venerdì 8 settembre 2006

La comunità : luogo di perdono e di festa



Il tema di questo incontro mette in relazione tre parole:"comunità", perdono",festa" che sembrano non averne tra loro, almeno per gli studiosi di sociologia e per tutti gli addetti ai lavori, in quanto la comunità, intesa come luogo dove si mettono in comune delle cose, molto raramente è un luogo di festa o, se questo accade, raramente la festa dà gioia e pace e serenità anche quando stai fuori.




Conosciamo tanti tipi di comunità, e quelle di cui si parla di più sono quelle di recupero, che negli intenti vogliono riprodurre un clima di famiglia, per rimettere in piedi chi vi fa ricorso e restituire loro la dignità perduta.




Nello stesso tempo la parola"festa" , nella sua etimologia, richiama il focolare domestico, la casa, e quindi un ambiente familiare.




Il "perdono" unisce la parola "comunità"alla parola "festa", vale a dire che la chiave perché in una comunità si faccia festa è l’esercizio del perdono.




Di quale comunità vogliamo parlare? A quale comunità apparteniamo?




Subito ci viene in mente il gruppo a di cui facciamo parte, chiamato "Sacra famiglia" che ci vede qui riuniti oggi, ma anche la nostra famiglia d’origine o quella a cui, sposandoci abbiamo dato vita, la parrocchia, famiglia di famiglie, per finire alla Chiesa, assemblea di tutti i credenti, di tutti i figli di Dio. Dalla più piccola alla più grande, in ognuna siamo chiamati a testimoniare l’amore di Dio, a metterlo in circolo, a dare vita a chi non ce l’ha, a portare acqua a chi non sa o non può o non vuole attingere direttamente alla fonte.




L’amore è fonte di vita e il gruppo di preghiera è la piccola serra del Signore, è il luogo dove si coltiva questa pianta in via d’estinzione, capace di produrre frutti che non marciscono e capaci di soddisfare gli appetiti di tutti gli scontenti, gli arrabbiati, i depressi della terra.




La preghiera è il necessario collegamento alla fonte della vita, nella sottomissione a chi ci dà luce, forza e calore per crescere e portare frutto.Ma la preghiera da sola non basta ,se non nasce da un accordo con i fratelli.




Se osserviamo la croce, vediamo che un’estremità è conficcata nella terra e l’altra si protende verso il cielo, mentre le altre due che si allargano ad abbracciare gli uomini, per farli entrare nella comunione con Dio.




L’accordo, di cui si compone la melodia, è fatto sempre con tre note, ma non c’è strumento che funzioni bene se non lo si accorda con qualcosa che funga da unità di misura.Quindi non basta accordarsi per fare qualcosa(anche i delinquenti lo fanno per portare a termine un misfatto), ma è necessario che ognuno si sintonizzi con il Signore, la nostra perfetta e ineguagliabile unità di misura.




" Se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro"dice Gesù ( Mt18,19-20).




L’accordo a cui ci chiama il Signore è quello che nasce dall’ascolto della sua parola, che è parola di giustizia e di verità, è quello che viene irrobustito e capace di far fluire il bene nelle più piccole e nascoste parti del Corpo Mistico, dall’Eucarestia e tutti gli altri Sacramenti attraverso cui Dio ci dona l’amore.




I Sacramenti sono il frutto del perdono di Dio, del suo amore testimoniato fino alla donazione totale di se,attraverso l’incarnazione e morte per donarci lo Spirito.




"l’uomo non vive di solo pane, ma …..di quanto esce dalla bocca del Signore" troviamo scritto nel Deuteronomio.(Dt8,1-4)




La parola di Dio è il nutrimento che serve per attraversare il deserto senza che il vestito si logori addosso e il piede si gonfi.




La parola di Dio è parola di perdono, è testimonianza d’amore.




Con la sua parola ci parla dell’alleanza stretta con il popolo d’Israele alla quale non è venuto mai meno, neanche di fronte alle defezioni più vistose.




Il perdono di Dio si è fatto carne in Gesù , la Parola che è all’origine di tutte le altre e le spiega e le comprende, la Parola che incarna il perdono di Dio e ci rende capaci di fare altrettanto




I Sacramenti sono il segno tangibile del perdono di Dio, sono un "super dono", se così si può dire, visto che i nomi non hanno il superlativo, al contrario degli aggettivi.




Con il Battesimo Dio ci riporta alla condizione originaria, riammettendoci nella sua casa, il giardino dell’Eden; con la Cresima, ci riconferma nella comunione con Lui, con l’Eucarestia ci dona se stesso, sostituendosi a noi per l’espiazione dei nostri peccati;con la Riconciliazione ripete il suo perdono, tutte le volte che glielo chiediamo; con l’Unzione degli infermi si piega sulle nostre ferite visibili e invisibili e le cura e le guarisce; con il Sacramento del Matrimonio in cui dona la Grazia, , cioè gli strumenti per amare per tutta la vita il coniuge, nella sua inadeguatezza, povertà, incapacità ad essere come vorremmo, con l’Ordine attraverso il quale fornisce i mediatori ordinari della sua grazia, i sacerdoti, ministri ordinari di perdono.




Tutti i Sacramenti, quindi, sono finalizzati a dare vita all’uomo, a renderlo felice, vale a dire fecondo, capace di dare vita agli altri, capace di portare frutto, attraverso la vita donatagli da Dio.(Non è un caso che la parola "felicità" si riporta al verbo greco"phyo", "sono fecondo, produco, porto frutto").




Ma il Sacramento che più degli altri ci nutre è l’Eucaristia, perché in esso è Dio stesso che si fa cibo e bevanda per noi, un Dio che in Cristo Gesù è diventato pane e Parola, quella che viene spezzata e condivisa nella mensa eucaristica., per soddisfare gli appetiti di tutti gli affamati e gli assetati del mondo..




In effetti il pane e la parola sono il necessario viatico per chi deve attraversare il deserto, per quelli che vogliono arrivare alla terra promessa.




Pane e parola sono gli ingredienti per fare comunione, pane e parola sono quelle che si spezzavano attorno alla mensa delle prime famiglie cristiane(At2,42;4,32), pane e parola sono gli ingredienti di cui sono sempre più prive le nostre mense, le mense delle famiglie degli uomini.




La comunione è il valore più alto a cui una comunità deve tendere e questa si ottiene soltanto quando la parola è parola di perdono, di accettazione dell’altrui diversità, è commozione per l’altrui fragilità, è tenerezza per ciò che non riesce a fare, è dono gratuito perché l’altro abbia la vita.




La comunione è frutto di condivisione del pane, di ciò che si è e di ciò che si ha, condivisione di beni materiali e spirituali, dei talenti(carismi) che Dio ha affidato ad ogni uomo per metterli a servizio della sua Chiesa.




Dio con l’Eucaristia ci chiama alla responsabilità verso chi ci ha messo a fianco, "il prossimo"(superlativo di "prope" vicino); ci interpella sulla responsabilità verso il fratello debole; la storia di Caino e Abele ci parla di questa responsabilità."Dov’’è tuo fratello?" chiede Dio a Caino(Gn4,9).




L’Eucaristia ci parla della nostra responsabilità nei confronti, di tutti i fratelli uniti a noi nel suo Corpo Mistico.




Le parole della consacrazione" Prendete e mangiatene tutti, questo è il mio corpo che è dato per voi.Fate questo in memoria di me"(Lc22,17-20) ci dicono che celebrare e fare memoria non è compito solo del sacerdote che consacra il pane e il vino, ma di ogni battezzato chiamato a fare ciò che ha fatto Gesù.




Il perdono è la strada scelta da Dio per darci la vita, il perdono è il concime che alimenta e fa crescere le piante, nelle piccole e grandi serre dove si coltiva l’amore. Il perdono è testimonianza d’amore, il perdono porta pace e gioia nelle nostre comunità e di conseguenza nei luoghi dove viviamo o operiamo.




Gesù è venuto tra noi a mostrare il vero volto del Padre.




Ai comandamenti scolpiti sulle tavole della legge, tre a sinistra che contemplavano i doveri verso Dio, sette a destra per i doveri verso il prossimo, Gesù ha sostituito un comandamento nuovo che li riassume tutti, "ama il prossimo tuo come te stesso" , volutamente ignorando i doveri verso Dio, scritti sulla tavola di sinistra.




"Se non ami il fratello che vedi, come puoi amare Dio che non vedi?"




Se hai un’offerta per l’altare…va’a riconciliarti..)(Mt5,24)




Per amare Dio bisogna passare attraverso un amore umano, per apprezzare il suo sacrificio bisogna fare esperienza di amore non corrisposto sì da desiderare il suo che non si è arreso di fronte al tradimento dei suoi più intimi amici, del suo "prossimo"




"Amatevi come io vi ho amato", questa è la perfezione dell’amore.




Ma come ci ha amato Dio?




Perdonandoci non sette volte, ma settanta volte sette, per cui il comandamento nuovo può esprimersi così:"Perdona il prossimo come perdoni te stesso.Perdonatevi come io vi ho perdonato."




Dio testimonia che, pur se sbagliano, continua ad amare i suoi figli e non li abbandona, ma si serve delle prove per far capire loro ciò che conta veramente nella vita, ciò che è essenziale, chiarificando il desiderio, dando ad ognuno il nutrimento necessario che alla fine si rivela l’unico che dona la vita:il perdono.(Dt8,1-4)




Solo così il deserto lo si può attraversare senza che la veste si logori addosso e il piede si gonfi.




Tutta la storia d’Israele è una storia d’amore tra Dio e il suo popolo, un amore che non dipende dalla bravura di chi si è scelto, né dalla disponibilità a lasciarsi aiutare e trasformare da Lui..




L’amore basta all’amore e non ha giustificazioni, almeno quello di Dio.




Riconoscersi peccatori, non bravi, non buoni, bisognosi di perdono, ci porta ad accogliere il perdono che viene dall’alto, a lasciarci nutrire dall’amore gratuito di Dio e a desiderare di trasmetterlo anche ai nostri fratelli.




"Eterna è la sua misericordia" ripetiamo in un salmo tra i più conosciuti, riconoscendo a Dio la capacità di perdonare all’infinito..




La società in cui viviamo sente la necessità di perdonare, tanto da prevedere nelle sue leggi forme di perdono come l’amnistia, il condono, l’indulto, la grazia.




Il giubileo, nelle società antiche, serviva a condonare i debiti contratti, perché la società deve poter ricominciare da capo e non può essere sempre in conflitto con se stessa.




Ma noi sappiamo perdonare? Che tipo di perdono è il nostro?




Il testo di Giulia Paola Di Nicola e Attilio Danese "Per…dono"edito da Effatà ci aiuta in tal senso.




Vi scopriamo forme illusorie di perdono che non conoscevamo come quello superficiale che rimanda l’esplosione del conflitto; quello ragionevole, che cerca di scusare l’altro; quello impotente, conveniente che avalla il comportamento scorretto; quello umiliante, rinfacciato,pesante,indolente per incapacità relazionale, quello l blak out, differito per penalizzare l’altro,quello accomodante,paternalista, che dissolve l’altro, il perdono abusato,ombelicale per l’incapacità a vivere la mancanza di serenità in famiglia, il perdono predicato,minimalista, sotto condizione,vicario, generico che non implica uno sforzo personale e un rapporto personale.




Tutti questi perdoni sono falsi imperfetti perché non hanno come effetto quello di mettere in circolo l’amore che fa crescere l’altro nella gratuità del dono.




Gli imperdonabili sono quelli che non hanno scusanti, quelli che umanamente è impossibile perdonare, ma che solo il nostro perdono può riabilitare e trasformare in creature nuove.




Gli imperdonabili.devono stupire per ciò che inaspettatamente viene loro concesso e da lì ripartire per una vita nuova. In questo caso fondamentale è l’intervento della Grazia per riuscire a fare ciò che Dio ha fatto per noi.




Ma frutto della Grazia è anche il riconoscersi bisognosi di perdono. Solo chi si sente imperfetto riesce a comprendere l’altrui inadeguatezza.




Bisogna fare esperienza di perdono per poter perdonare.




"Amatevi come io vi ho amato" Ma come ci ha amato Dio? Come ci ha perdonato?




La storia d’Israele è storia di alleanza, fedeltà, perdono.La nostra storia gode dei frutti del perdono.




Il perdonodi Dio è gratuito, parte dall’amore e dalla fiducia nei riguardi dell’uomo. Un dono gratuito e inaspettato allarga il cuore e spinge a fare altrettanto, perchè la carità è contagiosa.Chi si sente perdonato è spinto a perdonare. Chi ha fatto esperienza dell’amore gratuito di Dio non può sottrarsi all’azione della Grazia che opera in tal senso.




Il perdono di Dio educa quindi a fare altrettanto. Come?




Sicuramente l’invocazione allo Spirito che ci dia occhi per guardare e cuore per amare come Dio ha fatto con noi non è senza frutto, ma anche la lettura della Parola ci aiuta in tal senso. La vicenda di Giuseppe è emblematica.(Gn42-45)




Giuseppe, venduto dai suoi fratelli, pur desiderando riabbracciarli, appena li riconosce, si trattiene e li fa un po’ soffrire perché capiscano e imparino dall’esperienza concreta il difficile cammino della presa di coscienza del male fatto.




Il perdono non può prescindere dalla memoria di quanto è accaduto. Perché la ferita si rimargini bisogna guardarla e curarla, lasciandola scoperta.




Il perdono che parte dalla decisione di mettere una pietra sopra il passato serve solo a far imputridire la piaga.




Il perdono è memoriadella crisi, è vedere lo strappo come occasione di crescita, come opportunità per creare un vincolo più saldo. Il perdono è l’altra faccia dell’amore che nasce dalla tenerezza che suscita la compassione per l’altrui fragilità.




(Pensiamo a quale sentimento proviamo nei confronti di un bambino che non riesce a fare bene ciò che per i grandi è normale)




La capacità di perdonare a prescindere e nonostante tutto, viene da Dio e umanamente non può esserci perdono perfetto, ma solo approssimazioni che non sono liberanti e non promuovono la persona.




Ogni cristiano è chiamato a dare vita, a far crescere l’altro, a partorirlo a Cristo Gesù e in quest’ottica deve essere visto il perdono: come opportunità data all’altro di entrare nella corrente della Grazia, la corrente della vita.




Il perdono a cui ci chiama Cristo è un perdono al fratello che ci ha messo accanto, il più vicino, quello che ci scomoda di più e quello che ci sembra imperdonabile, quando tradisce la nostra fiducia.




Quando si perdonano i tedeschi per l’olocausto o noi Cristiani chiediamo perdono per la barbarie implicita nelle crociate facciamo molta meno fatica di quanta ne implichi aprire il cuore all’imperdonabile coniuge che ci tradisce con una donna o con i suoi hobby, le sue amicizie, il lavoro ecc. o il condomino che vuole sempre avere ragione o ci butta l’acqua sul balcone, quando annaffia le piante o la collega pettegola che ha sparlato di noi ecc.




Il perdono dà vita a chi lo dona e a chi lo riceve, perché ristabilisce la comunione a cui Dio ci ha chiamati, quella che pensiamo di fare, quando andiamo alla Messa e prendiamo l’Eucarestia, magari ogni giorno, dimenticando che il Corpo di Cristo è la comunità dei credenti, e a quella dobbiamo dare da mangiare e da quello dobbiamo farci mangiare, lavare e farci lavare i piedi, perdonare e farci perdonare.




Ma certe persone non lo meritano il perdono, ci diciamo e ci sentiamo bravi anche solo se ci teniamo alla larga.




Gesù è maestro del perdono.Nei Vangeli vediamo che gli imperdonabili, sono quelli con i quali si mischia, i peccatori condannati senza appello da scribi e farisei.




Quando, dopo la resurrezione, compare nel cenacolo, passando attraverso le porte chiuse, saluta i disertori con le parole:" Pace a voi!"(Lc24,36).(Il perdono che prescinde)




Sempre nel Vangelo di Giovanni (Gv21,16)troviamo una pagina illuminante nell’ultimo dialogo tra Pietro e Gesù risorto, sulla sponda del lago di Tiberiade."Pietro mi ami tu?"gli chiede per due volte usando il verbo "agapào" e solo all’ultimo il verbo "filèo", adeguandosi alla risposta di Pietro che conosce solo quel modo di amare, espresso dal verbo filèo che usa in tutte le tre risposte.(Gesù continua ad abbassarsi anche dopo la resurrezione. Il perdono è frutto di una discesa, di un abbassamento)




La lavanda dei piedi che san Giovanni riporta come segno del dono che Cristo si apprestava a lasciare agli uomini ci fa entrare più intimamente nel mistero del perdono divino.(Gv13,1-17)




Gesù lava i piedi agli apostoli, prima di mangiare, nonostante questo servizio fosse riservato solo ai non circoncisi. Gesù maestro, il Rabbì comincia la condivisione del cibo, abbassandosi, indossando il grembiule, mettendosi sotto. Ecco il perdono parte dalla convinzione che non siamo migliori degli altri, passa attraverso un farsi carico di ciò che dell’altro è sporco e manda cattivo odore, sfocia in un desiderio di liberarlo da ciò che lo rende indegno, inadeguato.




Gesù, lavando i piedi ai discepoli, li rimette in piedi, restituisce loro la dignità perduta.




Per perdonare è necessario riabilitare l’altro, partendo dalla sua discolpa, facendo uno sgombero nella nostra casa perché vi possa entrare l’altro e possa parlare al nostro cuore con la sua storia. Divenire casa accogliente per l’altro, ascoltandolo, mettendoci nei suoi panni, è una strada che possiamo percorrere alla ricerca di elementi che mettano in luce l’innocenza dell’altro.




Gesù è diventato per noi casa accogliente, nella quale spesso ci rifugiamo, ma ci ha chiamati ad esserlo l’uno per l’altro.




Quando si trasloca, si sgombra la casa. Il trasloco è quello che Dio ci chiama a fare, quando vogliamo capire e farci capire, quando vogliamo comunicare, mettere in comune quello che abbiamo e non abbiamo, per far posto all’altro.




Dio ci ha dato l’esempio, quando ha indossato i nostri panni, preso la nostra carne per comunicarci il suo amore in modo tangibile.




Continuiamo a guardare come opera Dio.




Dio, spinto dall’amore verso l’uomo che ha fatto a sua immagine e somiglianza ha fiducia in lui e perdona perché sa che la riabilitazione porta l’uomo a rifarsi una vita, vale a dire a passare dalla morte alla vita.




Imparare a perdonare è un cammino di crescita, un percorso di vita per noi e per gli altri.




Ma dove dobbiamo esercitare il perdono?




Sicuramente nella comunità di cui facciamo parte a cominciare dalla più "prossima", che è quella in cui siamo nati o quella che abbiamo con il nostro coniuge formato.




Ma poiché non si improvvisa il perdono, ecco che è necessario esercitarsi. Di qui l’immagine della serra, il gruppo di cui facciamo parte, dove ci si abbevera alla stessa sorgente.




Il nostro gruppo si chiama "Sacra famiglia"non a caso, perché ad essa vuole ispirarsi nei valori, nelle scelte, nelle azioni perché Dio si renda visibile in mezzo a noi.




Dio ha scelto di incarnarsi in una donna,ma ha avuto bisogno di due sì, quello di Maria e quello di Giuseppe .L’accordo è fondamentale per far incarnare e rendere presente Gesù.




Gesù ha scelto di vivere in una famiglia, i cui membri erano legati tra loro attraverso l’amore a Dio e all’altro.Nella Sacra Famiglia i membri erano sottomessi a Dio e sottomessi l’uno all’altro.(Maria era sottomessa a Giuseppe Gesù a suo padre e a sua madre ecc.)




Oggi la famiglia che fa notizia è quella che non funziona.Lo stato,a corto di famiglie su cui legiferare, si propone di aumentarne il numero legittimando quelle di fatto.Le famiglie oggetto di discussione sono quelle che non danno garanzie ma le pretendono dallo stato, quelle che non pensano che l’indissolubilità sia un valore, che la diversità sia una risorsa, che la stabilità un’assicurazione a tempo indeterminato per la felicità dei figli..




Il Dio in cui crediamo è un Dio famiglia, è Dio Trinità, un Dio che ha creato l’uomo a sua immagine, maschio e femmina, perché della diversità facesse una ricchezza, chiamati il maschio e la femmina a continuare la sua opera creatrice.




Il Dio della Bibbia è padre e madre, fratello e sposo e ci ha dato la vita perché fossimo a tutti gli effetti figli ed eredi del suo patrimonio di grazia e di amore.Il suo è un linguaggio familiare.




La famiglia in cui Dio ci ha chiamati è caratterizzata dall’amore profuso gratuitamente ad ogni uomo, chiamato di volta in volta "figlio","fratello","sposo".




(Appartenere ad una famiglia significa essere una di queste cose.)




Dio testimonia il suo amore con la fedeltàalla promessa, al vincolo, all’alleanza che ha stretto con l’uomo, alleanza unilaterale, alleanza che con lo spirito Santo effuso da Cristo l’uomo è in grado di non rompere.La disponibilità alperdononon sette ma settanta volte sette è garanzia di stabilità e di realizzazione della promessa.




La famiglia, luogo privilegiato scelto da Dio per fare della diversità una ricchezza, della crisi una risorsa, dell’unione una possibilità di vita, ha bisogno di persone che attingano direttamente alla fonte dell’amore, per metterlo in circolo lì dove i serbatoi sono vuoti.




Concretamente il gruppo deve fortificare i suoi componenti per testimoniare e rendere visibile Dio fra gli uomini, per rendere visibile il capolavoro di Dio, la famiglia, a cui ha dato il compito di trasmettere la vita, di continuare la sua opera creatrice..




L’uomo è uno e se impara a perdonare non farà differenza fra il fratello con cui si incontra una volta alla settimana e il marito o la nuora o la cognata che hanno comportamenti imperdonabili




Il perdono più difficile è quello che si dona a chi ci ha tradito, ha tradito la comunione, chi ha tradito la nostra fiducia, chi ci parla alle spalle, chi non riesce ad essere buono.




La volontà concreta di perdonare porta al perdono con l’aiuto di Dio.




La comunità che perdona è la comunità dove si fa festa, si esprime la gioia di essere felici, cioè di dare vita, rendere fecondi, portare frutto.La comunità che perdona è quella dove la vita circola liberamente e lo Spirito di Dio fa nuove tutte le cose. La comunità che perdona è messaggera di pace, portatrice di lieti annunzi.




Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono, diceva Giovanni Paolo II. Il perdono è la giustizia di Dio , perché in Lui misericordia e giustizia s’incontreranno, perché ciò che preme a Dio è la nostra salvezza e per la nostra salvezza è stato disposto a tutto.




La pace che molti pensano di realizzare con i discorsi e con gli striscioni, si costruisce nelle nostre famiglie, qualunque sia il numero e la tipologia dei suoi componenti (Negli atti degli Apostoli troviamo famiglie sui generis:famiglie di vedove, di eunuchi, di coppie senza figli.Ciò che le accomunava era il pane e la parola condivisi.Nessuno può sottrarsi al vangelo della famiglia, pur se vive solo), attraverso la composizione dei conflitti, alla luce del Vangelo, nello sforzo di tenere aperto il cuore per riaccogliere chiunque si smarrisca nella notte.




Così lo stile di vita del cristiano non differisce quando è dentro l’appartamento da quando ne esce fuori, perché le relazioni intessute sull’esempio della Sacra Famiglia di Nazaret non dipendono dal tempo,dal luogo e dalle persone per testimoniare la presenza di Dio fra gli uomini.







Concludiamo con l’impegno ad accogliere e fare nostra l’esortazione di san Paolo agli Efesini(Ef 4,29-32):"Nessuna parola cattiva esca più dalla vostra bocca;ma piuttosto parole buone che possono servire per la necessaria edificazione, giovando a quelli che ascoltano,E non vogliate rattristare lo Spirito Santo di Dio,col quale foste segnati per il giorno della redenzione.Scompaia da voi ogni asprezza,sdegno, ira, clamore e maldicenza con ogni sorta di malignità.Siate invece benevoli gli uni verso gli altri,misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato voi in Cristo."




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Relazione al gruppo "Sacra famiglia" del RnS

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