I genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme.
Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte.
Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro.
Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.
Canto: Cristo è risorto veramente (CD – “Risorto per amore” 1)
Benvenuti all’ascolto di questa
trasmissione, cari amici. Dagli studi di Radio Speranza vi saluta
Antonietta. Oggi sono sola, Gianni è al lavoro e mi ha incaricato di
portarvi i suoi saluti. Da questa situazione abbiamo tratto lo spunto
per parlarvi del "noi" in cui confluiscono i due "io" che si impegnano a
costruire gli sposi, quando decidono di amarsi per tutta la vita. Non è
semplice riuscirci, ma l’importante più del camminare è seguire la
giusta direzione. Quando, come oggi sta succedendo, nelle cose che
facciamo o diciamo l’altro è presente perché quella cosa non l’avremmo
detta o fatta senza di lui stiamo vivendo il noi, perché le cose di cui
mi accingo a parlare sono frutto dell’impegno comune a camminare con
Cristo. La preghiera di Gianni sono certa che mi sosterrà, come siamo
soliti fare quando uno solo di noi due deve andare in avanscoperta
"Mentre l’uno parla, l’altro preghi", questo
era il mandato, quando qualche domenica fa hanno invitato a parlare
quelli che lo sapevano fare, mentre distribuivano i volantini dopo la
Messa, per invitare i compagni di banco della domenica a lodare,
benedire e ringraziare il Signore, il martedì e il venerdì, nel gruppo
Sacra Famiglia nella chiesa di S. Giuseppe. Fra questi c’ero anch’io che
non ho bisogni di stimoli per aprire la bocca.
Ricordo che pensai che dovevano essere pazzi
a credere che basta saper parlare per portare un annuncio e in quel
caso era Gianni quello che doveva pregare. Ma a pregare mi ci sono messa
d’impegno anche io perché, e questo era il dilemma, se gli uomini si
erano dimenticati che l’evangelizzazione nella piazza, davanti alla
chiesa, passa anche attraverso il mal di schiena di chi deve stare in
piedi più di quanto abitualmente gli sia concesso, io no, e avevo
bisogno di sapere se anche Dio se l’era dimenticato. Poi come spesso mi
accade, dopo il primo momento di smarrimento, mi sono messa a vedere
cosa Dio si sarebbe inventato per rendere possibile ciò che mi sembrava
incompatibile con la mia condizione di salute. Ma Lui non si smentisce
mai e ci ha messo in mano un microfono con il quale abbiamo potuto
raggiungere tante più persone di quante ci è dato d’incontrarne, la
domenica, durante e dopo la Messa.
E’ bellissimo vivere nello stupore di come
il Signore operi per utilizzare al meglio le nostre risorse, quando ci
vede disponibili a dirgli di sì. All’inizio di questo cammino,
cominciato con Gianni cinque anni fa, non ci aspettavamo che le cose
andassero così.Nella Chiesa che avevamo cominciato a frequentare, Gianni
che era arrivato dopo di me trovò subito collocazione nel coro che
anima la messa delle otto e trenta della domenica, mentre io, stonata
come una campana, continuavo a chiedere al Signore che mi permettesse,
almeno all’elevazione, di cantargli: "Santo, santo santo, è il Signore,
Dio dell’universo" senza inorridire io, e far tappare le orecchie a chi
mi stava vicino, ma niente da fare, anzi proprio in quel periodo, come
se non bastasse, persi completamente la voce, per via di due interventi
che direttamente o indirettamente interessarono la gola.
La storia di Giobbe fu allora che mi prese a
tal punto che mi convinsi che, se mi fossi arresa al Signore, avrei
ritrovato la salute e con la salute la voce. Grazie alla rieducazione
postoperatoria, la voce la recuperai , anche troppo, deludendo quelli
che speravano di mettermi a tacere, una volta per tutte. E vi assicuro
erano tanti, compreso Gianni, anche se ci scherzava sopra con i nostri
amici e auspicava un tempo di tregua dalle mie parole, che utilizzavo
per indurlo a parlare. Ricordo ancora la penitenza singolare che mi
diede un sacerdote, quella di stare cinque minuti in silenzio davanti al
tabernacolo, che mi costò tanta fatica allora , ma che mi fece
riflettere sull’importanza di fare silenzio per ascoltare cosa l’altro
ha da dirci.
Gli inizi del nostro cammino di fede furono
tutt’altro che facili, perché a me piace rendermi utile e nella Chiesa
sembrava che non ci fosse posto per me, mentre Gianni non aveva dovuto
aspettare un granchè per mettersi al lavoro nel coro.
Anzi, le prove lo portavano ad assentarsi da
casa, dopo cena più di una volta la settimana, per via di un concerto
di evangelizzazione che si stava preparando.Io non posso dire che ne ero
dispiaciuta, anzi approfittavo della sua assenza per dedicarmi al mio
hobby preferito: scrivere preghiere.Avevo trovato l’interlocutore che
non avevo in casa, quello a cui confidare i miei problemi, l’amico su
cui contare, il maestro che mi istruiva, ma non ancora il Padre da cui
farmi amare.Anni addietro il diario mi era servito per parlare solo con
me stessa. La difficoltà a dialogare con Gianni aveva sviluppato in me
questa scappatoia per non morire soffocata dal silenzio.
Pregare da sola mi dava tanta forza e tanta
pace, mi rigenerava, ma quando ritornavo nella mischia, alle mie
occupazioni quotidiane, che implicavano l’incontro e lo scontro con il
mio prossimo più prossimo, le persone o la persona che il Signore mi
aveva messo vicino, la pace e la gioia andavano a farsi benedire, e
dovevo fare una gran fatica per non fuggire, sperando che il supplizio
durasse il meno possibile.
A svegliarmi dal sonno venne, durante la
Quaresima di due anni fa, la parola di Dio quando fa dire a Pietro, sul
monte della Trasfigurazione: "Maestro, facciamo tre tende, una per te,
una per Mosè, una per Elia"
Già le tre tende che San Pietro voleva
piantare per continuare all’infinito a godere della luce di Cristo,
anch’io avevo cercato di piantarle, ma non mi era riuscito, come non
riuscì a San Pietro, che voleva prendere la scorciatoia, pensando che
gli uomini e il mondo fossero ostacolo alla santità.
"Prendete e mangiatene tutti, questo è il
mio corpo, offerto in sacrificio per voi, fate questo in memoria di me"
E’ la formula che sentiamo ripetere ogni volta che andiamo alla Messa.
Ma cosa dobbiamo fare in memoria di Gesù?
Consacrare il pane e il vino? Quello compete ai sacerdoti. Mangiare il
corpo consacrato di Cristo, questo sì lo possiamo fare, anzi mi ero
messa d’impegno a farlo ogni giorno e non ne potevo fare più a meno.
" Fate questo in memoria di me" Queste sono
le parole che mi hanno colpito in una Messa senza omelia, di quelle che
ti fanno dire:" Oggi ritorno a casa tale e quale ero, tanto le letture
le ho meditate a casa.e il prete non si è sprecato.
" Fate questo in memoria di me": sul mio
lezionario meditato non sono riportate queste parole che si ripetono
ogni giorno, ma solo le letture che variano secondo l’anno, corredate da
splendide, profonde ed esaurienti spiegazioni. Ho comprato l’opera in
otto volumi perché volevo sapere tutto e di più della parola di Dio,
senza trascurare niente, ma quel "fate questo in memoria di me", non
essendo ripetuto ogni giorno, non mi aveva mai colpito come quella
mattina, in una chiesa semideserta, con un sacerdote che aveva fretta di
arrivare alla fine. Aveva una voce forte e chiara, questo si, e tutta
la messa le formule le ha pronunciate ad alta voce, scandendo le parole,
perché le ascoltassimo e ci unissimo alla sua preghiera.
" Fate questo in memoria di me". Mi sono
girata e guardata intorno. La chiesa era grande, ogni banco una persona,
a destra e a sinistra, ugualmente distanti tra loro, fatta eccezione di
due suore e di noi due che eravamo inginocchiati vicini. Spezzarsi e
donarsi, soffrire e morire per gli altri, per chi ci aveva messo vicino;
questo voleva dire: "Fate questo in memoria di me".
Ho ringraziato il Signore perché ci aveva
concesso di capire quanto fosse importante eliminare le distanze, specie
quando si prega, l’ho benedetto per il desiderio che ha messo in noi di
essere segno di un’unità a cui ci aveva chiamati a rispondere. L’ho
detto a Gianni alla fine della Messa, e insieme abbiamo ricordato,
quando la domenica o nella preghiera del gruppo ci mettevamo lontani, o
anche durante il pranzo o durante le feste con i parenti o gli amici,
ognuno cercando altrove ciò che naturalmente gli era stato messo vicino.
Abbiamo ricordato quante volte la presenza
dell’uno infastidiva l’altro, impegnato a fare un solitario o a parlare
con l’amica di turno. L’amico è colui davanti al quale puoi pensare ad
alta voce. Chi era l’amico o l’amica a cui potevamo dire tutto o proprio
tutto di noi?
Se non avessimo incontrato il Signore, se
non ci fossimo imbattuti come i discepoli di Emmaus nel maestro che
spiega il passato alla luce del presente radioso della sua resurrezione,
sicuramente avremmo visto la distanza che ci separava diventare
abissale. L’abisso lo ha colmato Gesù venendo incontro al nostro
desiderio di incontrarlo per vedere se anche noi con Lui potevamo
risorgere, attingendo alla sua acqua..
Canto: Gesù e la samaritana (CD "Nelle tue mani" – 6)
L’Antico Testamento, fino a quel momento
incomprensibile, si è colorato di una luce nuova e ci ha comunicato ciò a
cui inconsciamente ognuno dei due tendeva, ma che non sapevamo avere
così a potata di mano.
Le parole della Genesi riguardo alla
creazione dell’uomo vorremmo ricordarle anche a voi e da quelle trarre
spunto per riflettere sull’unità dalla quale abbiamo preso origine e
alla quale siamo chiamati a ritornare.
La Bibbia si apre con l’immagine dell’uomo
maschio e femmina da cui Dio separa Adamo ed Eva, la coppia, alla quale
consegna il compito di mettere in circolo l’amore, e si chiude con
l’Apocalisse dove lo Sposo Gesù e la Chiesa sua sposa si incontrano e si
uniscono nelle nozze escatologiche a cui Dio chiama l’intera umanità,
grazie a quell’amore messo in circolo con l’aiuto dello Spirito Santo.
Il linguaggio della Bibbia è un linguaggio
sponsale dall’inizio alla fine, e l’istituzione dell’Eucarestia è il
segno tangibile che Dio fa sul serio e desidera che l’uomo sia
disponibile a fare ciò che Gesù ha fatto, a farlo in memoria di Lui.
Allora le parole della consacrazione non sono più quelle che interpella
no il sacerdote e lo chiamano a celebrare e rinnovare il sacrificio, ma
quelle che ci interpellano tutti, a spendere e offrire il nostro corpo
al compagno allo sposo, al fratello alla chiesa che Dio ci ha chiamati
ad amare, il corpo con il quale ci ha chiamato a rispondere.
La sacra particola è il corpo di Cristo che
servirà ad ogni uomo per rendere possibile il miracolo che si comunichi
l’amore attraverso la diversità dell’essere maschio e femmina, giovane e
vecchio, ricco o povero, colto o ignorante.
Che cosa stupenda è questo progetto che Dio
ha sull’uomo, che ama più di ogni umana creatura tutti, indistintamente,
indipendentemente se siano buoni o cattivi. La parabola del padre
misericordioso, che prima chiamavamo la parabola del figliol prodigo, ci
parla proprio dell’amore senza misura di un padre che aspetta che il
figlio ritorni e che non lo sgrida quando questo accade, ma gli mette la
veste più bella e fa festa perché finalmente è tornato ad abitare nella
sua casa. Che tristezza vedere che il fratello maggiore se la prende e
non gode della clemenza del padre, dando per scontato che sia cattivo e
intransigente come lui sarebbe se fosse al posto suo.La verità è che noi
facciamo Dio a nostra immagine e somiglianza e ci riesce difficile
pensarlo diverso da noi. E dire che Lui ci ha fatto ad immagine e
somiglianza sua, vale a dire il contrario.
Perciò, dopo tante parole spese per farsi
conoscere, attraverso la creazione, attraverso la storia (quella
d’Israele in particolare, narrata nella Bibbia, che è chiamata Parola di
Dio), si è deciso a scendere tra di noi, dando un corpo alla parola,
perché ci mettessimo in relazione con ciò che abbiamo e che cade sotto i
nostri occhi, il corpo, lo strumento indispensabile perché noi uomini,
non angeli, posiamo comunicare.
Nel corpo di Cristo noi incontriamo Dio,
quando facciamo la Comunione, ma lo incontriamo ugualmente nei fratelli,
il corpo che ci ha lasciato per fare comunione con lui, amandoli come
lui ci ama.
Spesso penso a Giovanni, il profeta che Dio
ci ha mandato a domicilio, che più diventa autonomo più dà per scontate
le cose. Ricordo, quando bussava alla porta, si catapultava nelle nostre
braccia e ci baciava senza che noi gli dicessimo niente. Adesso, quando
arriva dal nido, affamato bussa e chiede la pappa e ci cerca per vedere
soddisfatte le sue aspettative, ma quando la sera i genitori tornano
dal lavoro spicca la corsa e se ne va a casa sua, spesso dimenticando di
dire anche un semplice ciao. Gianni ed io ci siamo detti di non
promettergli regali in cambio di baci e di comunicargli, anche quando si
dimentica di salutarci l’amore che nutriamo per lui, richiamandolo
dentro la nostra casa per dargli quel bacio che, non lui, ma noi
desideriamo dargli, nonostante tutto.
La nostra storia, come quella di tanti che
hanno incontrato il Signore e vivono nella sua casa è proprio questa:
vivere come se tutto ci fosse dovuto, pronti a chiedere al mattino ciò
di cui sentiamo il bisogno, ma lenti e pigri la sera a ringraziarlo per
quello che ci ha dato e di cui spesso non ci accorgiamo neanche.
Dio ci ha dato un compito, il corpo, l’ho
letto da qualche parte e mai abbiamo sentito quanto difficile sia
sentirsi corpo di Cristo, essere corpo di Cristo, vedere nell’altro il
suo corpo, essere eucaristia l’uno per l’altro.
Quando vennero quelli della missione a
parlarmi dello Spirito Santo gli risposi che non perdessero tempo,
perché io l’avevo tutto consumato a cercarne uno di Dio, e che non
volevo complicarmi la vita. Uno bastava e avanzava, dissi ad Annamaria e
Graziellina.
Gianni, che è meno complicato di me, tutte
questi ragionamenti non era abituato a farli e a lui bastò cercare la
fonte della luce che aveva illuminato il mio viso quando cominciai a
farmi aspettare, per andare alla preghiera, la sera del martedì, mentre
lui inseguiva sullo schermo le immagini vuote a cui uno stanco
telecomando non riuscivano a dare vita. Una vita lo avevo aspettato, era
giusto che aspettasse anche lui, finalmente era arrivato il tempo di
render pan per focaccia, perché avevo incontrato lo Spirito.
C’è da chiedersi che Spirito avevo
incontrato se l’effetto era quello di lasciare solo il marito e di
goderci e di commiserarlo, perché lui non c’era riuscito. Ricordo,
quando gli fu affidato il compito di restaurare una chiesa, anni
addietro e usciva tutte le mattine all’alba per seguire i lavori e ne
approfittava per entrare nella cappella e farci una preghiera.
Io lo invidiavo e mi dicevo che io non
potevo permettermelo perché di mestiere facevo l’insegnante e non la
restauratrice di chiese. e non potevo neanche farci capolino per via
della mia incapacità a adattarmi a qualsiasi appoggio che non fosse la
sedia o il letto di casa mia.
Ma il Signore era pronto a smentirmi,
chiamando noi insieme a restaurare la casa, la nostra casa, la piccola
Chiesa domestica dove voleva venire ad abitare.
Ricordo allora che condividemmo le tensioni
di un lavoro non facile alle prese con operai che scomparivano proprio
quando ce n’era più bisogno e con i desiderata di un convento con tante
teste. Della preghiera parlammo poco, ma ricordo che la cosa
m’incuriosiva e in fondo lo invidiavo per quella fede semplice che io
non riuscivo a trovare.
Poi il desiderio di andare in Chiesa divenne
un’esigenza comune, ma rimanevamo ancora distanti e soli con il nostro
Dio personale che facevamo fatica a condividere. Era come pretendere che
passasse la corrente attraverso dei fili spezzati.
Canto: Ad una voce (CD "Ad una voce" – 3)
E’ strano come le coppie si trovino a
condividere tutto, dalle cose più banali e non belle a quelle più
importanti, ma hanno difficoltà a condividere ciò che li farebbe volare,
lo Spirito Santo che invocato insieme ogni giorno renderebbe piane le
vie più scoscese e farebbe sentire vicini anche quando a dividerli c’è
un oceano. All’inizio questo non lo capimmo e eravamo contenti del fatto
che il Signore ci concedesse la grazia di perdonare l’altro e di non
tenere il muso, salvo poi, quando la misura diventava colma riprendere
tutto ciò che ci eravamo lasciati alle spalle. Facevamo come quei
creditori che abbonano il debito ma non trascurano occasione per
ricordartelo. La memoria delle offese ricevute è il più grande ostacolo
all’ingresso della misericordia di Dio.
Dicevo della nostra difficoltà a condividere
Dio ad unirci nella preghiera, perché non riuscivamo a perdonare e a
perdonarci per quello che avremmo voluto essere e che non eravamo.
L’invito a pregare insieme per una coppia in
difficoltà, rivoltoci in occasione di un incontro pastorale per la
Famiglia, fu lo stimolo a cambiare abitudine.Se fino a quel momento
eravamo convinti che saremmo stati migliori se l’altro fosse stato
migliore, pian piano ci accorgemmo che di fronte a Dio non c’erano
migliori o peggiori, essendo tutti figli e fratelli in Gesù. Il Padre
nostro, recitato a fatica, masticato, almeno le prime volte, ci ha
introdotti nell’amore del Padre che guarda i suoi figli con lo stesso
occhio benevolo e che non ha badato a spese perché ce ne convincessimo.
Gesù insieme con noi insegnandocela,
pronuncia le parole che più ci coinvolgono: "Rimetti a noi i nostri
debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori"Ricordo il brivido
freddo che mi attraversava le ossa quando le pronunciavo, pensando di
essere sola, dimenticando che Gesù era venuto a donarci lo Spirito per
rendere possibile ciò che umanamente è impossibile: amare come lui ci ha
amati. E il miracolo pian piano lo stiamo vedendo, ogni volta che ci
mettiamo insieme a pregare. Come possiamo farlo se non ci siamo
perdonati a vicenda? Come possiamo avvicinarci al sacro banchetto se non
abbiamo aperto il cuore all’altro, permettendogli di vedere e toccare
le nostre ferite e di farci guardare e curare da tutti quelli che
mangiano lo stesso pane e si dissetano alla stessa sorgente?.
Il segno di una comunità unita nell’amore,
il segno che il Corpo di Cristo non è disgregato è in quel pregare
vicini, fianco a fianco, sia che l’Eucarestia la si celebri in Chiesa
alle sette di mattina, sia che la si consumi in casa alla mensa comune o
nel talamo.nuziale. Gesù è venuto a mostrarci come si fa, non solo
quando ha scelto una mangiatoia o una stalla per farsi adorare, ma
soprattutto quando si è tolto le vesti e ha indossato il grembiule per
lavarci i piedi, che presuppone uno stare più vicini di quanto
umanamente siamo in grado di sopportare, sia che li laviamo sia che ce
li lasciamo lavare, i piedi, s’intende.
Chiediamo al Signore che ci dia l’umiltà e la perseveranza per fare tutto questo, che è poi la strada maestra per la Santità.
Con questo augurio vi lascio, e vi do appuntamento alla prossima settimana, speriamo insieme a Gianni in carne ed ossa.
Canto: Dio ha tanto amato il mondo (CD – "Risorto per amore" 10)
1 commento:
Un Vangelo importante, ma anche le parole di Giovanni sono piene di speranza.
Ciao Antonietta.
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