martedì 30 ottobre 2007

Ai laici...+ don TONINO BELLO

 
Scegliete le strade del nascondimento, ma anche quelle della chiarezza. Praticate lo stile della semplicità, ma astenetevi dal “semplificare” i problemi. Fate luce alla terra, ma senza pretendere di fare scintille.



Aggregate la gente attorno alla Parola di Dio, senza la smania di compattarla attorno alle parole effimere dell'uomo. Amate e servite la vostra Chiesa non per inseguirne la gloria, ma perchè essa sia serva fedele del Regno.

Portate la tuta da lavoro in chiesa, ma nei cantieri di lavoro portate la veste battesimale.



E' il mondo lo spazio in cui ci giochiamo la nostra identità.

Il mondo, non la parrocchia.

Quale mondo?.Quello della scuola, della fabbrica, dell'ufficio, dei campi...e poi gli ambienti, la spiaggia quest'estate, il bar questa sera, la villa, la piazza...



E se vi dicono che afferrrate le nuvole, che battete l'aria, che non siete pratici, prendetelo come un complimento!

Non fate riduzione ai sogni.

Non praticate sconti all'utopia.



Se dentro vi canta un grande amore per Gesù Cristo e vi date da fare per vivere il Vangelo, la gente si chiederà:”Ma che cosa si cela negli occhi così pieni di stupore di costoro?”








l Signore vi dia il gusto delle cose esseniali

Vi renda ministri della felicità della gente. 


giovedì 11 ottobre 2007

Gesù e i bambini

 


La sigla “Cristo è risorto veramente”, era la stessa, questa mattina, quando abbiamo dato inizio al nuovo ciclo di trasmissioni sulla “Famiglia:segno di speranza”, perché non c'è inizio senza speranza e non c'è speranza che non poggi su Cristo, morto e risorto per noi, garanzia di vita piena per ogni uomo che decida di seguirlo.

Giovanni, il nostro nipotino di 5 anni, ci ha visto giusto quando l'ha pensata, Giovanni il profeta, l'istruttore che Dio ci ha mandato a domicilio per gli esami di riparazione.

Sì perché siamo stati rimandati a settembre per il matrimonio, la casa, il lavoro, il figlio, la fede.

Eppure eravamo credenti, ma non praticanti, fino a non molto tempo fa. Vale a dire che credevamo nella scuola,quella di Gesù, ma la frequentavamo in modo saltuario e ci guardavamo bene dallo studiare e dal fare i compiti

Ci siamo resi conto di quanto siano istruttive le pagine del Vangelo che riguardano i bambini.

Le riflessioni nate dall'osservarli ci stanno aiutando a crescere nella conoscenza delle cose di Dio.

Ieri sera nel grande stanzone della casa di campagna, dove ci siamo riuniti insieme alla famiglia di nostro unico figlio, lui, sua moglie e i loro due bimbi, abbiamo visto staccarsi e andare solo, sicuro di se, il piccolo Emanuele di 15 mesi, che non stava nella pelle per la contentezza.

Ma noi non gli abbiamo staccato gli occhi di dosso, per paura che inciampasse, cadesse e si facesse male.

Ho pensato in quel momento ad un altro occhio, quello di Dio, che non si stacca mai da noi, anche se non ce ne accorgiamo, quello del Padre misericordioso che sta alla finestra a scrutare l'orizzonte, per scorgere qualche segno che gli annunci il ritorno del figlio.

Ho pensato a quello sguardo proiettato lontano, uno sguardo in cui siamo compresi tutti: figli amanti della libertà, figli ribelli, ingrati e dissoluti.

Penso a quando ero piccola, quando l'occhio di Dio era inscritto in un triangolo e ce lo sentivamo addosso, sempre, quando ci ribellavamo alle regole e facevamo di testa nostra.

Era il mio incubo, ricordo.Un occhio che mi vedeva anche al buio, un occhio dal quale non potevo nascondermi, un occhio inquisitore, terribile, giustiziere delle mie inadempienze.

Quante volte? Mi chiedeva il sacerdote, quando andavo a confessare che avevo tentato di ignorare quello sguardo.

Che bello scoprire che quell'occhio è l'occhio di chi ci ha generato, che ci ha amato prima ancora che noi nascessimo, che continua ad amarci sempre e comunque, a prescindere da come ci comportiamo!

Era diventato grande Emanuele, come continuava ad urlare Giovanni; ma lui era solo contento di essere libero di andare dove voleva. Aveva conquistato l'indipendenza, cosa desiderare di più?

Diventare grandi. Cosa ne sapeva lui del significato di quelle parole?

Ci avrebbe pensato quando non si può tornare più indietro, quando guardi gli anni passati e ripensi alle parole che ti hanno svegliato all'improvviso dall'illusione che la vita quaggiù duri all'infinito.

Per me erano state quelle di Giovanni il giorno prima: “Nonna stai diventando vecchia!”, mentre mi accarezzava la schiena dolente. “Eh, sì..”, avevo risposto.

”Quando io sono genitore, tu non ci sei più!”, aveva aggiunto, pensando che anche suo padre era genitore, quando gli sono morti i nonni, di cui aveva conosciuto il sorriso, l'abbraccio e le carezze.

Diventare grandi, invecchiare, morire... il mistero della vita espresso nelle poche ed essenziali parole di Giovanni.

Chissà se l'idea della morte ora lo turba più di quando fu per mia madre e mio padre che sono in cielo, l'una a fare la maestra degli angioletti, l'altro il capostazione delle nuvole!

A Giovanni ho detto di non preoccuparsi per me, perché, quando succederà, lo saluterò da dietro una nuvola. Al che, con gli occhi tristi, ha commentato: ”Ma io non ti vedo!”.

Credere senza vedere, questo è il problema dell'uomo.

Beato te, Tommaso, che hai visto, toccato e creduto! Mica capita a tutti.

“Ma più beati, dice il Signore, quelli che credono pur non avendo veduto!”.

Ho pensato a quante cose crediamo senza averle mai viste.

Giovanni, per esempio, solo da poco si è reso conto che i cartoni sono storie inventate e, quando il pomeriggio ci mettiamo un po' a riposare insieme nel grande lettone, ci raccontiamo le storie vere, una io, una lui.

Vere altrimenti non vale.

Poiché a lui non piacciono quelle che vanno a finire male, mi chiede sempre quelle di Gesù, quando guarisce, quando moltiplica i pani e i pesci, quando placa la tempesta.

Ma quelle che ama in assoluto, parlano di Gesù risorto, di quando la Maddalena lo incontra, nel cimitero trasformato in un giardino, di cui lui è il custode, e si sente chiamata per nome e lo abbraccia per non farselo scappare di nuovo.

Raccontiamo ai bambini la bella storia, non inventata, di un Dio che ci vuole bene a tal punto da farsi uccidere per noi, ma che dobbiamo smettere di cercare in un cimitero, perché è risorto veramente, diventando il custode del giardino perduto.


domenica 7 ottobre 2007

I SERVI INUTILI




(Lc.17, 5-10)
In quel tempo, Gesù disse:


«Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, strìngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?
Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».


 



Quando eravamo bambini, all’ora di pranzo ci mettevamo sulla strada, fuori al cancello, per vedere il carretto dei nonni che tornavano dal mercato, dove erano andati a vendere la stoffa.


Ricordo le pezze lunghe e pesanti dei tessuti invernali, ricordo quelle corte e leggere delle fodere e dei tessuti di seta.


Eravamo sempre eccitati quando dall’angolo spuntava il grande carretto, spinto a fatica dai grandi, che sotto ogni tempo così si guadagnavano la vita.


Ricordo l’eccitazione per poter, una volta entrato in giardino, correre e prendere in braccio una o più pezze di stoffa, così da renderci utili e da accorciare il tempo dell’attesa del pranzo.


Gli adulti ci lasciavano fare; sorridenti ci davano ciò che ognuno poteva portare a seconda dell’età, ma con apprensione ci seguivano con gli occhi, quando ci affidavano ciò che spesso finiva a terra, sporcandosi.


Così tutti, noi piccoli per quello che sapevamo e potevamo fare, i grandi per quello che dovevano per forza fare, contribuivamo a che la stoffa fosse rimessa in ordine negli scaffali della sala, dove poi si apparecchiava per mangiare insieme il frutto del lavoro di tutti.


Noi bimbi ci illudevamo che fosse così e i grandi ce lo facevano credere; ma quante volte hanno pensato che avrebbero fatto volentieri a meno della nostra collaborazione, perché non era raro che combinassimo disastri.


Allo stesso modo Tu, Signore, ci chiami a servirti senza che noi sappiamo far nulla,  per farci partecipare con più gioia e soddisfazione al grande banchetto che ci hai preparato.


E’ importante, in questo tempo che ci doni di vivere, che sappiamo aspettare con pazienza al cancello, che siamo disponibili a prestare le nostre deboli braccia per portare i vari fardelli.


Non c’è dubbio che tu ne dosi il peso a seconda della statura della robustezza e dell’età di ognuno, proprio come facevano mio padre e mio nonno. 


Grazie Signore perché, attraverso una pezza di fodera, mi hai parlato del servizio, dell’importanza che assume nell’ambito del tuo progetto, ma specialmente dell’inutilità di quanto ognuno di noi fa, ma che comunque serve per farci crescere e gustare con più consapevolezza e gioia ciò che ci hai preparato, ciò che era già pronto senza che noi lo guadagnassimo.


Ti ringrazio Signore di quella pezza di fodera che da bimba ho portato, che mi ha fatto capire quanto sono poco importante, ma quanto valgo per te.


Signore ti ringrazio perché mi hai ricordato che solo i bambini ci possono aprire il senso delle parabole.








«In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli."(Mt18,3)

 



 



foto©http://www.effedieffe.com/tasti/img/gesu_e_i_bambini.jpg 




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