domenica 21 aprile 2013

Le mie pecore ascoltano la mia voce






VANGELO (Gv 10,27-30)
In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.
Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.
Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».

La quarta domenica di Pasqua ci presenta Gesù buon Pastore, immagine piena di significati profondi, se riusciamo a chiudere un attimo gli occhi su questa nostra civiltà tecnologica, dove i rapporti sono regolati solo dalle macchine.
Cosa può dire a noi
un pastore che vive lontano dalle nostre mete abituali?
Dobbiamo trasferirci in quelle terre aride e sassose della Palestina, il luogo dove Gesù concretamente spese la sua vita, per capire quanto fosse vitale prendersi cura di un gregge, non destinato al macello, ma a dare latte e lana, quanto diventassero intimi il pastore e le sue pecore tanto da non aver paura di perderle o confonderle, dopo che, di notte, secondo l’usanza palestinese, venivano riunite in un solo recinto, perchè le conosceva una per una , le chiamava per nome ed era pronto a morire per loro..
Se potessimo cogliere il senso esatto del rapporto tra gregge e pastore, intuire la qualità della vita errabonda, vivere il legame profondo che il pastore costruisce con la natura, con i ritmi stagionali, con i cicli biologici, Il rapporto forte e privilegiato tra il pastore e le sue pecore, perché ne condivide integralmente la vita, la sete, il caldo, gli incubi delle fiere e dei razziatori, le notti gelide e i giorni infuocati, i lunghi itinerari e le soste snervanti, le parole di Gesù non ci lascerebbero indifferenti.
Specie se pensiamo che il pastore spesso era costretto a curare il gregge di qualche capotribù o di qualche signorotto locale, ma che aveva personalmente un gregge di sua proprietà, magari solo un pugno di pecore, un piccolo gregge, il suo tesoro più caro e personale.
Il vincolo d’affetto, di appartenenza, di intimità, che intercorre tra il pastore e le sue pecore è lo stesso che lega Dio al suo popolo, Gesù ad ognuno di noi.
Se riuscissimo a vedere con quanta cura Dio si occupa di noi, sue creature, gregge del suo pascolo, a sentire la sua voce che ci chiama per nome, a capire che non può dimenticarsi di noi (Può una madre dimenticare suo figlio? Quand’anche se ne dimenticasse io non me ne dimenticherei!dice il Signore), non saremmo mai presi dall’angoscia per le cose che ci capitano, per le storture del mondo in cui viviamo.
Gesù, buon pastore continua a chiamarci perchè ci vuole salvi tutti, al riparo dalle insidie, in un unico grande ovile la porta del quale non rimane mai chiusa per chi lo cerca con cuore sincero.

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