“Non sia turbato il vostro cuore”, dice il Signore.
A chi, se non alla Madre, chiedere consigli?
Ho preso in mano il rosario e ho desiderato recitarlo, riprendendo un'abitudine che mi era diventata cara e insostituibile, la notte, il mattino presto, i momenti bui della giornata.
Ci avevo messo
tempo per entrare in una relazione intima e fiduciosa con Maria, ma poi
avevo sperimentato la consolazione che viene dal parlare, confidarsi con
una donna, una madre, una persona tanto speciale da essere scelta da
Dio come madre di Suo figlio.
Il rosario era
diventato lo strumento per contemplare i misteri della vita, della
gioia, del dolore, della luce e delle tenebre, della morte e della
resurrezione, del Dio invisibile che cammina con noi.
Con gli occhi di
Maria il mistero si è diradato e con più consapevolezza ho vissuto
l'amore donato, messo in circolo dallo Spirito di Dio.
E pensare che
all'inizio mi riusciva incomprensibile questa preghiera, che mia madre
recitava ogni giorno e il sabato tre volte, per un voto che aveva fatto
per la salvezza dell'anima dei suoi figli.
Quando caddi
gravemente ammalata ne aumentò il numero, ma a me dava fastidio, proprio
perchè invece di guarire aumentavano le complicazioni e ad una malattia
se ne aggiungeva un'altra e un'altra ancora.
Lungi dal farmi
guarire, quei rosari sembravano farmi ammalare di più, tanto che un
giorno urlando le gridai di smetterla e di pregare per qualcun altro.
C'era mia sorella
che era un po'invidiosa di tante attenzioni, che pregasse per lei! Vuoi
vedere che mi sarei tolta quella iattura di dosso?
Così la pensavo
prima di convertirmi, ma anche dopo, perchè io l'incontro l'avevo fatto
con il Capo di casa e non avevo bisogno d'intermediari.
Tutto cominciò il giorno in cui una persona di fede, conoscendo la mia avversione viscerale con questa devozione, in chiesa si sfilò dalle mani il rosario, su cui stava pregando, e me lo diede con l'augurio che potessi trovarvi conforto, consolazione, forza, intimità più profonda con il mistero di Dio e con sua madre, chiamata per prima ad accoglierlo e a viverlo.
Dai quei grani di legno si sprigionava un calore profondo, rassicurante, intenso che mi rimase anche quando lo riposi in borsetta.
Pensai
a quante persone erano passate su quei grani, con le loro storie di
sofferenza e di morte, quante speranze, quante invocazioni d'aiuto,
quanti atti di fede!
In
quel legno d'ulivo c'era la passione dell'uomo e la compassione di Dio,
c'era l'amore messo in circolo dal sì di una donna che io non volevo
sentire.
Cominciai a recitare le avemarie, non conoscendo neanche quale fosse il numero e la giusta sequenza dei misteri, per arrivare poi ad aggiungerne degli altri o a meditarne contemporaneamente più di uno.
Quando mio padre morì, sentii forte il desiderio di metterglielo tra le mani, per unire la sua preghiera alla mia, una volta che fosse salito in cielo.
Maria è diventata pian piano la mia compagna di viaggio, la mia infermiera notturna, la via privilegiata e sicura per entrare nella casa del padre attraverso il cuore del figlio.
Ma come capita a volte con gli amici che perdi di vista, è capitato a me in questi ultimi mesi, in cui il fare ha occupato tutti gli spazi dell'essere.
Questa mattina ho ripreso il rosario in mano, ne sentivo il bisogno, per colmare una nostalgia che mi stava attanagliando la gola.
Ho
cominciato a sgranarlo, era notte, ma i miei pensieri vagavano
sull'insensatezza di un parlare con persone mai viste, su come avevo
potuto fare a credere che quello strumento faceva rivivere i morti,
risuscitava e apriva il varco a realtà meravigliose e sconosciute.
Ave Maria... Ave Maria... Ave Maria..
Quante persone nei secoli avevano pregato così, si erano rivolti alla madre di Dio, salutandola in quel modo! Quanta gente aveva trasmesso ai propri figli attraverso quella preghiera la fede!
Il pensiero andò ai miei, alla chiesa dove si erano sposati, dove io avevo fatto la prima comiunione e la cresima.
Di
quel matrimonio ricordo tutto: il taileur di mamma color prugna, cucito
in fretta per sostituirlo all'abito nero che soleva portare, da quando
il padre era morto, quello liso di papà che si impigliò alla maniglia
dell'autobus, mentre si precipitava di corsa al luogo dell'appuntamento,
i buchi alle scarpe che non potè nascondere quando si inginocchiò
davanti all'altare, il catafalco funebre rimosso in fretta, il mezzo
agnello diviso a pranzo tra gli invitati, il cimitero dove si recarono a
fare una passeggiata la prima volta da soli, il pomeriggio prima che
papà riprendesse il treno per tornare a La Spezia, sulla nave dove era
imbarcato per via della guerra.
Era il 20 marzo del 1941.
Ogni
volta che passo davanti alla chiesa, Giovanni vuole che gli racconti la
storia dei nonni, della guerra, delle preghiere perchè le bombe
tacessero, della mia nascita durante il coprifuoco a Paglieta,
vicinissima al fronte, del carretto su cui i miei tante volte avevano
radunato le poche masserizie, per scampare al pericolo e metterci in
salvo.
Ma l'occasione per passarci davanti è venuta meno nei mesi invernali, tanto da farmi dimenticare la chiesa e la storia.
Giovanni
mi ha ridestato dal sonno, non una ma più volte, non chiedendomi ancora
dei nonni, ma parlando direttamente a loro, ogni volta che la facciata
della chiesa appariva dopo la curva.
“Qui vi siete sposati!”.
All'inizio pensavo ce l'avesse con me, poi ho capito che i suoi interlocutori erano i nonni.
Straordinari i bambini che ti spiegano come si possa parlare con le persone che non vedi!
Mentre
sgranavo il rosario questa mattina, ho pensato a quelle persone che
avevano conosciuto e frequentato Maria e quante erano state affascinate
da questa straordinaria creatura, attratte dalla sua storia, coinvolte
dal suo dolore, attingendo serenità e gioia dalla sua fede.
Ho
pensato a tutte le volte che passo davanti a quella chiesa senza
Giovanni e alle parole che mi sgorgano spontanee, mente faccio il segno
di croce.
”Qui vi siete sposati”
Ripetendo
la giaculatoria, m'immergo nella meditazione dei misteri della vita,
grazie a mia madre e mio padre che, a capo del letto, avevano appeso un
grande rosario e a Giovanni, un bambino che non ha smesso di credere che
sono ancora in vita.
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