giovedì 29 giugno 2006

Crocifisso e testimonianza


La storia di un crocifisso che non trova pace nelle dimore degli uomini è storia recente e millenaria, perché, se di un simbolo si tratta, è un simbolo scomodo che a molti piacerebbe coprire con un quadro, una tenda o con un poster che non c’interroghi sul destino dell’uomo e sul senso di ciò che ci accade


Ma oggi ci troviamo a discutere se sia lecito o no esporlo nelle scuole o nei pubblici uffici.


Fino a quando il confronto diventa mezzo di conoscenza e di crescita nulla da dire, ma quando la disputa tocca i toni eccessivi di una battaglia politica, dove non è importante capire quanto imporre le proprie ragioni, allora è bene porsi qualche domanda.


Perché il crocifisso deve essere fonte di discordia e di separazione?


E’ poi così giusto portare avanti le proprie ragioni, chiudendo gli occhi a quelle dell’altro, senza cercare di capire il perché di un suo comportamento?


E’ opportuno chiedersi qual è lo scopo che ci prefiggiamo, quando alziamo gli scudi, se le nostre azioni sono mosse dal desiderio di portare avanti noi stessi e i nostri ragionamenti, facendo degli stessi il fine e non il mezzo della nostra testimonianza.


Confondendo i termini, creiamo solo confusione e non gioviamo alla causa per la quale siamo stati chiamati.


Non giova a nessuno dire che siamo arrivati prima noi, perché potrebbe materializzarsi un grosso scimpanzé a rivendicare il diritto di mettere la sua immagine attaccata al muro, né che gli altri fanno peggio, dimenticando che gli altri, cui si allude, spesso sono mussulmani per i quali il Corano, nel paese in cui vivono, è legge dello stato.


Il compito del credente è quello di essere evangelizzatore e testimone di una verità che per grazia di Dio gli è stata rivelata.


Se è giusto ciò in cui crediamo non necessariamente sempre sono giusti i modi per annunciare il Vangelo.


Lo ha detto anche Gesù mettendoci in guardia dal dare le perle ai porci.


Qui non si tratta di venir meno al compito a cui siamo stati chiamati, né di svendere Cristo cedendo alle pressioni dell’ultimo arrivato.


Si tratta solo di chiedersi se questa è la strada per aprire gli occhi ai ciechi e le orecchie ai sordi..


Il Pontefice, giustamente, nella NOVO MILLENNIO INEUNTE, parla di una nuova evangelizzazione che deve partire da Cristo, fondamento di tutto ciò in cui crediamo.


Ma partire da Cristo è partire dall’immagine del crocifisso attaccato ad una parete, senza che la maggior parte di quelli che sono stati delegati a questo compito si preoccupino di spiegarne il valore?


Molto spesso il crocifisso attaccato ai muri delle scuole è un reperto archeologico di tempi passati, in cui quella croce parlava al cuore e alla mente di quelli che erano seduti ai banchi per imparare, ma soprattutto a quelli che sulla cattedra incominciavano la lezione con un segno di croce.


Il mondo cambia, man mano che alle vecchie subentrano nuove idee, che spesso negano le precedenti, pure se buone, ma solo perché sono vecchie e per questo superate.


I governi nel fare le leggi cercano un compromesso tra le tante verità di una società sempre più multietnica e pluralista.


La verità è inseguita attraverso gli interessi e i particolarismi di chi deve cercarla, e alla fine scontenta tutti.


E’ chiaro che in una situazione come quella dell’Italia, dove lo Stato si è affermato sulla progressiva negazione di una realtà oggettiva, quale era quella dello Stato della Chiesa, e sulla negazione della cultura millenaria di cui la Chiesa si era fatta portatrice e divulgatrice, nascono contraddizioni che minano alla base il precetto evangelico: ”Amatevi come io vi ho amato”.


Paradossalmente il crocifisso, che dovrebbe essere ed é il più alto e convincente simbolo di unione e di riconciliazione, attraverso il dono gratuito di un Dio che ha amato le sue creature fino alla fine, diventa scandalo per tutti quelli che pensano che la vittoria si costruisca sull’odio e sulle guerre fratricide.


Ma se tale é il significato della croce, che pone ogni uomo di fronte al dramma dell’impotenza e del proprio limite, mirabilmente trasformato da Cristo in strumento di rinascita, di resurrezione e di vita nuova, non possiamo pretendere che tutti lo sappiano e lo capiscano.


“Non c’é pace senza giustizia, non c’é giustizia senza perdono” sono le parole che Giovanni Paolo II continua a ripetere.


A noi si chiede di essere operatori di pace,


Ma per esserlo bisogna aprirsi all’ascolto dei bisogni e delle necessità dell’altro.


Se il crocifisso non è in grado, in questo momento, di trasmettere i valori di cui è portatore, per prima cosa dobbiamo riconoscere all’altro il diritto di pensarla in modo diverso da noi.


Grazie a Dio viviamo in uno stato che garantisce l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, senza distinzione di sesso razza, lingua, religione, opinioni politiche condizioni personali e sociali (cfr. art. 3 della Costituzione)


L’articolo 7 della stessa recita”Lo stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dal Concordato del 1984 che ha fatto sua l’esigenza di superare detti Patti Lateranensi, non in linea con il dettato costituzionale, in quanto affermavano, all’articolo 1, che la religione cattolica, apostolica e romana era la sola religione dello Stato.


Non dobbiamo dimenticare neanche che la nostra Costituzione Italiana, all’Articolo 8 recita.”Tutte le confessioni religiose sono ugualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano…..”


Sull’argomento molto resta da fare e la strada da seguire è irta di ostacoli (Vedasi l’ora di religione, grande spina nel fianco del mondo cattolico).


Ma se, da un punto di vista di principio, il crocifisso esce sconfitto dalla disputa sulla liceità di esporlo nei luoghi pubblici, dall’altro deve uscire vittorioso come valore indiscusso della storia non solo nostra, ma di tutti gli uomini.


Perché i messaggi arrivino e siano giustamente interpretati, bisogna parlare la stessa lingua. Se un mussulmano vede nell’uomo inchiodato alla croce Giuda o un malfattore, non ne ha colpa, come non ha colpa chi si turba, guardando un uomo giustiziato ed esibito come un trofeo, se non ne conosce il motivo.


E’ necessario imparare a parlare la stessa lingua, per comprenderci ed evitare inutili e dannose guerre di religione.


Lasciamoci guidare da Cristo che ha parlato con l’unico linguaggio che conosceva, quello dell’amore.


Solo quando diventeremo Eucaristia per gli altri, gli altri vedranno in noi il volto di Cristo, non se ne scandalizzeranno e cominceranno ad amarlo.


23 febbraio 2002

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