domenica 15 aprile 2007

22 Famiglia oggi:riflessioni di coppia

 



Rubrica radiofonica a cura di Gianni e Antonietta



Canto: Cristo è risorto veramente (CD – “Risorto per amore” - 1)



Carissimi amici, benvenuti all’ascolto di questa trasmissione: dagli studi di Radio Speranza vi salutano Gianni e Antonietta.

La scorsa volta ci siamo lasciati con una preghiera, che si concludeva pressappoco così: “ Signore perdonaci, quando ai nostri figli parliamo male di te o di te non diciamo nulla”. Vogliamo partire da queste parole per ribadire quanto sia importante il ruolo dei genitori nella trasmissione della fede, che non consiste tanto nel numero delle preghiere insegnate ai bambini, o delle messe a cui li portiamo ad assistere, quanto nell’importanza che noi diamo a Dio, quanto ci lasciamo guidare da Lui.

Marco, il figlio di una coppia di nostri amici, che da poco ha compiuto otto anni e che si sta preparando alla Prima Comunione, ha capito tante più cose di quante gliene abbiano insegnate. Infatti, guardando la causa e non gli effetti di ciò che in vita ha fatto Madre Teresa di Calcutta, aveva detto, spiazzando tutti, che più dell’amore, dell’abnegazione, della solidarietà, questa piccola grande santa donna ci ha insegnato che con Gesù si può fare tutto. Se Marco ha parlato così, sicuramente c’è qualcuno che lo ha portato a pensare in quel modo.

Senza la domenica non possiamo vivere” recitano le locandine affisse all’ingresso di tutte le chiese in quest’anno dedicato all’eucaristia.

Senza la domenica certo non possiamo vivere, lo possono affermare tutti, atei e credenti, quando a questa parola si associa il riposo, il divertimento, la partita o la gita fuori città.

Ma, come spesso succede, il significato delle parole non lo conosciamo, né vogliamo andarlo a cercare, come è avvenuto a Strasburgo, allorché i parlamentari hanno stilato la Costituzione europea, senza far menzione, di proposito, delle radici cristiane dell’Europa: Ma poi si sono contraddetti, apponendo la data in calce al documento, che, guarda caso, fa riferimento ad un evento cristiano che ha cambiato la storia. Così è per la domenica, che pochi sanno cosa significa, pur amandola più di qualsiasi altro giorno della settimana.

E’ ora che cominciamo a dare il giusto significato alle parole che insegniamo ai nostri figli.



La liturgia di giovedì della terza settimana di quaresima fa incontrare Filippo, apostolo di Gesù, con un etiope, amministratore della regina Candace, di ritorno da Gerusalemme.

L’uomo, che stava leggendo senza comprenderlo un passo del libro del profeta Isaia in cui si profetizzava Gesù, viene avvicinato da Filippo, che, guidato dallo Spirito Santo, si trovava a fare la stessa strada.

Questi salì sul suo carro e spiegò il significato delle versetto che l’uomo stava leggendo, annunciandogli la buona novella.

Immediatamente dopo la spiegazione della Scrittura, l’etiope sentì il desiderio di essere battezzato.

Dal numero di Cristiani che vivono in Etiopia ancora oggi, possiamo dedurre che quella spiegazione ha portato molto frutto, nella terra in cui quest’uomo viveva.

Ciò che sappiamo, o abbiamo, non possiamo tenercelo per noi, né condividerlo solo con chi ci piace.

Non possiamo decidere di frequentare le persone, solo quando queste ci vanno a genio. Gesù la sera di Pasqua, per cenare con i suoi apostoli, non ha aspettato che si convertissero, che diventassero più fedeli, più buoni. Gesù prescinde da ciò che facciamo, perché la sua attenzione e la sua cura vanno a ciò che siamo, figli di uno stesso Padre, suoi famigliari.

L’etiope, che sembrava tagliato fuori dall’annuncio di salvezza, per via del luogo e della cultura diversi da quella in cui Gesù è nato e cresciuto, diventa il simbolo di tutti quelli che desiderano sapere e che aspettano che qualcuno li aiuti a comprendere.

Tutta questa chiacchierata per ribadire la necessità, l’imprescindibilità della missione, dell’annuncio da parte di chi ha accolto la fede.

Quando diciamo che a messa non ci andiamo perché il prete, o chi la frequenta, non ne è degno, non facciamo altro che anteporre gli uomini a Cristo e pensare che la Chiesa sia una comunità di perfetti e non di perfettibili, comunità di salvati che è chiamata a sua volta a salvare.

La Chiesa, famiglia dei figli di Dio, può e deve trovare il senso e il desiderio di essere Chiesa nella famiglia umana, la prima e più importante cellula della società, chiamata da Dio a rappresentarlo su questa terra.

La trasmissione della fede è pensata, a torto, come appannaggio e compito delle istituzioni ecclesiastiche, non dando alla famiglia, il valore e la funzione che invece le sono propri.

Ne parlavamo la volta scorsa, a proposito della collaborazione con il parroco da parte di coppie di sposi cristiani, che vivono la grazia del Sacramento del Matrimonio, per la preparazione dei genitori al battesimo dei propri figli.

Ma non bastano uno o due incontri per convincerli che ai figli, prima degli altri, ci devono pensare loro, per tutto ciò che riguarda la crescita materiale e spirituale, e che non possono delegare altri a dire o fare cose che poi vengono contraddette dai loro comportamenti abituali.

“Quante cose si possono fare con Gesù!“ è il messaggio che deve passare ai figli, che Gesù è il figlio di Dio e che al di sopra di tutti non ci siamo noi, le nostre idee, i nostri giudizi e pregiudizi, ma Chi ci ha dato la vita e continua a donarcela ogni giorno, in modo imprevedibile, mai scontato, meraviglioso.

“Senza la domenica non possiamo vivere” Se riuscissimo solo a trasmettere ai nostri figli la gioia di vivere nel modo giusto la domenica, avremo assolto alla parte più importante del nostro compito.

Dominicum, in latino, è un aggettivo neutro che significa: “dono del Signore, cosa del Signore”.

Ebbene, senza il dono del Signore non possiamo vivere, senza l’Eucarestia non possiamo vivere.

L’Eucarestia è il Corpo di Gesù, donato al mondo perché noi possiamo fare la stessa cosa con i fratelli: donarci agli altri, per tutto ciò che sappiamo e possiamo fare.

La domenica si chiama così perché il giorno dopo il sabato, il giorno della resurrezione di Cristo, è il più grande regalo che abbiamo ricevuto. Dio si riposò il settimo giorno, cioè il sabato, che per gli ebrei era il settimo giorno della settimana.

Gesù, risorgendo il giorno dopo il sabato, ha cominciato a contare il tempo dalla domenica, non facendone l’ultimo, ma il primo giorno della settimana del popolo redento dal Signore. La domenica è il giorno in cui il Signore si dona tutto a noi, il giorno in cui ci dà l’opportunità di godere più a lungo e più intensamente i misteri della Pasqua.



Quando arrivava la domenica, da piccoli, eravamo tutti eccitati, perché era un giorno speciale.

Facevamo il bagno e indossavamo i vestiti della festa per andare tutti insieme alla messa. Mamma si alzava presto per preparare il pranzo e il suono delle campane ci trasmetteva la gioia di un giorno diverso dagli altri, che vedeva la famiglia finalmente riunita.

Una volta cresciuti, abbiamo dimenticato le care abitudini, forti della libertà di scegliere dove e quando partecipare alla Messa. La liturgia in latino non ci aiutava, né gli adulti ne sapevano tanto di più, affiancando alle parole incomprensibili, dette dal sacerdote, le tante devozioni proliferate nel frattempo.

Siccome ci annoiavamo, cominciammo a trovare le scuse per sottrarci al martirio di assistere a cose per noi difficili da capire. Fino a quel momento il senso lo aveva dato l’andare insieme, tutta la famiglia riunita, a fare la stessa cosa. Ci dissero che l’importante era arrivare prima che si scoprisse il calice, per non fare peccato mortale e noi ci guardavamo bene dal farne, scegliendo però la Chiesa in base all’omelia: quanto più era breve, tanto più eravamo grati al sacerdote che non ci faceva perdere più tempo del necessario.

Diventare grandi comportò introdurre altre abitudini, fino a soppiantare quelle buone e sane che avevano caratterizzato la nostra infanzia: l’abitudine di studiare la domenica, quando eravamo studenti, per il lunedì, l’abitudine di preparare il lavoro per il giorno dopo, quando Antonietta correggeva i compiti, ed io studiavo progetti, l’abitudine di smantellare la casa per fare le pulizie, alle quali anche io partecipavo, volente o nolente, quando non le subivo.

Il senso di quella giornata si è andato perdendo e il posto per la messa, a distanza di tempo, ci siamo accorti di averla persa, specialmente da quando i supermercati e gli ipermercati ci hanno offerto di santificare le feste sull’altare del consumismo..

I nuovi santuari hanno preso il posto delle Chiese e le famiglie oggi si riuniscono lì, per cercare ciò di cui hanno bisogno. Per molto tempo anche noi siamo stati stregati dall’opportunità di fare acquisti in una giornata in cui i negozi erano chiusi e la chiesa non ci diceva più niente.

Vogliamo ringraziare il Signore perché ci ha aperto gli occhi e ci ha fatto sperimentare quanto grande sia il dono che ci ha lasciato, non per concludere la settimana, come siamo abituati a pensare, ma per cominciarla bene, ricordando che Gesù è venuto a trasformare il tempo finito degli uomini nel tempo infinito di Dio, risorgendo di domenica e dando inizio ad una nuova creazione.



La domenica è il giorno in cui non noi ci diamo a Dio, ma Dio si da a noi, riportando in vita dalla morte tutti quelli che si lasciano catturare dallo stupendo mistero di riconciliazione.

Ecco: il mistero della riconciliazione è l’Eucarestia alla quale partecipiamo.

Queste parole – mistero di riconciliazione - che si pronunciano durante la consacrazione, ci hanno colpito durante lo svolgersi di una messa senza omelia, una di quelle che un tempo ci avrebbero fatto felici, ma che oggi ci vedono storcere il muso. Eppure, se le parole della liturgia tutti i sacerdoti avessero la possibilità e la capacità e il desiderio di farle arrivare al cuore dell’assemblea, non ci sarebbe bisogno di aggiungere altro alla preghiera che accompagna la consacrazione del pane e del vino.

Ma, per arrivare a godere pienamente del dono che Dio ci fa in Gesù, è necessario seguire la scia dei discepoli di Emmaus, che hanno sentito il desiderio di invitare Gesù a fermarsi con loro solo dopo che sono stati guidati da Lui alla comprensione delle scritture. Quel pane che Egli spezzerà, una volta accettato l’invito, sarà ciò che lo farà riconoscere, e che trasformerà la tristezza in gioia, per aver incontrato il Risorto.



CANTO: Dalla tristezza alla danza (CD – “Risplendi Gerusalemme” - 12)



Abbiamo fatto esperienza di quanto sia stata deleteria la distinzione netta tra liturgia della parola e quella eucaristica che ha portato alla svalutazione della Parola di Dio, all’affievolimento della spiritualità delle persone, al vuoto devozionismo. Dobbiamo ringraziare il Concilio Vaticano II che si è fatto carico di riavvicinare il popolo di Dio, partendo dall’esigenza di farsi capire e far capire.

Oggi assistiamo alla riscoperta esaltante della Parola di Dio, che è stata rivalutata e della quale è stata evidenziata l’importanza e la bellezza, anche durante la celebrazione eucaristica, in sintonia con la mensa eucaristica.

Un testo di Sant’Agostino, veramente unico, dice: ”Chiedo a voi fratelli e sorelle, ditemi un po’: che cosa vi sembra essere maggiore, la Parola di Dio o il Corpo di Cristo? Se volete dire la verità, dovete rispondere che la Parola di Dio non è inferiore al corpo di Cristo. Di conseguenza, come facciamo grande attenzione perché non cada nulla per terra dalle nostre mani quando ci viene amministrato il corpo di Cristo, così dobbiamo prestare attenzione perché non cada dal nostro cuore la Parola di Dio che ci viene elargita, il che succede se pensiamo ad altro o ci mettiamo a parlare, invece di ascoltare. Chi ascolta con negligenza la Parola di Dio non è meno colpevole di colui che fa cadere a terra per negligenza il Corpo di Cristo.”

Vi è un altro insegnamento molto bello dei Padri della Chiesa che recita: ”Se dovessimo scegliere tra l’Eucarestia e la Parola di Dio, che cosa sceglieremmo?” Loro rispondevano: “Dovremmo scegliere la Parola di Dio, perché senza la Parola non potremmo capire l’Eucarestia, non sapremmo più cosa sia”

La Liturgia eucaristica è uno splendido itinerario di vita cristiana e vorremmo consigliarlo alle coppie che fanno fatica ad entrare in comunione, a raccontarsi, ad ascoltarsi. Se pensiamo a quante volte l’atto coniugale unisce i corpi ma non le menti, quante volte lo spirito soffre per ciò a cui non riusciamo più a dare un senso!

L’unione tra i coniugi avviene in modo perfetto solo dopo essersi messi in ascolto l’uno dell’altro, dopo che, attraverso le parole, conosciamo e ci facciamo conoscere.

Ci sembra interessante fermarci sui vari momenti della messa che preparano alla comunione.



La messa inizia con un segno di Croce, ad indicare che non si può camminare se non permettiamo che Dio entri e diventi protagonista della nostra storia.

Poi c’è la confessione dei peccati, che è un mettersi a nudo di fronte a Dio e ai fratelli, un mostrarsi deboli e peccatori, vulnerabili e imperfetti. Questa condizione, che prepara il sacrificio eucaristico, è anche la condizione perché due coniugi imparino a conoscere l’altro e ad accettarlo per come è.

Solo Dio può, nella sua infinita misericordia curare le nostre ferite, assolverci e perdonarci. Questo è il senso del “Signore pietà, Cristo pietà, Signore pietà”: solo Dio può renderci capaci di fare altrettanto.

La messa, ci siamo resi conto, è una splendida occasione per riflettere sugli inviti a pranzo o a cena che riceviamo, con la differenza che ad invitarci è Gesù. Quando siamo invitati siamo soliti prepararci per tempo, specialmente se la persona è di riguardo. Ci informiamo sui suoi gusti nel momento in cui cerchiamo qualcosa da portare, per non presentarci con le mani vuote. Pensiamo alla mensa attorno a cui la famiglia un tempo si riuniva e che sempre più spesso assiste alla sua disgregazione, perché manca il tempo o lo spazio per le parole, occupato dal telegiornale o dagli impegni veri o presunti dei suoi componenti.

La mensa della parola è quella che è venuta a mancare nella nostra civiltà, dove le parole si sprecano se devi scrivere SMS sul telefonino, mandarli magari in copia a tutti gli amici, senza spostarti né alzare lo sguardo su chi ti siede vicino. Adesso hanno inventato i telefonini per dare un volto alle parole. E’ un progresso, non c’è che dire, ma le parole, quelle che contano, dove sono andate a finire? Come si può trasformare la parola in cibo di vita?

Nella nostra chiesa, prima delle letture s’intona, lo “Shemà Israel”, che significa “Ascolta Israele”, il che è fondamentale per capirci qualcosa. Ascoltare, cosa che non siamo abituati più a fare, non perché abbiamo le orecchie tappate, ma perché non riusciamo più a fare silenzio sui nostri problemi, sulle nostre idee, sui nostri progetti, sulle nostre priorità. Non è questo il problema che interessa la maggior parte delle famiglie? Forse gli SMS li hanno inventati perché non si ha l’obbligo di ascoltare, quando si scrive.



Alla lettura del Vangelo segue l’offertorio, che non è altro che, dopo aver ascoltato cosa ha da dirci il nostro interlocutore, la presentazione di quello che possiamo donargli, poco o tanto che sia per collaborare ad un progetto comune, che è quello di camminare insieme. Questo è importante dirlo, specialmente alle coppie che decidono di sposarsi e che devono stabilire se vogliono la comunione o la separazione dei beni. La messa ci mostra quale aberrazione sia insita in quel decidere di separare i beni.

L’offertorio continua con il rito della Consacrazione, perché è Dio, attraverso Gesù che offre tutto se stesso per compiere il sacrificio perfetto, quello della riconciliazione di Dio con l’uomo.

“Fate questo in memoria di me”. Il sacrificio di riconciliarci è il più grande a cui Dio ci chiama e il Padre Nostro, la preghiera che ci ha insegnato Gesù, che si conclude con: ”Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori” E’ un invito a perdonarci prima di fare la comunione: un invito, se pensiamo agli sposi cristiani, a sgombrare l’animo da tutti i pensieri che dividono dall’altro prima di donarsi reciproca- mente, mettendo in comune tutto se stessi, come ha fatto Gesù.

Poi la celebrazione si conclude con le parole: “Ite missa est”, che non significa “La messa è finita”, come i più intendono, ma “Ciò che vi è stato trasmesso, annunciatelo”. Ogni messa finisce con un mandato, perché quando la bella notizia del Vangelo arde nel cuore, non si riesce a tenerla per se e si sente insopprimibile il desiderio, il bisogno di comunicarla. .

Questo è un dovere per tutti, specialmente per i genitori che hanno chiesto il battesimo per i propri figli, per quei genitori che hanno a cuore la salute fisica e spirituale.dei figli.

Solo dando loro punti di riferimento stabili, questi non saranno tentati di cercarli altrove.

Così facendo sarà naturale per i nostri giovani dire, come Marco: “Quante cose si possono fare con Gesù!” e pregare senza vergogna insieme ai grandi il Salmo 22.



Il Signore è il mio pastore

non manco di nulla.

Su pascoli erbosi mi fa riposare,

ad acque tranquille mi conduce.

Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino,

per amore del suo nome.

Se dovessi camminare in una valle oscura,

non temerei alcun male, perché tu sei con me.

Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza.

Davanti a me tu prepari una mensa

sotto gli occhi dei miei nemici;

cospargi di olio il mio capo.

Il mio calice trabocca.

Felicità e grazia mi saranno compagne

Tutti i giorni della mia vita,

e abiterò nella casa del Signore

per lunghissimi anni.




Canto: Cristo è risorto veramente (CD – “Risorto per amore” 1)

 18 aprile 2005

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