunami” non mi aveva portato via, insieme agli alberi, alle case che aveva trovato sul suo percorso.

Era la Parola di Dio che mi aveva accompagnato per tutto l'anno, i foglietti del Calendario Liturgico, che ho appeso sul comodino.

“Sono stato dovunque sei andato” le parole che mi sono trovata nelle mani, mentre cercavo di notte un farmaco che mi facesse dormire e dimenticare che ero sola a combattere quella battaglia.

” Sono stato dovunque sei andato”, non solo quando mi sono sentita persa, nel tempo in cui mamma, Gianni, M. stavano all'ospedale, ma sempre, tutti i giorni dell'anno che si era da poco concluso, tutti i giorni della mia vita.

Così oggi voglio ricordarmele quelle, queste parole, tornata alle occupazioni abituali, dopo una notte insonne per i dolori che non mi danno tregua, con una serie di problemi da affrontare ogni giorno sproporzionati alle mie forze.

“Sono stato con te dovunque sei andato” lo volevo scrivere come messaggio di benvenuto sul cellulare, ma non c'è entrato tutto.

Non è un caso che il messaggio che appare, quando lo accendo sia “Sono stato dovunque sei”, forse ad indicare un passato che diventa speranza, certezza di una presenza che impedisce a qualsiasi “tsunami” di portarti lontano da LUI.

24 gennaio 2006

1 commento:

anonimo ha detto...

mia cara,la mia mamma è appena uscita dall'ospedale dove pensavo di perderla questa volta. Ho provato le tue angosce, i dilemmi, la vergogna ed il pudore dei miei pensieri quando erano rivolti a me che non ce la facevo più. Questa è la contraddizione dell'amore che è donarsi completamente ma col rischio che la persona si perda ed allora si limita l'amore perchè sopravviva il nostro io, solo Gesù ha saputo dare se stesso completamente, ha saputo veramente amare. A me sembra, comunque, che anche tu te la sia cavata non poi tanto male, brava.