sabato 12 marzo 2016

Terra promessa





Meditazioni sulla liturgia di 
sabato della IV settimana di Quaresima

Letture: Ger 11, 18-20;Salmo 7; Gv 7, 40-53


" A te ho affidato la mia causa"(Ger 11,20)

Non c'è che dire il peccato porta alla morte ma è solo con la morte che si vince il peccato.
Sembra un paradosso quello che oggi si evince dalle letture che la liturgia ci propone.
Geremia, perseguitato perchè profeta scomodo va incontro alla morte come Gesù, affidandosi nelle mani dell'autore della vita, Dio stesso, che solo può far vivere e morire, a seconda che ti affidi o non ti affidi a lui.
La morte non piace a nessuno e penso che umanamente nè Geremia nè Gesù l'abbiano affrontata a cuor leggero.
Ma a morire si impara ogni giorno, è una disciplina, una scuola di spogliamento, di offerta, di accoglienza della volontà di Dio che ci chiede di farci da parte, di fargli spazio perchè possa attraverso di noi far risorgere dai morti quelli che si trovano chiusi nella tomba del loro orgoglio, della loro presunzione, della loro proclamata autosufficienza.
Far risorgere dai morti è facoltà di Dio che ha pagato con la morte del figlio la resurrezione di quelli che non l'hanno conosciuto o riconosciuto come Colui che salva, colui che libera, colui che ama a prescindere sempre e perdona non sette ma settanta volte sette.
Innestati in Cristo con il Battesimo anche noi possiamo fare le stesse cose che ha fatto Gesù. fidandoci di quello che ha detto, guardando quello che ha fatto, credendo che in Lui sono ricapitolate tutte le cose, quelle del cielo e quelle della terra e che attraverso di Lui abbiamo la redenzione e il perdono dei peccati.
Il peccato ci separa da Dio, ci priva del nutrimento necessario, della linfa, dell'acqua di cui abbiamo bisogno per vivere in eterno. 
Siamo stati creati per l'eternità e per questo Dio non poteva permettere che i suoi figli morissero .
L'eternità fa paura a Giovanni, il mio nipotino, perchè la pensa come un periodo vuoto dove non c'è niente da fare. 
Noi la vita ce la immaginiamo come quella che viviamo qui su questa terra, proiettata nel dopo o ripiegata nel rimpianto del passato, in un presente pieno di pensieri, preoccupazioni, senza tempo per fermarci per vivere la nostra identità di persone create a immagine e somiglianza di Dio.
La nostra società è incapace di fermarsi, in una perenne corsa verso l'autodistruzione.
Ringrazio Dio che attraverso la malattia mi ha dato l'opportunità di fermarmi, di andare sempre più piano, si da cogliere nell'attimo che sto vivendo la pienezza dell'essere, la gioia dell'incontro con il mio tu in cui mi specchio, nello sguardo di chi mi definisce e mi ama, ma anche nella storia di chi il Signore mi ha messo accanto per vedervi le tracce del suo passaggio.
Lo ringrazio perchè il tempo me lo ha moltiplicato e lo ha reso tutt'altro che noioso, perchè sempre più numerosi sono i figli custoditi nel Suo cuore di Padre che mi chiamano a rispondere dell'amore che gratuitamente ha riversato su di me e a corrispondere perchè tutti ne godano. 
L'eternità comincia da quando siamo stati concepiti e non dobbiamo aspettare di morire per sapere cos'è. Quello che non ci aspettiamo o forse ignoriamo è che l'eternità è l'acquisizione della certezza che non potremo più morire, che la gioia sarà piena perchè il deserto è finito e non dobbiamo più combattere per godere della terra promessa. 
Vivere nella casa di una famiglia riconciliata da un Amore più grande ci darà finalmente la pace.

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