martedì 8 agosto 2006

8 Famiglia oggi:riflessioni di coppia




Rubrica radiofonica a cura di Gianni e Antonietta .






Canto: Cristo è risorto veramente(CD – “Risorto per amore” 1)






Un caldo e affettuoso saluto a tutti cari amici all’ascolto di Radio Speranza.


Vi danno il benvenuto a questa trasmissione, Gianni e Antonietta.


Ci auguriamo che stiate tutti bene, perché la vera conversione, ascoltavamo alla radio alcune mattine fa, nel commento che faceva del Vangelo del giorno un sacerdote, è sopravvivere alla schizofrenia del Natale, al delirio collettivo a cui sembra non ci si possa sottrarre. Ed è proprio vero, nuotare controcorrente, ricavare uno spazio per stare a tu per tu con il festeggiato, non perdere di vista la stella e la capanna e Gesù che è venuto a riscaldarla e illuminarla è impresa a dir poco eroica, dono dello Spirito, altrimenti non ce la faremmo.


Avevamo pensato io e Antonietta che questa settimana potevamo saltare l’appuntamento del lunedì, visto che c’era in riserva una replica, per cui potevamo benissimo starcene a casa e nessuno ci avrebbe detto niente. Ma, l’abbiamo detto all’inizio di questi incontri, questo appuntamento prima che con voi è con il Signore davanti al quale cerchiamo di accordarci.


Gli anni scorsi per tutte le cose che si dovevano fare, per carità tutte buone, il pranzo, i regali, le visite, raramente ci siamo trovati da soli a parlare, discutere, riflettere su quello che il Signore ci stava donando.


Ma incredibilmente il pomeriggio del 25 ci siamo trovati liberi da impegni che non fosse questo appuntamento e pensando al giorno dopo, abbiamo scoperto che quest’anno la festa di S. Stefano è soppiantata da quella della Sacra Famiglia.


Allora dobbiamo metterci al lavoro, abbiamo pensato senza dircelo, perché quale occasione più bella è quella di parlare della famiglia, avendo presente l’icona della Sacra Famiglia di Nazaret?





Gianni mi ha invitato a riflettere sul sì di Giuseppe, che ha cambiato la storia, proprio così, il sì che ha dato il via libera al progetto di Dio.



Per incarnarsi Dio ha avuto bisogno non di un solo sì, quello di Maria, ma del sì di una coppia che si è sottomessa alla sua volontà.Cosa sarebbe successo se Giuseppe avesse deciso di rimandare la sposa in segreto, come all’inizio aveva pensato?



Solo un miracolo avrebbe sottratto Maria alla giustizia del tempo.



Ma i miracoli che compie Dio sono solo quelli che nascono dall’amore condiviso, scelto come programma di vita, amore che si alimenta con l’ascolto e l’ubbidienza alla Sua parola.



Questo è quello che ci insegna la Sacra famiglia di Nazaret dove l’accordo non era sui propri interessi, ma su quelli di Dio, dove la parola ascoltata era quella che veniva dall’alto, dove l’ubbidienza al Padre era il fondamento del rispetto reciproco e della reciproca ubbidienza.



Il Vangelo non ci riporta parole che si siano scambiate Maria e Giuseppe per il tempo che vissero insieme, ciò che concordemente fecero ascoltando quello che, attraverso i suoi messaggeri, Dio voleva dire loro.



Un fare che derivava da un essere, dalla consapevolezza che prima di essere sposi e genitori Maria e Giuseppe erano figli di uno stesso Padre che li aveva chiamati a rendere feconda la loro unione attraverso un sì ripetuto nel silenzio all’infinito.



Stiamo facendo, io e Gianni, esperienza di quanto ci ricordarono in occasione dell’anniversario dei 25 anni di matrimonio, Lorenzo ed Elisabetta, cari e fidati compagni di viaggio, di cui siamo stati testimoni di nozze.






La fedeltà è il nostro amore appoggiato su Dio che è fedele alla parola data.


Lui per noi è la roccia.


Sulla sua fedeltà appoggeremo il trascorrere del tempo:


quando ci sarà il sole,


quando il dolore ci piegherà,


quando l’errore ci vorrà separare,


quando il dubbio ci renderà ambigui ricorderemo che ci siamo


donati fedeltà;


perché nessuno di noi due potrebbe essere se stesso lontano


dall’altro.


Non ci sono spazi in noi che non appartengono all’altro e


Non ci saranno mai fra noi proprietà sull’altro.


Per tutta la vita:


quando il vento sarà nostro amico,


quando il silenzio vorrà allontanarci,


quando nostro figlio ci chiamerà per la prima volta,


quando andrà via da solo.


Per tutta la vita:


quando mille impegni ci porteranno lontano,


quando non ci sarà che il nostro giardino per trascorrere il


giorno. Quando gli amici allieteranno la nostra casa,


quando in lunghe sere avremo già detto tutto e con amore


impareremo a tacere insieme.





Cosa volevano dirci allora non l’abbiamo capito, ma ci colpì il silenzio che avremmo dovuto imparare dopo esserci detto tutto.



Il silenzio lo conoscevamo, era quello della pretesa che l’altro capisse, che l’altro cambiasse, un silenzio spesso carico di rancore, di risentimento di attesa o di pensieri di fuga dallo stare lì ad aspettarci.



Di parole ce ne dicevamo poche per educazione, per rispetto per paura di rompere equilibri faticosamente raggiunti, ma estremamente precari.



Per tutta la vita” era il tema della riflessione proposta dai nostri amici, fratelli rigenerati in Cristo, ma allora aveva il sapore amaro di una condanna.



Quando, sommersa, sepolta in un cassetto, ci siamo imbattuti nella pergamena che conteneva quelle parole d’augurio, abbiamo pensato ad un altro silenzio, ad un altro sì detto in una notte stellata, quello di Abramo:






La moglie di Abram era sterile e non aveva figli (Gen 11, 29-30)


Il signore disse ad Abram: “Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò. Farò di te un grande popolo e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e diventerai una benedizione.


Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò e in te saranno benedette tutte le famiglie della terra”


Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore, e con lui partì Lot. Abram aveva allora 75 anni quando lasciò Carran. Abram dunque prese la moglie Sara, e Lot, figlio di suo fratello, e tutti i beni che avevano acquistato in Carran e tutte le persone che si erano procurate e s’incamminarono verso il paese di Canaan” (Gen 12,1-5)


Questa parola del Signore fu rivolta ad Abram in visione:”Non temere, Abram,. Io sono il tuo scudo; la tua ricompensa sarà molto grande”.


Rispose Abram” mio Signore Dio, che mi darai? Io me ne vado senza figli e l’erede della mia casa è Eliezer di Damasco.” Soggiunse Abram: “Ecco a me non hai dato discendenza e un mio domestico sarà mio erede”.


Ed ecco gli fu rivolta questa parola del Signore: “Non costui sarà tuo erede, ma uno nato da te sarà il tuo erede”. Poi lo condusse fuori e gli disse: “Guarda il cielo e conta le stelle, se riesci a contarle” e soggiunse.”Tale sarà la tua discendenza”.


Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia.” (Gen, 15, 1-6)





Sulle orme del patriarca Abramo vogliamo ripercorrere con voi le tappe che ci hanno portato ad un sodalizio, ad un’alleanza nuova, dove la fatica del cammino è sostenuta dalla fede in un Dio che non inganna e non delude, ma mantiene sempre le sue promesse.



La storia di Abramo ci introduce in quella che può essere la situazione di una coppia statica, ferma, ancorata alle sue certezze, alle sue sicurezze, la casa, il prestigio, la condizione economica (La terra di Carran), tranne un rammarico, quello di non avere un figlio.



Coppia sterile che non ancora riesce ad aprirsi ai bisogni dell’altro, a dare vita perché non ha vita.



Dei due Abramo è colui che il Signore interpella, chiama a rispondere ad un grande progetto che Dio ha fatto sulla sua famiglia e sulla sua discendenza.



Sara è meno convinta, ma accetta di seguire lo sposo, di condividerne gioie e dolori e pian piano si accorge che Dio fa sul serio e che mantiene le promesse come quella di dare a loro un figlio, nonostante l’età avanzata.



La richiesta di Dio di sacrificarlo può apparire inverosimile o incomprensibile, ma Abramo continua a fidarsi e si avvia sul monte dove dovrà sacrificargli la cosa a cui teneva di più.



Quante volte nella nostra vita ci troviamo a dover rinunciare, non per nostra scelta ciò a cui siamo attaccati!



Abramo deve fare ancora una volta una scelta, insieme a sua moglie, una scelta dolorosa e difficile che non comprende ma che consegna al Signore, unico regista della sua storia familiare.



Il sì di Abramo è stato tante volte associato a quello di Maria, un salto nel buio del mistero di Dio che si manifesta in tutta la sua misericordia solo dopo che gli abbiamo consegnato la guida della nostra vita.






La storia di Abramo e Sara ci porta a riflettere sul dono che Dio fa all’uomo, il seme che consegna alla coppia perché un granellino di senapa, l’amore che essi nutrono l’uno per l’altro diventi, attraverso lo spaccarsi e il marcire, un germoglio, una pianta sana e vigorosa, che affonda le sue radici nelle profonde viscere della terra e che solleva i suoi rami fino al cielo.


Questo seme è l’amore che l’uomo deve coltivare, attraverso la fede che nutre per un Dio che è fedele sempre e non delude mai le aspettative.


Abramo è l’uomo dell’ascolto, l’uomo del sì, l’uomo della fiducia incondizionata in Dio che sente amico, alleato, compagno nel viaggio intrapreso con la sua sposa alla volta della terra promessa, dove si realizzerà il suo sogno di avere una grande discendenza.


Ascolta Israele!” è il grido accorato che riecheggia in tutta la Bibbia, “Israele se tu mi ascoltassi!”


Abramo è l’uomo della fede, il prototipo del credente che è pronto a lasciare tutto, le sue sicurezze, la sua posizione sociale, pronto anche a sacrificare ciò a cui tiene di più, perché si fida di Dio, che sente alleato potente.


Abramo riesce a coinvolgere in questo salto nel buio la sua sposa, incredula ma obbediente fino a trasmetterle quella fede che lo accompagnò nel percorso lungo e difficile verso la terra promessa.


La fede fu premiata con la nascita di un figlio, dalla cui discendenza sarebbe nato il Salvatore.


Il sì di Abramo, il sì di tanti che gli succedettero, il sì di Maria e di Giuseppe, il nostro sì permette a Dio d’incarnarsi e operare nella nostra storia ieri, oggi, domani, sempre.





Così è cominciato il viaggio della nostra coppia, non più in solitudine ma alleati allo Sposo, che abbiamo ospitato nella nostra casa, dandogli il posto d’onore, con Gesù che ci porta per mano e ci insegna a diventare ciò a cui siamo stati destinati, icona della Trinità di Dio.



Non è semplice il cammino della fede e ogni giorno ci ritroviamo a guardare quante cose sbagliamo e quanto siamo distanti dalla meta. Ma importante è la direzione che con caparbietà ogni mattina ci riproponiamo di fissare bene nella mente.






Canto: “Saldo è il mio cuore” (MC “Vittoria” – B, 5)






Ciò che leggiamo nella Bibbia è simbolicamente ciò che accade ad ogni uomo, che si trova ad attraversare il deserto della vita.



Se decide di attraversarlo insieme a Dio, sicuramente la traversata sarà più facile, se decide di farlo insieme, unendosi in matrimonio ad un altro diverso da sé non avrà a pentirsene, perché ognuno metterà in gioco ciò che ha, per la riuscita del progetto, impegnandosi a stare sempre uniti, anche quando sembra che l’altro remi contro.



Accogliere il progetto di Dio nella propria vita, significa affidarla a Lui, metterla nelle sue mani perché la trasformi in un’opera d’arte.



Noi coppia ormai sterile abbiamo dato la vita biologica a nostro figlio 32 anni fa, ma abbiamo cominciato a farlo crescere nella libertà e nella responsabilità quando abbiamo capito che non è nostro ma che ci è stato affidato.



Lui ci ha portato M. e insieme ci hanno regalato Giovanni, quanti figli in un’età che si dice ormai infeconda!



Giovanni è l’ultimo regalo in ordine di tempo ma il maestro, il più grande per farci capire cosa significhi essere padri e madri, cosa significhi amare.



A Luglio mio padre se n’è andato, carico di anni e di sofferenza, senza lasciare testamento perché non ce n’era bisogno.



La nostra famiglia unita nell’amore è la sua eredità che oggi ci stiamo godendo.






L’eredità promessa ad Abramo è la sua discendenza, è la famiglia dei figli di Dio, quella che ogni uomo può trasmettere se accoglie nella sua casa Gesù, testimone fedele dell’amore che nutre per ogni creatura..


E’ incredibile constatare come Maria e Giuseppe non riuscivano a trovare una casa per fare nascere il figlio di Dio, ma come Dio non a caso si sia servito proprio di una stalla per essere accolto e come non abbia disdegnato come culla una mangiatoia per essere deposto a Betlemme, che significa “casa del pane”.


Gesù, destinato a diventare pane spezzato per tutti gli affamati del mondo, non fa lo schizzinoso, anzi trasforma le umili e povere cose che i genitori avevano potuto procurargli per dare ad esse il valore che il mondo aveva loro negato, insegnandoci già al suo apparire quali erano le sue preferenze.


Ma cosa avevano di tanto speciale questi sposi da essere scelti da Dio per incarnarsi nella loro dimora? La fede coltivata nel silenzio, nell’ascolto nell’ubbidienza alla Sua parola.


La fede come presupposto per qualsiasi cammino, per qualsiasi progetto che vogliamo sfoci nel godimento dei frutti della nostra fatica, quella fede che ci è data nel Battesimo e che ci rende a tutti gli effetti figli di Dio, in tutto eredi del patrimonio di grazia e di amore al quale siamo stati destinati.


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Non a caso il nuovo rito del matrimonio fa memoria del Battesimo come punto di partenza per diventare coppia feconda..



Chi non fatto esperienza d’amore, non è capace di amare, come vediamo accadere in tante famiglie dove le vittime delle divisioni e dell’odio fra i coniugi sono i figli incapaci di aprirsi a relazioni durevoli e felici, fino a quando non fanno esperienza di amore gratuito e totale.



A Giovanni il nostro nipotino ci stiamo sforzando di trasmettere quanto superi Dio la nostra capacità di amare, di essere buoni. Ancora una volta il presepe ci ha dato una mano. Tutto il tempo della preparazione, avevamo fatto osservare a Giovanni le statuine, suggerendogli le risposte ma anche suscitando in lui domande su chi e su cosa stessero facendo. Poiché la cosa che più lo ha colpito è quello che avevano in mano, che in fondo le differenzia le une dalle altre, è riuscito a stupirci immaginando ciò a cui noi mai avevamo pensato: che dentro un sacco, una borsa o un cestino fossero contenuti i giochini per Gesù.Infatti il dono di pecore e caprette a lui ben poco interessava, anzi se li voleva portare a casa sua tutti gli animali, per poterci giocare con comodo.



Poi l’altro giorno, prima di cominciare a mangiare, turbato da una visita inaspettata, si è rifiutato di ringraziare del cibo Gesù e di mandargli un bacetto, come è abituato a fare.



L’istinto è stato quello di impuntarmi, ma poi il Signore mi ha illuminato e mi ha aperto la strada per introdurlo nell’amore di Dio.



Gli ho detto all’orecchio, mentre mortificato per la mia reazione si era nascosto in un cantuccio della stanza vicina: “Non ti preoccupare, perché Gesù ti vuole bene lo stesso, anche se non gli mandi un bacetto”



E l’occasione per dimostrarglielo è venuta la notte della vigilia quando, dopo la cena, abbiamo aperto i doni che Babbo Natale ci aveva fatto recapitare in anticipo.



Mentre si sparecchiava, all’orecchio, ma in modo che tutti sentissero, gli ho detto: “Vedi quanto è buono Gesù, non è ancora nato e ci ha già fatto tanti regali, niente in confronto a quei piccoli doni che insieme abbiamo visto portare dai personaggi del presepe, una capretta, un agnellino, una valigetta con dentro i giochini. Con il viso raggiante perché gli avevo rivelato il segreto della gratitudine, ha mandato tanti baci a Gesù perché non se l’era presa per quella volta che non l’aveva fatto.



Poi gli ho raccontato la bella leggenda natalizia che mi ha suggerito padre Cantalamessa.






Tra i pastori che accorsero la notte di Natale ad adorare il Bambino ce n’era uno tanto poverello che non aveva nulla da offrire e si vergognava molto. Giunti alla grotta, tutti facevano a gara a offrire i loro doni. Maria non sapeva come fare per riceverli tutti, dovendo reggere il Bambino. Allora, vedendo il pastorello con le mani libere, prende e affida a lui, per un momento, Gesù,. Avere le mani vuote fu la sua fortuna.


Giovanni fa esperienza dell’amore di Dio, quando, turbato da un rumore inatteso e sconosciuto lascia la sua cameretta per essere accolto nel lettone di mamma e papà. Ma poi gradualmente, viene riportato a riconciliarsi con il luogo che gli ha fatto paura, quando insieme alla mamma vi torna al mattino e vi trova un pezzo di cioccolata nascosta dentro l’armadio che Gesù voleva fargli arrivare sorprendendolo, senza fare rumore, ma era inciampato in uno dei tanti giocattoli che lui va disseminando per tutta la casa.


Quando nacque Franco ne avevamo letti di libri su come si educano i figli, ma solo l’amore poteva insegnarci come si fa, l’amore di un Dio che ha tanto amato il mondo da dare suo figlio Gesù in pasto a noi in una mangiatoia, che prefigura, la croce e l’altare su cui si è immolato e s’immola ogni giorno..


Certo nella vita non c’è sempre chi ti mette la cioccolata nell’armadio per consolarti, né si può dire che la povertà sia un comodo compagno di viaggio.




Abbiamo pensato alla storia di Abramo, a quella della sua discendenza, Israele, a quella di Maria, Giuseppe e Gesù: tutti hanno dovuto dimorare in Egitto, il passaggio obbligato per incontrare nel silenzio del deserto l’amore di Dio.



Abbiamo pensato alla nostra storia di coppia non dissimile da tante altre, all’Egitto che ci siamo lasciati alle spalle, al deserto di certe situazioni che ancor oggi ci opprimono, ma tutte ci riconducono ad una terra promessa che con fatica ma con gioia stiamo imparando ad abitare.



Abbiamo pensato alla famiglia che abita sotto l’appartamento di mia madre con la quale abbiamo aspettato il Natale, all’uomo che ci è venuto a bussare pregandoci di non fare rumore, a sua moglie e a sua madre che non stanno bene . Al primo momento di stizza e di meraviglia per quella sortita (non sapevano che era Natale?) è subentrata la compassione per chi non ha nessuno da aspettare e abbiamo pensato che forse ancora una volta dovevamo fare silenzio per rispettare i tempi dell’altro.



Concludiamo pregando con il salmo n.127 che abbiamo letto nella liturgia della prima domenica dopo Natale, festa della Sacra famiglia.






Beato l’uomo che teme il Signore


E cammina nelle sue vie.


Vivrai del lavoro delle tue mani, sarai felice e godrai di ogni bene.


La tua sposa come vite feconda


Nell’intimità della tua casa;


i tuoi figli come virgulti d’ulivo


intorno alla tua mensa.


Così sarà benedetto l’uomo che teme il Signore.


Ti benedica il Signore in Sion!


Possa tu vedere la prosperità di Gerusalemme


Per tutti i giorni della tua vita.




Canto: Cristo è risorto veramente(CD – “Risorto per amore” 1)



 27 dicembre 2004

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