mercoledì 11 febbraio 2009

Morte e vita

Risolvere i problemi era sempre stato il mio passatempo preferito, cosa che tuttora mi piace fare, anche se quelli di oggi sono di tutt’altro tipo.Ma un incidente di percorso, oggi la chiamerei “ dioincidenza” mi ha indotta a cambiare idea dopo la maturità.
Certo é che feci un clamoroso fiasco nelle materie scientifiche, dove avevo puntato tutto, mentre fui insolitamente brillante in quelle letterarie.
Grande fu la meraviglia nello scoprire che al compito d’italiano avevo avuto il massimo voto. Com’era potuto succedere? Avevo sempre penato per guadagnarmi il misero sei, dovuto più alla correttezza della forma che alla ricchezza dei contenuti.



Riemerge, affondato nel profondo della memoria il titolo di quel compito risultato perfetto: “La contemplazione del dolore in Manzoni e Leopardi”. L'ateo e il credente di fronte al mistero della sofferenza.
La traccia del un tema mi portò a riflettere, non solo il tempo assegnato per lo svolgimento del compito in classe, ma tutto il tempo della mia vita, in cui il dolore, è e continua ad essere il mio scomodo compagno di viaggio.
Ma la svolta, il senso della sofferenza non lo trovai fino a quando rimasi ripiegata in me stessa.
Poi conobbi Daniela.



Era il 1996 e la mia fiducia la riponevo ancora tanto negli uomini e nei loro rimedi.
Il suo terzo bambino, affetto da una rara e terribile malattia genetica, si era ammalato ancora. Questa volta era stato il cervello a farne le spese, attaccato da un carcinoma.
L’avevo immaginata con il volto scavato, prostrata dal peso di una croce così pesante.
Appena la vidi, capii subito che l’esperienza del dolore le aveva dato una forza non comune per se e per gli altri.
La paura di non trovare le parole per parlarle dei miei problemi, poca cosa di fronte a ciò che le era capitato, svanì di fronte alla sua capacità di mettersi in comunicazione con la sofferenza altrui.
Daniela mi mostrò il volto misericordioso di Dio attraverso l’amore che passava per lei, per le sue mani, per il suo cuore, quell’amore che veniva alimentato dal suo rapporto fiducioso con Dio e con il suo piccolo angelo malato che le dava la vita.
Quando mi disse, dopo soli pochi mesi di terapia, che aspettava un bambino, mi disperai. Sotto le sue piccole e agili mani il mio corpo aveva ricominciato a vivere.La sua carica d'amore mi aveva aperto il cuore alla speranza.Come avrei fatto senza di lei?.
Subito mi vergognai di aver egoisticamente pensato a me più che a lei. L’aspettava una gravidanza a rischio, quando era ancora alle prese con la terribile esperienza dell’ultimo nato.
Come potevo illudermi che potesse continuare ad occuparsi di me? A torto pensai che non l’avrei più rivista.
“Mi dica dove ha studiato; quand’anche fosse la luna ci andrò.”Dissi.

La luna, quella che aveva incantato Giovani in un pomeriggio che non sembrava mai finire, la luna, il luogo dei sogni irrealizzati e irrealizzabili, lontana quanto basta per non deluderti, se ti venisse la voglia di farci un viaggio, trascorrervi una vacanza.
Senza acqua, né aria, sicuramente ti passerebbe la voglia di andare così lontano, per trovare ciò che hai vicino, a portata di mano e non te ne accorgi.
La luna era Champoluc, dove la dottoressa inventrice del metodo applicato da Daniela si trasferiva l’estate con tutto il suo staff, ma a differenza di questa, non bisognava prendere un’astronave, per arrivarci, e di aria e di acqua ne aveva d’avanzo per dare vita ad un paesaggio da mozzafiato con il massiccio del Monte Rosa che si stagliava alle spalle e i boschi e i torrenti e il sole che faceva brillare la neve sulla cima del grande ghiacciaio e le case immerse nei fiori e tutto quanto neanche la fantasia riesce ad inventare.
Poi l’albergo di lusso, i terapisti, la dottoressa impeccabile con il suo camice bianco e i malati…
Già i malati erano l’unica cosa stonata in quella cornice di sogno.
Erano quasi tutti bambini e ragazzi gli ospiti dell’albergo, affittato per l’occasione dall’equipe del Centro di ascolto,qualche mamma, qualche nonna e…molte badanti.
Erano i figli dei ricchi che se lo potevano permettere di parcheggiarli in quel luogo per andare finalmente in vacanza.
Il dolore innocente, quello incontrai in quel luogo, la luna che, come quella che si staglia nel cielo, ha il suo rovescio, se poco poco ti ci avvicini.
I malati, i grandi malati li avevo incontrati negli ospedali, ma i bambini no, mai… anzi sì, ora ricordo, il primo anno che insegnai a Francavilla in un Istituto di poliomelitici.
Allora non avevo strumenti per vedere, i loro occhi tristi, i loro stanchi sorrisi.
Non mi parlarono le loro stampelle, né la disarmonia dei loro corpi straziati.Non mi accorsi che non c’erano madri, né nonne, né badanti che li accudissero, che erano stati affidati alla carità e alla pietà dello stato che non sapeva o poteva fare di meglio che lasciarli chiusi là dentro.
Trent’anni dopo mi trovai a soffrire con loro e per loro, quelli che la società accantona e nasconde, per la prima volta affondando i miei occhi nei loro, cercando di carpirne il sorriso con una stretta più forte della mano, con il tocco leggero delle dita ad imitare una carezza, con l’incapacità di andare oltre per paura di perdermi.

Il Tempo è nelle nostre mani nella misura in cui l'infinito è nei nostri cuori
A Champoluc (dove mi accorsi che i veri malati, i grandi malati non s'incontrano per le strade del mondo, non frequentano salotti perbene, non fanno bella mostra di se nelle vetrine di lusso), senza capirle al momento, me l'ero appuntate su un foglio quelle poche parole che avrebbero cambiato il mio correre in fretta, correre sempre senza mai fermarsi un momento.
La madre di un bimbo piccolo piccolo (...un mucchio di ossa scomposte in un corpo di cera…due occhi indifesi, ma il viso disteso, sereno di una dolcezza struggente nel languore di chi si abbandona fiducioso all'abbraccio) …quella donna così rispondeva alla mia stizza per il tempo che mi sfuggiva di mano.
Da allora, per paura di dimenticarle. ogni anno trascrivo nella prima pagina dell'agenda queste parole.



Quando diagnosticarono a mio fratello 6 mesi di vita, mi sembrò troppo poco il tempo assegnato, mi sembrò un'ingiustizia e ce la misi tutta per procrastinare la sentenza ,
Finalmente era giunto il momento di sfoderare la scienza acquisita in anni di sofferenza sperimentata e vissuta ogni giorno, ogni momento nel corpo e nell'anima sempre più grande, sempre più incomprensibile perché priva di senso, quel senso che da anni andavo cercando senza mai trovare risposta.
Finalmente era venuto il momento di mettere a frutto l'esperienza acquisita in anni di solitudine amara e sofferta.
Avevo finalmente trovato il senso a quell'andare infinito e continuo su per la cima della montagna da dove ogni volta precipitavo, schiacciata dal masso che mi trascinavo a fatica da sempre.
Il mio tempo da allora fu tutto impiegato a cercare rimedi più o meno efficaci a ciò che niente e nessuno avrebbe potuto cambiare..
Ma quando ogni speranza annegò nell'inutilità di qualsiasi intervento terapeutico tradizionale o alternativo, scoprii che c'era ancora qualcosa da dargli, ancora qualcosa a cui non avevo ancora pensato, ma che non dovevo più cercare fuori, non aspettarmi dagli altri, ma prendere dentro di me e donare senza aspettare il ricambio.
Fu nella scoperta di un amore donato gratuitamente che si consumarono, ahimè troppo in fretta, i suoi pochi giorni rimasti.
Ma quel seme buttato ha dato i suoi frutti.
Se sono qui  è grazie a quella sofferenza inaccettabile di cui mi sono fatta carico.

Il 5 gennaio del 2000, a distanza di pochi mesi dalla sua morte, spinsi piano le porte della chiesa, che mi ha accolta e si è presa cura di me. Chinandosi sulle mie ferite, versandovi l'olio della sua tenerezza, l'olio del suo amore, caricandomi sulle sue spalle, mi ha ristorato con il Pane e con la Parola di Dio. Assaporata la gioia di quell’amore mi sono chiesta come avrei potuto ricambiare la salvezza che mi è stata donata.



Guarita dalla mia solitudine egoista, mi sono proposta di tornare per le strade del mondo a guarire le ferite del mondo. Mi sarei anche io fermata accanto a tutti i malcapitati della vita per assisterli e dire loro che c’è sempre un Amore vicino a chi soffre, a chi è solo, a chi è disprezzato. 

















4 commenti:

Butterflyer ha detto...

Provo sempre una grande invidia... in senso buono... per chi, come te, nelle delusioni, nel dolore e nelle disgrazie, invece che amarezza riesce a trovare forza e una gran fede. E li ammiro.
Anche perchè quella forza ti da coraggio per "sporcarti le mani" col dolore altrui, senza tanto parlare ma agendo.
Io non ricordo quando ho perso questa capacità di attingere fede e forza da quel che vedo attorno, anche se vado avanti lo stesso per il mio piccolo e le mie cause, ma fa bene ogni tanto avere sottomano parole come queste.

paracchini ha detto...

Oggi don Paolo ha parlato un po' di questo.
Partito dalla lettura di Marco (8, 1-9), tratteggiò con brevi e semplici parole la figura di Gesù, e dalle sue parole, l'immagine della sua infanzia e di quello che i suoi genitori dovevano avergli insegnato. Invitandoci a chiudere gli occhi, per vedere Giuseppe e Maria nella quotidianità con Gesù. E ricostruì l'immagine delle persone che accorrevano da Lui per farsi guarire.
E ci ricordò che è un peccato non curarsi, non fare degli esami medici se uno ad esempio sta male, perché bisogna sempre avere il massimo rispetto per il dono della vita, perché la vita ci viene da Dio, e che bisogna fare altrettanto con gli altri, portare la carità, la parola, il conforto, l'aiuto a curarsi.
Questo non vuol dire non accettare la malattia, sia bene inteso.
Don Paolo mi piace molto, perché è sempre molto semplice nel parlare, sempre avendo come modello il Vangelo. E nel giorno delle apparizioni a Lourdes di Nostra Signora Maria Vergine, ci ricordò un po' le parole che sono il "testamento" di Maria per noi, le parole che dovrebbero essere il nostro faro, di insegnamento: «Fate quello che Lui vi dirà».

Grazie Antonietta per la tua testimonianza.

Saraysun ha detto...

Grazie per la tua testimonianza. La sofferenza, quella da cui vorremmo tutti fuggire, può diventare la scoperta di qualcosa di meraviglioso se abbiamo il coraggio di guardarla in faccia senza scappare e di offrirla a Dio.
Buonanotte :)

Pitie ha detto...

Sì grazie per la tua testimonianza e la risposta alla Parola 'gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date'...non tutti sanno farlo!
Buona domenica!