domenica 26 agosto 2018

INCONTRO MONDIALE DELLE FAMIGLIE


Sfogliando il diario...


12 maggio 2007
ore 6,30

"Dacci oggi il nostro pane quotidiano"


Chissà perché ho associato questa parole al Family day, mentre penso alla giornata che mi aspetta.


Forse perché il pane quotidiano si spezza in famiglia, un pane spesso fatto di sofferenza, di fatica, di incomprensioni, di rotture, di aggiustamenti “fai da te”.


Il pane quotidiano è ciò che Dio provvede a darci ogni giorno, non cambiando gli ingredienti in base ai nostri gusti, ma fornendoci sempre l'aiuto necessario perché sia commestibile e basti per tutti.


Il mondo, gli uomini, noi, non ci stiamo a non poterci scegliere il pane che vogliano, quello che si vende al fornaio, della forma, del sapore e del profumo che più ci piace o ci serve, nel caso abbiamo degli ospiti, o dobbiamo fare una gita.


Molte famiglie non possono permettersi il lusso di sceglierlo, il pane, anzi spesso neanche di comprarlo.


Gli Ebrei dovettero fare a meno di quello a cui erano abituati, quando arrivò l'ordine di fuggire dall'Egitto perchè mancò loro il tempo per far lievitare la pasta.
Il pane azzimo all'inizio, li sfamò, e fu un sacrificio; ma poi anche quello finì.


Nel deserto sentirono la nostalgia di quel pane quotidiano, dato per scontato per tanti anni e rimpiansero i giorni della schiavitù, quando era garantito ogni giorno.


Ma Dio ebbe pietà di loro, e dal cielo cadde la manna; “ma-nhu?”, “cos'è questo?”si domandarono stupiti, quegli uomini stremati dalla fame, dal caldo, e dalla fatica.


Quel cibo, sceso dal cielo, era senza colore e sapore, proprio perché ognuno doveva darglielo, chiedendosi chi lo mandava e a cosa doveva servire.


Oggi rifletto sul pane che dovrei farmi, per via delle intolleranze, un pane speciale che non sia di frumento e non contenga lievito di birra. 
Penso al dolore che non mi ha fatto dormire stanotte, che da mesi non mi abbandona, dolore alle braccia, al collo, alla testa, penso all'ernia cervicale che non posso operare, perché sarebbe la terza volta e non è detto che l'intervento risolverebbe qualcosa.


Penso al “family day”, al perché non l'hanno chiamato con un nome italiano, visto che si tiene in Italia, penso alla gente che in questo momento si è data appuntamento a Roma, in piazza San Giovanni, per proclamare, sostenere il valore della famiglia.


Io e Gianni non ci possiamo andare.


Da quando mi sono ammalata i grandi eventi li seguiamo in televisione, alla radio o leggendo i giornali.


Io a fatica reggo la testa sopra le spalle, lui alle prese con medici e medicine di cui entrambi abbiamo bisogno, il lavoro ordinario e straordinario del sabato, perché si deve dividere tra impegni aziendali e responsabilità familiari: la spesa settimanale, l'aiuto in casa, perché da sola non ce la farei e non ultimi Giovanni ed Emanuele, che nel pomeriggio staranno con noi, mentre i genitori, andranno a salutare degli amici che si sposano fuori città.


Abbiamo pensato di portarli in campagna, nella casa sul colle, la casa delle vacanze,come suole chiamarla Giovanni.


Questa mattina, di buon ora, nonno Elio con nostro figlio, andranno a montare il cancelletto da mettere alle scale, per evitare che Emanuele, che ha cominciato ad andare da solo, non si scapicolli, e l'altalena per Giò, in un posto visibile dalla casa, ma sicuro, visto che sono 5 ettari di terra non in piano.


Gianni alle 7 dovrà trovarsi in cantiere, per prendere accordi con l'idraulico, che deve montare il serbatoio per l'acqua che manca, da quando ha smesso di piovere regolarmente.


Avevo contato sull'aiuto di Gianni, per fare il pane, per fare la spesa, per preparare qualcosa per questo pomeriggio, quando con i bambini andremo a respirare un po' d'aria pura.


Per fortuna che Elisabetta e Lorenzo, a cui abbiamo fatto i testimoni di nozze, ci hanno detto subito di sì a darci una mano.


Penso a quante volte il Signore ci ha chiamati a turno a vigilare sulle nozze dell'altro, quante volte il reciproco donarsi ha portato la pace in famiglia e ha reso possibile che la la festa non si guastasse.


Oggi, a Roma, c'è il “Family day”, e forse questi impegni non ci permetteranno di seguirne lo svolgimento, nemmeno in televisione. Dovremmo essere invece concentrati, io e Gianni, ad ascoltare come vanno le cose, perché, mercoledì prossimo, a Radio Speranza, dobbiamo fare noi la trasmissione e commentare questo evento.


Ma  siamo rimasti a casa, e ci stiamo chiedendo se il luogo fa la differenza.


Penso al pane che devo fare per me, che sono intollerante al frumento e al lievito di birra, quel pane che, con il dolore che ho, mi è difficile immaginare di poterlo realizzare, senza poi mettermi a letto o andare all'ospedale.


“Ma-nhu?” “Cos'è?” Voglio chiedere al Signore, per me e per tutti quelli che non sanno riconoscere il pane che alimenta la vita.


Cosa mangeremo oggi, visto che quel pane che vorremmo, non lo possiamo ottenere, neanche avendo i soldi a palate?


“Cos'è?” Cibo insapore e incolore come la manna.


Quando ci riesco, metto insieme un cucchiaino di miele, un po' di farina di farro, di saragolla o di segale, un po' d'acqua e mi metto ad aspettare.


Le prime volte è uscito un aborto, ma l'ho mangiato lo stesso. 
Pian piano ho imparato ad attendere che l'impasto si gonfi, a dosare gli ingredienti, ma ogni volta è un'avventura, un incontro con Dio a cui dico grazie sempre, perché non è scontato che ci riesca, che lo possa fare, lo possa mangiare, lo possa digerire o pagarne il prezzo.


Per sicurezza ieri ho comprato due etti di pane azzimo di camut in un negozio alternativo.


Quattro euro.


Gli Ebrei sicuramente l'hanno pagato più caro, il pane che hanno mangiato con i fianchi cinti, di corsa, mentre fuggivano dalle grinfie del faraone.


Ma la liberazione dalla schiavitù non ha avuto prezzo, perché non sono bastati quarant'anni di deserto alla ricerca della terra promessa. 
Doveva venire Dio in persona a saldare il debito che nessun sacrificio poteva estinguere.


Oggi mi chiedo quale pane oggi verrà dal cielo e la risposta me la dà la liturgia, che invita a lasciarsi guidare dallo Spirito, come Paolo e i discepoli, a cui la direzione la dava chi chiamava, chi aspettava, chi chiedeva, chi aveva bisogno.


L'orecchio attento alla voce dello Spirito ci fa intendere che il pane quotidiano non lo fanno gli ingredienti, ma Colui che indica come mescolare, amalgamare, attendere che lieviti, infornare, attendere ancora, vigilando sulla cottura, per poi sfornarlo e dividerlo perché tutti ne abbiano.


Oggi, giorno della famiglia, voglio condividere con quanti mi leggono, il pane di questa giornata, che solo l'amore rende appetibile, buono e digeribile,un pane che serve a dare vita a noi e al mondo, un pane fatto di gratuità, di dono, di servizio, di Spirito Santo, che fa lievitare la massa.
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12 maggio 2007
La Bella Addormentata (Gran Sasso)
ore 9.30
Mi sono fatta portare in campagna, dove l'aria è pulita e il panorama è da mozzagfiato, dove niente e nessuno ti può distogliere dall'impegno di testimoniare il valore della famiglia.


Seduta al computer, per fare l'articolo per Radio Speranza, vigilo su Emanuele, l'ultimo nato, mentre Franco, mio figlio, assiste il suocero, che monta il cancelletto alle scale, fatto da lui, per rendere più sicuri i primi passi del piccolo.


A montare l'altalena per Giovanni, il grande, e l'amaca per tutti, penseranno più tardi, perchè bisogna tagliare i rami degli alberi e fare dei buchi per terra e c'è bisogno di aiuto.


Bisogna aspettare che torni Gianni con le tanniche d'acqua, perchè questa sera i bambini e noi possiamo tornarci, mentre i genitori saranno al matrimonio a cui sono stati invitati
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15 maggio 2006


ore 10
Oggi ho ancora fatto esperienza di povertà e di famiglia, il momento in cui, tornata dalla messa, ho incrociato Dubrynka, "la bulgara del piano di sotto" come all'inizio la chiamavo, che trafelata veniva ad avvisarmi che non c'era nessuno che tenesse Emanuele il piccolo di casa, perchè chi se ne occupa abitualmente, l'altra nonna, precipitosamente ha dovuto accompagnare sua madre anziana all'ospedale.


Lei, interpellata dai genitori, doveva andare al lavoro, mi aveva detto dispiaciuta, ma la figlia,Didi, aveva due giorni di ferie e poteva benissimo aiutarmi in un compito per me impossibile, per via delle braccia che non funzionano.


Io pensavo che oggi, anzi, questa mattina, visto che il pomeriggio sono impegnata con Giovanni, potevo con calma, preparare la trasmissione per domani, nonostante il dolore mettesse in dubbio tutti i progetti. 
Ero andata anche a fare la spesa, per approfittare, fin quando ce la facevo, a rifornirmi dell'occorrente per il pranzo e la cena.


Con Giovanni, non mi riesce di fare niente, specie, quando, come oggi, lo devo portare in palestra.


Alla messa ho sentito forte il desiderio di invocare lo Spirito, durante e dopo l'elevazione, pensando a quel pane quotidiano che oggi doveva essere frutto dell'impasto con il dolore, il servizio alla famiglia che è raddoppiata, da quando Franco si è sposato, il servizio alla Chiesa, attraverso la trasmissione radiofonica: "Famiglia:segno di speranza", che dovevo imbastire da sola, visto che il collaboratore abituale è impegnato.


D'accordo che c'è sempre Gianni che mi può sostituire; ma oggi è al lavoro, e, più che prestare la voce, domani, per leggere quanto ho scritto, non può fare.


Dicevo dei progetti, del dolore e del pane quotidiano che chiediamo a Dio nel Padre nostro


Il mio pane, quello di segala e camut, senza lievito, fatto ieri sera a mezzanotte, risultato immangiabile, non è stato più un problema, nel momento in cui si sono attivati i soccorsi.


Sempre più spesso mi ritrovo ad essere povera, tra i poveri, ma arricchita dalla provvidenza che non permette che rimaniamo a stomaco vuoto.


Didi, la madre di Crystian e Denise, è in cucina che mi sta pulendo la verdura, dopo aver fatto addormentare Emanuele, io sono qui che rifletto su quanto contino, nell'essere famiglia, non tanto gli ingredienti, quanto la capacità di impastarli, armonizzandoli con l'umiltà, la fiducia in Dio, e la gratitudine a tutti quelli di cui si serve per comunicarci il suo amore.

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