sabato 23 luglio 2011

I condors





Sfogliando il diario


Luglio 2004

Sdraiata all’ombra di un confortevole riparo, mentre il vento gioca con i capelli e il mare accompagna il flusso dei ricordi, ripenso a quando, in un giorno simile a questo, ho volato alto, insieme a Gianni e ai fratelli del RnS nel Palazzetto dello Sport di...
La giornata era torrida e né aria condizionata, né ameni giardini, né comode poltrone erano l’attrattiva per soprassedere alla colata di ferro e cemento, di cui è composta la struttura che ci avrebbe ospitato.
Ripenso ai mille dubbi se andare o non andare, viste le mie condizioni di salute, e alla decisione di farci giusto una capatina, per non aver detto subito di no ad un’occasione che lo Spirito ci aveva insegnato a non rifiutare a priori.
I relatori li conoscevamo e gli argomenti sentiti e risentiti.
Cosa poteva darci di nuovo un bagno di folla e di caldo alternativo alla fresca brezza, che soffia sotto la palma che abbiamo affittato proprio sulla riva del mare?
La macchina, quella scassata di nostro figlio, una cinque posti a benzina, rispetto alla nostra quattro posti diesel, nuova di zecca, che gli avevamo prestato per andare in vacanza, con la famiglia, quel fine settimana.
Eravamo rimasti soli, inaspettatamente soli e volevamo prenderci il gusto di andare dove ci pareva, senza vincoli di orari da rispettare né di persone di cui occuparci o preoccuparci.
La telefonata di Vittoria, che chiedeva un passaggio per lei, che fa fatica a salire su un autobus, e per Gigliola che l’accompagna da sempre, a cui si è aggiunta quella sul filo di lana di Luciana che non aveva sentito la sveglia, ci hanno convinti che, se non avevamo una ragione valida per dire di sì, il Signore ce l’aveva trovata.
Ci siamo sorpresi a pensare che non a caso i posti in macchina erano cinque, non a caso avevamo forato una gomma il giorno prima e avevamo, per l’occasione, fatto controllare tutte le altre.  


In attesa che le amiche tornino dalla passeggiata, il mio pensiero va ai discorsi animati che tempo addietro mi avevano visto perdente su tutti i fronti.
I viaggi fatti nei posti più belli e lontani del mondo, le emozioni che suscitano le grandi altezze, il volo dei condors, i dipinti di Rembrant o di Van Gog, non erano stati minimamente scalfiti da ciò che l’esperienza mi aveva insegnato ad apprezzare, da quando sono stata costretta a fermarmi..
Come far capire che non c’è bisogno di fare tanta strada per trovare le stesse cose, per non dire migliori, solo se ti metti ad osservare ciò che ti sta vicino e che hai sempre cercato lontano?
Commiserazione, neanche tanto celata, aveva accompagnato il coro di disapprovazione delle mie amiche quel giorno, convinte che l’handicap mi aveva troncato oltre alle ali anche i sogni, nonchè i desideri.  


Ripensavo a quanto mi avevano fatto viaggiare, a Grosseto, durante la settimana di studi sul “ Perdono in famiglia come fonte di vita per il mondo”, le mani del Padre misericordioso del dipinto di Rembrant, mani di padre e di madre che abbracciano e accolgono il figliol prodigo, che sembra essere dato alla luce proprio da quelle mani.
Su quell’abbraccio accogliente ho meditato e mi sono persa in questi mesi in cui, come i buoi sto ruminando tutta la biada che lo Spirito ci somministra, da quando Gianni ed io ci siamo innamorati del progetto di Dio sulla famiglia, chiamata a collaborare a che tutti possano godere dell’amore sconfinato che vuole donarci.
Come spiegare alle mie amiche di ombrellone che, quando sei catturato dalla luce, la segui e ne godi in ogni luogo dove ti è dato fermarti a guardare.?  


Il Convegno si era aperto all’insegna delle parole del prologo di Giovanni ”Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia”
I relatori ce l’avevano messa tutta, il cuore e la mente, a spiegare, cosa non facile, in cosa consista la pienezza di Cristo, per farci capire, apprezzare e chiedere la pienezza della grazia che da Lui deriva per ognuno di noi.
Per fortuna che non ce ne siamo andati il pomeriggio, come avevamo preventivato, perché ci saremmo persi la parte migliore, l’ingresso nel mistero, a passi di danza, come quelli del ballerino Domenico Ducato e della sua compagna, che ci hanno fatto vivere l’emozione di essere protagonisti del più bel poema d’amore mai scritto: Il Cantico dei Cantici”
Dio ci ama, Dio ci vuole donare la sua pienezza, la sua perfezione, vuole donare se stesso.
Ecco il senso del Crocifisso issato al centro del palco, verso cui siamo stati invitati a guardare,dopo che ai malati è stato chiesto di prendere un fazzoletto e di agitarlo perché a tutti fosse visibile il loro bisogno di aiuto e tutti pregassero e intercedessero, perchè si ripetesse il miracolo dell’acqua che sgorga dal costato di Cristo.
Non c’era uno che non sventolasse un fazzoletto dopo che i primi timidamente ne hanno tirato fuori uno.
Quanti malati, quanti S.O.S., quante grida di aiuto si sono fuse con le note dell’Abba’ Padre, con le parole struggenti della canzone che ha sciolto fiumi di lacrime!
Quanta acqua ieri in quel bunker di ferro e cemento, lacrime di gioia, di commozione, di liberazione, lacrime che pulivano, e rigeneravano i cuori induriti dalla fatica di andare da soli.

Io piangendo continuavo a guardare i fazzoletti, e mi sono fermata su quelli che erano accostati a mani che non potevano afferrare, quelle dei due giovani condannati alla sedia a rotelle e di un bimbo piccolo piccolo, che non aveva richiamato la nostra attenzione, perché a quell’età è normale stare in un carrozzino.
Il dolore innocente ieri l’ho visto, ma non ne sono stata turbata, perché ho sentito forte l’amore di Dio, specie per quelle creature a cui ha dato il compito di renderlo visibile su questa terra, attraverso una preghiera.

Li abbiamo visti planare sul giovane, che dalla sedia a rotelle si protendeva tutto verso il palco, dove era stata issata la croce e li abbiamo visti sollevarsi pian piano e forare le nubi, dopo che, sostenuto da Gianni, per un tempo che ci è sembrato infinito, è riuscito finalmente a toccarla.

Alla memoria sono riaffiorati gli anni di letto, i tanti samaritani che mi hanno caricato sopra le spalle, quelli a cui non ho detto mai grazie, Gianni che mi è stato sempre vicino, tutti quelli che hanno continuato a pregare, i messaggeri di speranza , l’incontro con il Crocifisso quando la speranza è venuta a mancare e ho visto Gesù che non mi aveva lasciato cadere.

Ho ringraziato il Signore per i condors, per le alte montagne che ci concede di scalare, per i profondi abissi del dolore che riempie con fiumi di grazia.


  


  

2 commenti:

danielafenice ha detto...

Questa è la Anto che io conosco!!!
Forte nella tua fede, cocciuta nel tuo andare alla ricerca della luce, a spigolare gli scintillanti, e far scorta per i tempi più duri

lucianadal ha detto...

Ecco momenti di vita vera. Grazie per averceli donati. Buonanotte!