mercoledì 26 luglio 2006

La via della santità



“Signore insegnaci a pregare”


All’insegna di queste parole ieri, 3 marzo 2002, il R.N.S. abruzzese si è riunito per riflettere sull’importanza, anzi sulla necessità, della preghiera nella vita del cristiano.


Il papa, dicendo che il cristiano vale tanto quanto prega, ha voluto richiamare l’accento a ciò a cui ognuno è chiamato: la santità.


Parole che a noi sembrano troppo grosse, che non ci riguardano da vicino, salvo poi ritrovarci a chiedere l’intercessione di qualche santo, perché arrivi lì dove non possiamo arrivare.


Abbiamo sempre pensato che i santi sono quelli rappresentati nelle sacre immaginette segnalibro, se ne possediamo uno degno di accoglierli, oppure le tante statue di gesso, esposte nelle chiese, spesso coperte o circondate da ex voto, in atteggiamenti immobili e stereotipati propri di chi nella storia non vive, ma solo nella devozione semplice del popolo.


Spesso queste figure scalzano quelle del Padreterno e della Madonna, perché i miracoli è più facile che li facciano loro.


Mai a pensare che i santi sono stati uomini come noi, spesso più deboli fisicamente, più sfortunati di noi, che di miracoli visibili non ne hanno ricevuto neanche uno, ma che hanno vissuto il miracolo della loro vita, cogliendo ogni momento l’opportunità di vivere la fede in un rapporto intimo e continuo con Dio.


Per tutti loro è stato un cammino di conversione a Cristo attraverso la propria storia, in cui l’impegno per restare fedeli non è venuto mai meno.


Se oggi sono saliti agli onori degli altari è perché il loro è stato irreversibile.


Il punto sta proprio nel tipo di risposta che intendiamo dare a Cristo.


Se pensiamo che questa vari a seconda delle situazioni, dello stato d’animo, dell’età che abbiamo, dei nostri impegni di lavoro e non, forse non abbiamo capito che Cristo è uno e una sola è la verità.


Sbaglieremmo di grosso se pensassimo che ce lo possiamo costruire nei tempi e nei modi che ci fanno più comodo e farlo esistere solo quando ci conviene, per giudicare gli altri, però,che sono cattivi e hanno proprio bisogno di essere da Lui puniti o (quando ci sentiamo più buoni) convertiti.


Se siamo però convinti del contrario, se Cristo ci ha chiamato in modo deciso e determinato, mostrandoci le meraviglie del suo amore, se la memoria di ciò che ci ha mostrato e ha fatto per noi non è svanita, dobbiamo prestare ascolto a tutto ciò che Lui continuerà a dirci.


Sicuramente ci parlerà, se sapremo metterci alla sua presenza in silenzio, pronti a recepire ciò che ci suggerisce, cercando di cogliere le opportunità anche nei luoghi più affollati, anche nei tempi ristretti del nostro andare di corsa, a scuola o al lavoro, mentre in macchina, in treno o a piedi percorriamo soli le strade del mondo. 


Il relatore ha invitato a donare a Dio cinque, dieci, quindici minuti della nostra giornata, io azzardo che la regola dovrebbe essere: vivere con Lui ogni momento, fare di Lui, la nostra bussola, alla quale fare riferimento, dovunque andiamo, qualunque cosa facciamo.


Fare della propria vita una preghiera è fare sì cosa gradita a Dio, ma principalmente fare la cosa migliore per noi, che da questa avventura usciremo trasformati e rinnovati, indubbiamente molto più sereni e felici di quanto possiamo pensare.


In fondo non è poi così difficile; ma per crederci bisogna farne esperienza.


Gesù ci ha detto,:”Chi vuole seguirmi rinneghi se stesso, prenda la sua croce e venga dietro di me”


Andare dietro a Cristo, significa metterci da parte, dimenticare chi siamo o eravamo e lasciarci da Lui trasformare.


Da qui il miracolo, che nasce dal fare ciò che Lui ha testimoniato con la sua vita, ma ancor più con la sua morte.


La sua esistenza è un inno all’amore e al perdono, è un grido accorato al Padre, è un Fiat ripetuto fino alla fine perché capissimo qual è il fulcro di tutta la storia della salvezza, della storia di ognuno di noi.


Il “ fiat voluntas tua” è l’adesione completa e continua al Padre che al Figlio, se chiede di morire, è perché per Lui ha in serbo la resurrezione e la gloria.


La preghiera è esperienza d’amore, è contemplazione di un Dio che ama sempre e comunque, perché è Padre, è ascolto dello Spirito che apre i nostri cuori e li rende capaci di amare, è vita in Gesù che si è fatto nostro fratello con il sacrificio sulla croce.


La santità è vivere il mistero trinitario nella nostra vita, nelle relazioni con i nostri fratelli, nel dono gratuito di noi stessi all’altro, è diventare eucaristia per chi ci conosce e per chi non ci conosce, attraverso la preghiera, attraverso le parole, le azioni e tutto ciò che possiamo donare all’altro.


Vivere una vita di preghiera è diventare sacerdoti perenni, è diventare ministri di ciò che Dio ci ha dato, che non è nostro, perché non ci appartiene, perché nulla è nostro di quanto abbiamo, perché è di Dio e da Dio.


Essere chiamati alla santità significa essere cristiani non solo un momento, ma sempre, cercando le cose di Dio nel mondo e non fuori del mondo.


Essere santi è saper riconoscere le cose del mondo, sapersene staccare a tal punto, non da dimenticarle, ma da desiderare di trasformarle per Dio, non per noi.


Il mondo ha bisogno di uomini che si lasciano plasmare e modellare dallo Spirito, di uomini che non si chiudono all’azione della grazia, ma che diventino essi stessi fonte e strumento di grazia.


Essere chiamati alla santità significa desiderare che Cristo arrivi a parlare a tutta la terra, non un linguaggio incomprensibile e assurdo, ma chiaro e attuale, grazie alla luce di chi ne ha fatto e ne fa esperienza ogni giorno.


Testimoniare significa comunicare al mondo che ciò che Cristo ha detto non è utopia o possibile solo a Lui, perché figlio di Dio, ma a tutti quelli a cui Lui ha dato il suo Spirito. 


Essere chiamati alla santità è essere chiamati alla missione, diventare pietre vive dell’edificio spirituale, di cui Cristo è testata d’angolo.


Tutto questo è possibile se la nostra vita diventa preghiera, che non mancherà di dare i suoi frutti in abbondanza.


Così la preghiera diventa il mezzo con cui solcare le acque del mondo e andare al largo, per fare una pesca ricca e copiosa.


La traversata ci renderà santi, nella misura in cui avremo saputo salire sull’imbarcazione di Cristo, dopo aver lasciato a terra le nostre reti e le nostre barche.


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 3 marzo 2002








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