Rubrica
radiofonica a cura di Gianni e Antonietta .
Canto: Cristo
è risorto veramente(CD – “Risorto per amore” 1)
Un
caldo e affettuoso saluto a tutti cari amici all’ascolto di Radio
Speranza.
Vi
danno il benvenuto a questa trasmissione, Gianni e Antonietta.
Ci
auguriamo che stiate tutti bene, perché la vera conversione,
ascoltavamo alla radio alcune mattine fa, nel commento che faceva del
Vangelo del giorno un sacerdote, è sopravvivere alla schizofrenia
del Natale, al delirio collettivo a cui sembra non ci si possa
sottrarre. Ed è proprio vero, nuotare controcorrente, ricavare uno
spazio per stare a tu per tu con il festeggiato, non perdere di vista
la stella e la capanna e Gesù che è venuto a riscaldarla e
illuminarla è impresa a dir poco eroica, dono dello Spirito,
altrimenti non ce la faremmo.
Avevamo
pensato io e Antonietta che questa settimana potevamo saltare
l’appuntamento del lunedì, visto che c’era in riserva una
replica, per cui potevamo benissimo starcene a casa e nessuno ci
avrebbe detto niente. Ma, l’abbiamo detto all’inizio di questi
incontri, questo appuntamento prima che con voi è con il Signore
davanti al quale cerchiamo di accordarci.
Gli
anni scorsi per tutte le cose che si dovevano fare, per carità tutte
buone, il pranzo, i regali, le visite, raramente ci siamo trovati da
soli a parlare, discutere, riflettere su quello che il Signore
ci stava donando.
Ma
incredibilmente il pomeriggio del 25 ci siamo trovati liberi da
impegni che non fosse questo appuntamento e pensando al giorno dopo,
abbiamo scoperto che quest’anno la festa di S. Stefano è
soppiantata da quella della Sacra Famiglia.
Allora
dobbiamo metterci al lavoro, abbiamo pensato senza dircelo, perché
quale occasione più bella è quella di parlare della famiglia,
avendo presente l’icona della Sacra Famiglia di Nazaret?
Gianni mi ha
invitato a riflettere sul sì di Giuseppe, che ha cambiato la storia,
proprio così, il sì che ha dato il via libera al progetto di Dio.
Per incarnarsi
Dio ha avuto bisogno non di un solo sì, quello di Maria, ma del sì
di una coppia che si è sottomessa alla sua volontà.Cosa sarebbe
successo se Giuseppe avesse deciso di rimandare la sposa in segreto,
come all’inizio aveva pensato?
Solo un
miracolo avrebbe sottratto Maria alla giustizia del tempo.
Ma i miracoli
che compie Dio sono solo quelli che nascono dall’amore condiviso,
scelto come programma di vita, amore che si alimenta con l’ascolto
e l’ubbidienza alla Sua parola.
Questo è
quello che ci insegna la Sacra famiglia di Nazaret dove l’accordo
non era sui propri interessi, ma su quelli di Dio, dove la parola
ascoltata era quella che veniva dall’alto, dove l’ubbidienza al
Padre era il fondamento del rispetto reciproco e della reciproca
ubbidienza.
Il Vangelo non
ci riporta parole che si siano scambiate Maria e Giuseppe per il
tempo che vissero insieme, ciò che concordemente fecero ascoltando
quello che, attraverso i suoi messaggeri, Dio voleva dire loro.
Un fare che
derivava da un essere, dalla consapevolezza che prima di essere sposi
e genitori Maria e Giuseppe erano figli di uno stesso Padre che li
aveva chiamati a rendere feconda la loro unione attraverso un sì
ripetuto nel silenzio all’infinito.
Stiamo facendo,
io e Gianni, esperienza di quanto ci ricordarono in occasione
dell’anniversario dei 25 anni di matrimonio, Lorenzo ed Elisabetta,
cari e fidati compagni di viaggio, di cui siamo stati testimoni di
nozze.
La
fedeltà è il nostro amore appoggiato su Dio che è fedele alla
parola data.
Lui
per noi è la roccia.
Sulla
sua fedeltà appoggeremo il trascorrere del tempo:
quando
ci sarà il sole,
quando
il dolore ci piegherà,
quando
l’errore ci vorrà separare,
quando
il dubbio ci renderà ambigui ricorderemo che ci siamo
donati
fedeltà;
perché
nessuno di noi due potrebbe essere se stesso lontano
dall’altro.
Non
ci sono spazi in noi che non appartengono all’altro e
Non
ci saranno mai fra noi proprietà sull’altro.
Per
tutta la vita:
quando
il vento sarà nostro amico,
quando
il silenzio vorrà allontanarci,
quando
nostro figlio ci chiamerà per la prima volta,
quando
andrà via da solo.
Per
tutta la vita:
quando
mille impegni ci porteranno lontano,
quando
non ci sarà che il nostro giardino per trascorrere il
giorno.
Quando gli amici allieteranno la nostra casa,
quando
in lunghe sere avremo già detto tutto e con amore
impareremo
a tacere insieme.
Cosa volevano
dirci allora non l’abbiamo capito, ma ci colpì il silenzio che
avremmo dovuto imparare dopo esserci detto tutto.
Il silenzio lo
conoscevamo, era quello della pretesa che l’altro capisse, che
l’altro cambiasse, un silenzio spesso carico di rancore, di
risentimento di attesa o di pensieri di fuga dallo stare lì ad
aspettarci.
Di parole ce ne
dicevamo poche per educazione, per rispetto per paura di rompere
equilibri faticosamente raggiunti, ma estremamente precari.
“Per tutta la
vita” era il tema della riflessione proposta dai nostri amici,
fratelli rigenerati in Cristo, ma allora aveva il sapore amaro di una
condanna.
Quando,
sommersa, sepolta in un cassetto, ci siamo imbattuti nella pergamena
che conteneva quelle parole d’augurio, abbiamo pensato ad un altro
silenzio, ad un altro sì detto in una notte stellata, quello di
Abramo:
La
moglie di Abram era sterile e non aveva figli (Gen 11, 29-30)
Il
signore disse ad Abram: “Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e
dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò. Farò
di te un grande popolo e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e
diventerai una benedizione.
Benedirò
coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò e in
te saranno benedette tutte le famiglie della terra”
Allora
Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore, e con lui partì
Lot. Abram aveva allora 75 anni quando lasciò Carran. Abram dunque
prese la moglie Sara, e Lot, figlio di suo fratello, e tutti i beni
che avevano acquistato in Carran e tutte le persone che si erano
procurate e s’incamminarono verso il paese di Canaan” (Gen
12,1-5)
“Questa
parola del Signore fu rivolta ad Abram in visione:”Non temere,
Abram,. Io sono il tuo scudo; la tua ricompensa sarà molto grande”.
Rispose
Abram” mio Signore Dio, che mi darai? Io me ne vado senza figli e
l’erede della mia casa è Eliezer di Damasco.” Soggiunse Abram:
“Ecco a me non hai dato discendenza e un mio domestico sarà mio
erede”.
Ed
ecco gli fu rivolta questa parola del Signore: “Non costui sarà
tuo erede, ma uno nato da te sarà il tuo erede”. Poi lo condusse
fuori e gli disse: “Guarda il cielo e conta le stelle, se riesci a
contarle” e soggiunse.”Tale sarà la tua discendenza”.
Egli
credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia.”
(Gen, 15, 1-6)
Sulle orme del
patriarca Abramo vogliamo ripercorrere con voi le tappe che ci hanno
portato ad un sodalizio, ad un’alleanza nuova, dove la fatica del
cammino è sostenuta dalla fede in un Dio che non inganna e non
delude, ma mantiene sempre le sue promesse.
La storia di
Abramo ci introduce in quella che può essere la situazione di una
coppia statica, ferma, ancorata alle sue certezze, alle sue
sicurezze, la casa, il prestigio, la condizione economica (La terra
di Carran), tranne un rammarico, quello di non avere un figlio.
Coppia sterile
che non ancora riesce ad aprirsi ai bisogni dell’altro, a dare vita
perché non ha vita.
Dei due Abramo
è colui che il Signore interpella, chiama a rispondere ad un grande
progetto che Dio ha fatto sulla sua famiglia e sulla sua discendenza.
Sara è meno
convinta, ma accetta di seguire lo sposo, di condividerne gioie e
dolori e pian piano si accorge che Dio fa sul serio e che mantiene le
promesse come quella di dare a loro un figlio, nonostante l’età
avanzata.
La richiesta di
Dio di sacrificarlo può apparire inverosimile o incomprensibile, ma
Abramo continua a fidarsi e si avvia sul monte dove dovrà
sacrificargli la cosa a cui teneva di più.
Quante volte
nella nostra vita ci troviamo a dover rinunciare, non per nostra
scelta ciò a cui siamo attaccati!
Abramo deve
fare ancora una volta una scelta, insieme a sua moglie, una scelta
dolorosa e difficile che non comprende ma che consegna al Signore,
unico regista della sua storia familiare.
Il sì di
Abramo è stato tante volte associato a quello di Maria, un salto nel
buio del mistero di Dio che si manifesta in tutta la sua misericordia
solo dopo che gli abbiamo consegnato la guida della nostra vita.
La
storia di Abramo e Sara ci porta a riflettere sul dono che Dio fa
all’uomo, il seme che consegna alla coppia perché un granellino di
senapa, l’amore che essi nutrono l’uno per l’altro diventi,
attraverso lo spaccarsi e il marcire, un germoglio, una pianta sana e
vigorosa, che affonda le sue radici nelle profonde viscere della
terra e che solleva i suoi rami fino al cielo.
Questo
seme è l’amore che l’uomo deve coltivare, attraverso la fede che
nutre per un Dio che è fedele sempre e non delude mai le
aspettative.
Abramo
è l’uomo dell’ascolto, l’uomo del sì, l’uomo della fiducia
incondizionata in Dio che sente amico, alleato, compagno nel viaggio
intrapreso con la sua sposa alla volta della terra promessa, dove si
realizzerà il suo sogno di avere una grande discendenza.
“Ascolta
Israele!” è il grido accorato che riecheggia in tutta la Bibbia,
“Israele se tu mi ascoltassi!”
Abramo
è l’uomo della fede, il prototipo del credente che è pronto a
lasciare tutto, le sue sicurezze, la sua posizione sociale, pronto
anche a sacrificare ciò a cui tiene di più, perché si fida di
Dio, che sente alleato potente.
Abramo
riesce a coinvolgere in questo salto nel buio la sua sposa, incredula
ma obbediente fino a trasmetterle quella fede che lo accompagnò nel
percorso lungo e difficile verso la terra promessa.
La
fede fu premiata con la nascita di un figlio, dalla cui discendenza
sarebbe nato il Salvatore.
Il
sì di Abramo, il sì di tanti che gli succedettero, il sì di Maria
e di Giuseppe, il nostro sì permette a Dio d’incarnarsi e operare
nella nostra storia ieri, oggi, domani, sempre.
Così è
cominciato il viaggio della nostra coppia, non più in solitudine ma
alleati allo Sposo, che abbiamo ospitato nella nostra casa, dandogli
il posto d’onore, con Gesù che ci porta per mano e ci insegna a
diventare ciò a cui siamo stati destinati, icona della Trinità di
Dio.
Non è semplice
il cammino della fede e ogni giorno ci ritroviamo a guardare quante
cose sbagliamo e quanto siamo distanti dalla meta. Ma importante è
la direzione che con caparbietà ogni mattina ci riproponiamo di
fissare bene nella mente.
Canto: “Saldo
è il mio cuore” (MC “Vittoria” – B, 5)
Ciò che
leggiamo nella Bibbia è simbolicamente ciò che accade ad ogni uomo,
che si trova ad attraversare il deserto della vita.
Se decide di
attraversarlo insieme a Dio, sicuramente la traversata sarà più
facile, se decide di farlo insieme, unendosi in matrimonio ad un
altro diverso da sé non avrà a pentirsene, perché ognuno metterà
in gioco ciò che ha, per la riuscita del progetto, impegnandosi a
stare sempre uniti, anche quando sembra che l’altro remi contro.
Accogliere il
progetto di Dio nella propria vita, significa affidarla a Lui,
metterla nelle sue mani perché la trasformi in un’opera d’arte.
Noi coppia
ormai sterile abbiamo dato la vita biologica a nostro figlio 32 anni
fa, ma abbiamo cominciato a farlo crescere nella libertà e nella
responsabilità quando abbiamo capito che non è nostro ma che ci è
stato affidato.
Lui ci ha
portato M. e insieme ci hanno regalato Giovanni, quanti figli in
un’età che si dice ormai infeconda!
Giovanni è
l’ultimo regalo in ordine di tempo ma il maestro, il più grande
per farci capire cosa significhi essere padri e madri, cosa
significhi amare.
A Luglio mio
padre se n’è andato, carico di anni e di sofferenza, senza
lasciare testamento perché non ce n’era bisogno.
La nostra
famiglia unita nell’amore è la sua eredità che oggi ci stiamo
godendo.
L’eredità
promessa ad Abramo è la sua discendenza, è la famiglia dei figli di
Dio, quella che ogni uomo può trasmettere se accoglie nella sua casa
Gesù, testimone fedele dell’amore che nutre per ogni creatura..
E’
incredibile constatare come Maria e Giuseppe non riuscivano a trovare
una casa per fare nascere il figlio di Dio, ma come Dio non a caso si
sia servito proprio di una stalla per essere accolto e come non abbia
disdegnato come culla una mangiatoia per essere deposto a Betlemme,
che significa “casa del pane”.
Gesù,
destinato a diventare pane spezzato per tutti gli affamati del mondo,
non fa lo schizzinoso, anzi trasforma le umili e povere cose che i
genitori avevano potuto procurargli per dare ad esse il valore che il
mondo aveva loro negato, insegnandoci già al suo apparire quali
erano le sue preferenze.
Ma
cosa avevano di tanto speciale questi sposi da essere scelti da Dio
per incarnarsi nella loro dimora? La fede coltivata nel silenzio,
nell’ascolto nell’ubbidienza alla Sua parola.
La
fede come presupposto per qualsiasi cammino, per qualsiasi progetto
che vogliamo sfoci nel godimento dei frutti della nostra fatica,
quella fede che ci è data nel Battesimo e che ci rende a tutti gli
effetti figli di Dio, in tutto eredi del patrimonio di grazia e di
amore al quale siamo stati destinati.
.
Non a caso il
nuovo rito del matrimonio fa memoria del Battesimo come punto di
partenza per diventare coppia feconda..
Chi non fatto
esperienza d’amore, non è capace di amare, come vediamo accadere
in tante famiglie dove le vittime delle divisioni e dell’odio fra i
coniugi sono i figli incapaci di aprirsi a relazioni durevoli e
felici, fino a quando non fanno esperienza di amore gratuito e
totale.
A Giovanni il
nostro nipotino ci stiamo sforzando di trasmettere quanto superi Dio
la nostra capacità di amare, di essere buoni. Ancora una volta il
presepe ci ha dato una mano. Tutto il tempo della preparazione,
avevamo fatto osservare a Giovanni le statuine, suggerendogli le
risposte ma anche suscitando in lui domande su chi e su cosa stessero
facendo. Poiché la cosa che più lo ha colpito è quello che avevano
in mano, che in fondo le differenzia le une dalle altre, è riuscito
a stupirci immaginando ciò a cui noi mai avevamo pensato: che dentro
un sacco, una borsa o un cestino fossero contenuti i giochini per
Gesù.Infatti il dono di pecore e caprette a lui ben poco
interessava, anzi se li voleva portare a casa sua tutti gli animali,
per poterci giocare con comodo.
Poi l’altro
giorno, prima di cominciare a mangiare, turbato da una visita
inaspettata, si è rifiutato di ringraziare del cibo Gesù e di
mandargli un bacetto, come è abituato a fare.
L’istinto è
stato quello di impuntarmi, ma poi il Signore mi ha illuminato e mi
ha aperto la strada per introdurlo nell’amore di Dio.
Gli ho detto
all’orecchio, mentre mortificato per la mia reazione si era
nascosto in un cantuccio della stanza vicina: “Non ti preoccupare,
perché Gesù ti vuole bene lo stesso, anche se non gli mandi un
bacetto”
E l’occasione
per dimostrarglielo è venuta la notte della vigilia quando, dopo la
cena, abbiamo aperto i doni che Babbo Natale ci aveva fatto
recapitare in anticipo.
Mentre si
sparecchiava, all’orecchio, ma in modo che tutti sentissero, gli ho
detto: “Vedi quanto è buono Gesù, non è ancora nato e ci ha già
fatto tanti regali, niente in confronto a quei piccoli doni che
insieme abbiamo visto portare dai personaggi del presepe, una
capretta, un agnellino, una valigetta con dentro i giochini. Con il
viso raggiante perché gli avevo rivelato il segreto della
gratitudine, ha mandato tanti baci a Gesù perché non se l’era
presa per quella volta che non l’aveva fatto.
Poi gli ho
raccontato la bella leggenda natalizia che mi ha suggerito padre
Cantalamessa.
Tra
i pastori che accorsero la notte di Natale ad adorare il Bambino ce
n’era uno tanto poverello che non aveva nulla da offrire e si
vergognava molto. Giunti alla grotta, tutti facevano a gara a offrire
i loro doni. Maria non sapeva come fare per riceverli tutti, dovendo
reggere il Bambino. Allora, vedendo il pastorello con le mani libere,
prende e affida a lui, per un momento, Gesù,. Avere le mani vuote fu
la sua fortuna.
Giovanni
fa esperienza dell’amore di Dio, quando, turbato da un rumore
inatteso e sconosciuto lascia la sua cameretta per essere accolto nel
lettone di mamma e papà. Ma poi gradualmente, viene riportato a
riconciliarsi con il luogo che gli ha fatto paura, quando insieme
alla mamma vi torna al mattino e vi trova un pezzo di cioccolata
nascosta dentro l’armadio che Gesù voleva fargli arrivare
sorprendendolo, senza fare rumore, ma era inciampato in uno dei tanti
giocattoli che lui va disseminando per tutta la casa.
Quando
nacque Franco ne avevamo letti di libri su come si educano i figli,
ma solo l’amore poteva insegnarci come si fa, l’amore di un Dio
che ha tanto amato il mondo da dare suo figlio Gesù in pasto a noi
in una mangiatoia, che prefigura, la croce e l’altare su cui si è
immolato e s’immola ogni giorno..
Certo
nella vita non c’è sempre chi ti mette la cioccolata nell’armadio
per consolarti, né si può dire che la povertà sia un comodo
compagno di viaggio.
Abbiamo pensato
alla storia di Abramo, a quella della sua discendenza, Israele, a
quella di Maria, Giuseppe e Gesù: tutti hanno dovuto dimorare in
Egitto, il passaggio obbligato per incontrare nel silenzio del
deserto l’amore di Dio.
Abbiamo pensato
alla nostra storia di coppia non dissimile da tante altre, all’Egitto
che ci siamo lasciati alle spalle, al deserto di certe situazioni che
ancor oggi ci opprimono, ma tutte ci riconducono ad una terra
promessa che con fatica ma con gioia stiamo imparando ad abitare.
Abbiamo pensato
alla famiglia che abita sotto l’appartamento di mia madre con la
quale abbiamo aspettato il Natale, all’uomo che ci è venuto a
bussare pregandoci di non fare rumore, a sua moglie e a sua madre che
non stanno bene . Al primo momento di stizza e di meraviglia per
quella sortita (non sapevano che era Natale?) è subentrata la
compassione per chi non ha nessuno da aspettare e abbiamo pensato che
forse ancora una volta dovevamo fare silenzio per rispettare i tempi
dell’altro.
Concludiamo
pregando con il salmo n.127 che abbiamo letto nella liturgia della
prima domenica dopo Natale, festa della Sacra famiglia.
Beato
l’uomo che teme il Signore
E
cammina nelle sue vie.
Vivrai
del lavoro delle tue mani, sarai felice e godrai di ogni bene.
La
tua sposa come vite feconda
Nell’intimità
della tua casa;
i
tuoi figli come virgulti d’ulivo
intorno
alla tua mensa.
Così
sarà benedetto l’uomo che teme il Signore.
Ti
benedica il Signore in Sion!
Possa
tu vedere la prosperità di Gerusalemme
Per
tutti i giorni della tua vita.
Canto: Cristo
è risorto veramente(CD – “Risorto per amore” 1)
27
dicembre 2004
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