venerdì 4 maggio 2007

Il dono

Lettera inviata ad una coppia, senza figli, incontrata in un corso di spiritualità coniugale, a Loreto.


Carissimi Elisabetta e Sergio,

non ci siamo dimenticati di voi, anzi vi abbiamo sempre tenuto presente nelle nostre preghiere, per la sofferenza che abbiamo visto dipinta nei vostri volti, quando a Loreto abbiamo condiviso le nostre storie, una sofferenza che l’ultimo giorno abbiamo visto attenuarsi nella consapevolezza che il dono che aspettavate da Dio era il compagno che vi aveva messo a fianco il giorno del matrimonio. Vedere nell’altro un dono di Dio, un segno della sua benevolenza è frutto dello Spirito, è grazia che matura e dà frutto. Abbiamo tutti sperato e abbiamo creduto che per voi il tempo dell’attesa volgesse al termine e che Elisabetta non a caso porta quel nome. Ma i disegni di Dio non sono i nostri e i suoi tempi sono misurati non sulle lancette dei nostri orologi, ma sull’infinito del Suo amore. Così, quando abbiamo saputo di voi dai fratelli, che abbiamo conosciuto a Loreto, con i quali ci siamo sentiti in questi giorni e che, come noi, speravano in un miracolo, per ciò che vi sta più a cuore, abbiamo sentito forte il desiderio di metterci in comunicazione con voi. Il computer portatile, che Gianni mi ha regalato a Natale, permette di essere usato in ore e in luoghi compatibili con la vita che conduco da un po’ di tempo questa parte, tra Giovanni, il nipotino profeta, mia madre anziana e malata, rimasta sola a luglio per la morte di papà, Gianni, lo sposo che il Signore mi ha restituito e a cui mi ha restituito, le coppie per le quali ci andiamo formando e alle quali cerchiamo di portare ciò che ci viene donato.

La salute dell’anima, a guardare la pace e la serenità in cui viviamo,. va sempre meglio,quella del corpo un po’ meno, ma non ce ne preoccupiamo, fiduciosi che c’è Chi se ne occupa ogni istante e non dimentica le sue promesse. Stiamo imparando ad aspettare e a cogliere nell’attesa le occasioni di Grazia che Dio ci prepara.

Abbiamo pensato a voi, mentre ci accingevamo a preparare un incontro con i fidanzati che ci sono stati affidati sul tema: “Abramo e Sara. Difficoltà di vivere la fede nella vita matrimoniale”e vi vogliamo fare partecipi delle riflessioni che abbiamo fatto in quell’occasione.

Ci siamo presi la briga di cercare sul vocabolario il significato della parola felicità e ci siamo sorpresi nel constatare che corrisponde a: essere fecondo, portare frutto. Ci siamo soffermati a riflettere su cosa permise ad Abramo di vedere esauditi i propri desideri, che erano quelli di avere una discendenza numerosa, unica garanzia a quei tempi di immortalità. Un figlio era la condizione perché il nome di Abramo sopravvivesse e entrasse nella storia, un figlio che Dio concesse a lui e sua moglie, dopo che accettarono di lasciare la terra nella quale vivevano agiatamente, la terra di Carran, simbolo di sicurezza economica e di prestigio sociale faticosamente conquistato. Abramo accetta con la sua sposa di mettersi in viaggio verso una terra che non conosce, fidandosi di Dio e della sua promessa, accetta di andare in Egitto, di attraversare il deserto, accetta, una volta arrivato a destinazione, di sacrificargli Isacco, il figlio che Dio gli aveva dato come premio alla sua fede.

Quanti sì dovette dire prima di vedere esauditi i suoi desideri!

La fede di Abramo ci disorienta, ci fa sentire piccoli, piccoli, incapaci di fare molto meno, per il nostro Dio.

Ma la storia di Abramo e di Sara ci ha portato a riflettere su ciò che a volte il Signore ci chiede di donargli, pretese assurde che non ci riesce di comprendere, pretese che solo la Grazia che viene da Lui può farci vedere come strumento di crescita e di salvezza.

Ad ognuno Dio chiede di sacrificare il proprio Isacco, che può essere il progetto più bello e più buono del mondo, la cosa a cui teniamo di più, perché vuole che ci fidiamo di lui e vuole portarci a godere di ciò che non riusciamo ad immaginare neanche nei sogni più belli.

Da quando siamo tornati da Loreto, ci stiamo esercitando a dirgli di sì e, siccome non ci riusciva di farlo insieme e sempre, con serenità e con gioia, abbiamo pensato che dovevamo andare alla fonte per prendere la forza che non trovavamo in noi stessi e nell’altro, cercandola a Lui nella mensa della Parola e del Pane ogni giorno come necessario viatico nell’attraversamento di quello che spesso ci si presenta come un deserto arido e inospitale.

Abbiamo spesso pensato a voi, quando ci siamo imbattuti con storie di sofferenza derivata dall’avere o non avere il figlio che si desidera, come lo si desidera, quando lo si desidera.

Abbiamo pregato senza interruzione perché non abortisse Marta, giovane legata ad un tossico, di cui ci eravamo fatti carico, per un passato di violenza e di malattia personale e familiare, ma non ce l’abbiamo fatta a fermare la mano omicida; abbiamo pregato perché fosse accolto dai suoi genitori il bimbo malformato al sesto mese di gravidanza, ma che, come il primo, è andato ad unirsi al coro degli angeli che pregano perché mamma e papà si convertano e non si sentano soli.

Abbiamo pregato per Simona e Marcello che hanno voluto un figlio a tutti i costi, ricorrendo all’inseminazione artificiale, dopo che la leucemia aveva tolto a lui la possibilità di procreare normalmente.

Continuiamo a pregare per i due piccoli nati dall’esperimento, per i loro genitori, per la vita non facile che si prospetta loro a causa delle gravi malformazioni di cui sono portatori i gemelli.

Continuiamo, perché siamo convinti che solo la preghiera può trasformare il fallimento, la prova, la croce in strumento di resurrezione e di vita.

Da queste storie stiamo vedendo che qualcosa sta germogliando e vi assicuriamo che è erba buona, è vita nuova che sta soppiantando la vecchia.

A voi, sposi, uniti da Dio nel Sacramento del matrimonio, uniti a noi attraverso il Battesimo vogliamo che giunga insieme a tutta la nostra comprensione e compassione evangelica, il nostro affetto nato dalla condivisione di un’esperienza che ci ha fatto contemplare le meraviglie dell’amore di Dio.

Il miracolo non è stato tanto quello di non usare più il bastone, quanto quello di aver capito che il cielo si scala in ginocchio dal giorno in cui fisicamente le mie gambe si sono piegate davanti a Gesù che passava. mentre insieme eravamo riuniti a pregare, nella cappellina della Casa Famiglia che ci ospitava.

Continuiamo a recitare il credo, chiedendo a Dio di potergli consegnare insieme alla nostra vita, anche la nostra volontà, cosa tutt’altro che facile.

Vi invitiamo a farlo anche voi, cercando in ciò che vi è dato la sua volontà che si manifesta.

Il 29 dicembre la liturgia ci parla di Maria e Giuseppe che, dopo otto giorni, si recarono al tempio per offrire il figlio al Signore. Ancora l’offerta ci viene presentata come valore. Ma non poteva essere diversamente, visto che, attraverso l’offerta di se, Dio ha dato al mondo la possibilità di godere per sempre della terra promessa.

Vi vogliamo bene.

Antonietta e Gianni

settembre 2003

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