domenica 14 gennaio 2007

3 Famiglia oggi:riflessioni di coppia

 

Rubrica radiofonica a cura di Gianni e Antonietta
Canto: Cristo è risorto veramente (Risorto per amore 1)



Un caro e affettuoso saluto a tutti, amici. Dagli studi di Radio Speranza vi danno il benvenutoGianni e Antonietta.

La settimana scorsa, preparando la trasmissione di oggi, abbiamo sperimentato quanto sia difficile e duro il cammino della fede, ciò che si richiede ad ogni credente nel momento in cui tutto è buio e le cose che capitano sembrano incomprensibili.

Abbiamo dovuto, infatti, fare i conti, Antonietta e io, con la nostra incapacità a cercare le parole e gli argomenti giusti per farvi arrivare un messaggio di speranza, per comunicarvi che Cristo è veramente risorto nella nostra vita personale, nella nostra vita di coppia e nelle nostre relazioni all’interno e al di fuori della famiglia, per annunciarvi che Cristo è risorto non solo per noi, ma per tutti gli uomini, come provvede a ricordarci il nostro nipotino di due anni e mezzo, quando preme il bottone dell’antiquato ma sempre funzionante apparecchio stereo, dove fisso troneggia il suo CD preferito, quello che lui chiama: “ la musica delle campane”.

Ebbene noi vogliamo ringraziare il Signore per tutto quello che ci ha donato in questa settimana e vogliamo cominciare da questo piccolo grande profeta che è Giovanni, il maestro, che il Signore ci ha mandato a domicilio, per insegnarci a guardare il mondo con i suoi occhi, per stupire di fronte alle meraviglie del suo amore.

Quando è nato, non sapevamo che stava arrivando dal cielo un dono così grande, come non lo sapevamo, quando è nato nostro figlio Franco.

Ma se la prima volta, di fronte al miracolo della vita che sboccia, non abbiamo alzato gli occhi al cielo e non abbiamo neanche per un attimo pensato che nostro figlio era lo splendido dono che Dio ci aveva fatto pervenire, per rendere fecondo il nostro amore, la seconda, quando è nato Giovanni, abbiamo vissuto la stessa esperienza in modo totalmente diverso.

Il Signore, come ci aveva messo di fronte ad un altro matrimonio, quello di nostro figlio, per farci riflettere sul nostro, così ci ha messo sotto gli occhi un altro bimbo, perché imparassimo da lui come si ama..

Sul suo diario, nell’aprile 2002, così scriveva Antonietta, aprendo la strada alla condivisione di un patrimonio comune.

Ridiventare bambini è la strada maestra per entrare nel mistero dell’amore di Dio, il regno dei cieli che, ogni volta che ci riusciamo, si trasferisce su questa terra e trasforma la nostra storia di schiavi, di servi inutili, in storia di figli, a tutti gli effetti eredi di quel patrimonio di grazia, che proviene solo da Lui.

Giovanni, il bimbo che Dio ci ha donato, attraverso nostro figlio e sua moglie, è il più bel libro scritto dal Signore, per farci le catechesi sull’argomento.

Quando venne al mondo, eravamo lontani da questi pensieri e mai avremmo immaginato che quel batuffolo di tenerezza sarebbe stato la chiave, per entrare nel mistero della misericordia di Dio.

Del resto il suo nome parlava chiaro, perché non a caso si chiama Giovanni, che significa Dio è misericordia, Dio ama.

All’ospedale, quando nacque, non lo sapevano, per cui gli appiccicarono un numero sulla tutina, per paura che si confondesse, il n. 43



6 aprile 2002



Quando sei nato, avevi un viso spaventato, gli occhi sgranati, fissi, immobili come se avessi visto tutto il male del mondo e fossero incapaci di chiudersi ancora, di battere, palpitare sul tuo tenero e dolce faccino.

Volevi venire al mondo da tanto tempo.

Da tempo spingevi, scalciavi, per uscire dal tuo caldo e sicuro rifugio, ma una corda ti teneva attaccato a tua madre.

Avvolta al collo due volte, ti si stringeva sempre di più, ogni volta che volevi provare a respirare con i tuoi polmoni, pure se l’aria era inquinata e il panorama non era quel granché che ti aspettavi.

Sei nato con un numero cucito sulla tutina e un braccialetto al piedino, con su scritto il cognome di tua madre, per paura che ti perdessi.

Cosa tu avevi a che fare con me?

Nessuna cosa mi ricordava che eri, che sei, figlio di mio figlio, che allo stesso modo eri nato, soffrendo e morendo tu e tua madre per poter risorgere ancora e di più e per dire che la vita è bella, perché è miracolo, stupore dono stupendo e misterioso della potenza e della misericordia di Dio.

Perché quando penso a te sto male?

A cosa penso, guardando i tuoi occhi spauriti, e sgranati, occhi grandi come fanali?

Penso a te, che sei scampato ad un naufragio, a tutti i naufragi del mondo, che hai lottato con una forza che non era la tua.

Un angelo con te ha lottato perché venissi al mondo, sciogliendo quei lacci di morte che te lo impedivano.

Forse gli occhi spauriti sono quelli dello stupore di avercela fatta,

Non ci credevi, non ci avevi creduto, con quei due cordoni attorcigliati al collo, che ti soffocavano ad ogni movimento

E tua madre te ne aveva fatte sentire di musiche ..e noi abbiamo pensato che stavi ballando, mentre ti muovevi nella sua pancia …chissà se la corda l’avevi anche prima… tutto il tempo in cui le cuffie appoggiate alla pancia ti facevano le coccole, che noi, tua madre, tuo padre, non potevamo farti più da vicino.

Oppure una piroetta più ardita, un salto acrobatico, di cui ti sentivi capace, vista l’ora che si avvicinava, per conoscere i volti delle tante voci, che ti avevano tenuto compagnia, amandoti senza vederti.

Il mondo ti aspettava e tu aspettavi il mondo e con impazienza scalciavi, aprivi, chiudevi le manine, stendevi i piedi, le gambe e le braccia, perché eri ansioso di venire alla luce.

Poi quella notte, era notte, la notte lunga, buia, angosciosa, senza fine, degli urli, dei gemiti, del rantolo, dell’agonia di una madre che non può far nascere suo figlio, perché lo avrebbe fatto morire.

Così, Giovanni, sei stato trattenuto ancora, per un tempo che a noi è sembrato eterno, perché non soffocassi del tutto.

Il grido spasmodico di tua madre mi è rimasto nell’anima, ha scavato dentro chissà quanti chilometri, giù nel profondo abisso della memoria.Era un grido, era un pianto, era una richiesta d’aiuto, era l’impotenza dell’uomo che chiamava l’onnipotenza di Dio.

Così con le mani strette ad una corona, ad un rosario, ho pregato, abbiamo pregato, perché vi ci aggrappaste anche voi, tu, tua madre, perché usciste dal gorgo e vi salvaste dai flutti di morte.

Le parole non le ricordo, ricordo lo sguardo fisso a Dio, Dio di misericordia, a Sua madre perché provasse compassione di quella titanica lotta con il serpente, che ti avvinghiava la gola.

Così sei venuto alla luce n. 43, figlio di tua madre, ma dono di Dio, perché il tuo nome era già scritto, sulle palme delle Sue mani, prima ancora che fossi intessuto nel grembo di tua madre, prima ancora che tua madre e tuo padre pensassero a te

Il tuo nome era Giovanni, è Giovanni, perché la misericordia di Dio non si misura e tu tutta in te la manifesti.



Quel nome ci aveva stregati, tanto che non potemmo che dedicargli questa poesia il giorno del suo Battesimo, il

 9 giugno 2002.



Ti abbiamo trovato in un campo

Al mattino

Tra i fiori appena spuntati



Ti abbiamo guardato stupiti

E ti abbiamo riconosciuto.



Eri quello che stavamo aspettando

Proprio tu

Che stentavi a sbocciare.



Ansiosi ci siamo accostati

Ma subito ci siamo fermati

Per paura di farti male.



Con lo sguardo, piano,

Ti abbiamo accarezzato,

Ma con il cuore ti abbiamo preso

Piantandoti nel nostro giardino..



Ora i tuoi teneri e giovani petali

Si stanno rinvigorendo

Ogni giorno la tua veste è più bella

I tuoi occhi più vivi e lucenti.



Per quel prato che non abbiamo coltivato

Per il sole, per la pioggia

Per la brezza leggera

Che il tuo seme ha trasportato

Vogliamo ringraziare il Signore

Perché grande è il suo amore per noi.



A te proprio aveva pensato

Per ricordarcelo

Quando ti ha chiamato per nome.





Queste cose scrisse Antonietta, a ridosso della nascita del piccolo Giovanni, comunicando dei sentimenti che erano anche i miei, ma che tenevo compressi nel cuore, quasi fossero vergogna. Ma eravamo ancora lontani dall’immaginare quante cose ancora avremmo imparato, osservandolo crescere.

E così rispondevamo a dei compagni di viaggio, uniti nella fede, che invitavano me e Antonietta a rinascere dall’alto



Bisogna veramente rinascere dall’alto, per ricominciare tutto da capo e ogni giorno riscrivere la nostra storia alla luce di Cristo..

Attraverso Giovanni, abbiamo imparato a guardare le nostre debolezze e le nostre difficoltà con gli occhi di Dio.

E’ lui il piccolo grande maestro di cui si serve per insegnarci come si fa.

Da quando è nato, ci perdiamo ad osservare le sue manine tese verso di noi per buttarsi nelle nostre braccia.

Ringraziamo Dio perché non ha paura, visto come è messa Antonietta con la schiena, lei, che se ne deve occupare la maggior parte del tempo.

Quante volte il suo pianto lo abbiamo prevenuto, vigilando che non gli mancasse nulla, quante non abbiamo potuto fare a meno di farlo soffrire per una medicina un po’ amara che lui non voleva saperne di prendere!

E che dire di quando tenta di alzarsi e di mettersi in piedi e non ci riesce e cade, suscitando in noi ilarità a tenerezza ad un tempo?

E i balbettii incomprensibili, le parole storpiate, il suo pianto, il suo riso, il suo essere bisognoso di tutto che ce lo fanno amare di più, se fosse possibile!

Perciò vogliamo stamparcele in mente e nel cuore le immagini di questo tempo di grazia che Dio ci concede, perché non vogliamo dimenticare ciò che attraverso Giovanni ci vuole dire.

Man mano la sua mano tesa diventa la nostra, nostre le sue piccole e deboli braccia e insieme ci ritroviamo a ringraziare il Signore per questo dono stupendo che ogni giorno di più mostra le sue meraviglie.

Tornare bambini è fidarsi di chi ci vuole bene, è non preoccuparci di cosa mangeremo e di che ci vestiremo, tornare bambini è non proferire parola, perché l’amore non ne ha bisogno.

Gesù, LA PAROLA; IL VERBO DI DIO, non è forse venuto per offuscare e rendere vane tutte le altre?



Canto: L’amore del padre (Eterna è la sua misericordia: lato B 1)


Dopo questa immersione nei sentimenti, apriamo gli occhi di fronte a quante cose nella nostra vita abbiamo dato per scontate, a quante occasioni ci siamo lasciti sfuggire, per vivere la gratitudine verso Chi non si stanca di amarci e continua a bussare alla nostra porta, perché vuole portarci i suoi doni.

Franco, nostro figlio è stato veramente, il primo e più grande, perché il Signore si è servito di lui, per farsi annunciare.

Eppure noi non abbiamo coltivato la sua fede, e quando lo abbiamo battezzato, abbiamo pensato più ad un dovere da assolvere che ad una grazia da accogliere e far fruttificare.

Lo abbiamo affidato alla Chiesa perché si occupasse di lui e lo istruisse su ciò che era importante per essere buono.

Non gli abbiamo insegnato a pregare, pensando che bastasse fargli frequentare luoghi sicuri, lontani dai pericoli, mentre noi ci occupavamo dei problemi che ci erano piombati addosso ad un anno dal matrimonio e che ci avevano colto del tutto impreparati.

Della sua vita spirituale non conoscevamo nulla, anche se provvedevamo ad inculcargli sani principi e a trasmettergli una cultura della pace e dell’accoglienza, che non sapevamo, però, venirci da Dio.

La sua camera cominciò ad ospitare oltre ai libri di studio e di svago, anche la Bibbia, i libri della Liturgia delle ore, il Catechismo della chiesa cattolica e tanti altri testi che avevano come unico denominatore la parola di Dio.

Il fatto che fosse capo scout ci mise l’animo in pace che non fosse un bigotto e che erano quelli, comuni strumenti di lavoro, in tutto simili a quelli che io e Gianni usavamo per il nostro.

Fu lui, però che insistette a che ritornassero, quando, alla fine del 1999, vennero a casa nostra, Annamaria e Graziellina, per parlarci di Dio, nell’ambito dell’iniziativa missionaria promossa dalla Diocesi per l’anno 2000.

Fu quella l’occasione che portò prima Antonietta e poi me a varcare le porte della Chiesa, che poi scoprimmo essere la nostra parrocchia.

Da quando c’eravamo sposati, avevamo cambiato più chiese che case, mai facendo riferimento a quella più vicina alla nostra, pensandola solo come un ufficio che dispensa servizi per i figli, a cui non si sa cosa offrire di meglio.



Ripensando a tutto questo così scrivevo in occasione del matrimonio di Franco, a

 giugno del 2001



La tua stanza

Franco, manca poco e la tua stanza sarà vuota di vestiti, di scarpe, di fogli, di libri, di dischetti e CD messi lì alla rinfusa, abiti stropicciati, sparsi ovunque, fili aggrovigliati che spuntano e s’intrecciano e s’insinuano fra le multiformi e variopinte scartoffie che sciabordano dagli scaffali che non le contengono

Quel tuo voler fare le tante, troppe cose che il tempo ti strappa di mano, quel frutto che vuoi cogliere subito, la tua voglia di bruciare le tappe, ti portano a lasciare indifese le tracce di ciò che sei, di ciò che cerchi, di ciò che comunque vuoi nascondere, senza riuscirci.

Franco, la tua camera oggi mi parla di te, con il suo disordine, con la sua confusione che è anche la mia, mi parla delle tante, troppe baruffe perché non riuscivi, non riuscivo a capire, che ogni tanto bisogna fermarsi, per buttare ciò che ci ostiniamo a portare senza che ne valga la pena, ciò che grava sopra di noi, perché non riusciamo a lasciarlo da parte.

Franco, la tua camera oggi parla di te, più forte, mentre pian piano togli di mezzo ciò che è tuo, ciò che fino a ieri sembrava mio solo mio, perché tu eri cosa mia, come i tuoi pensieri, i tuoi desideri, i tuoi sogni, che ti ostinavi a negarmi…tutto, tutto ciò che, essendo tuo, pensavo mi appartenesse.

Ora te le porti lontano le cose che non sono mai state mie, le strappi dalla tua stanza stupita, dal mio cuore sconvolto da questo temporale di maggio, le porti via senza ordine, senza niente buttare, perché bisognerebbe fare una scelta ed è difficile, specie in questi momenti convulsi che ti separano dal matrimonio.

Le cose, Franco, lo so, lo sai, non vanno lontano: da un armadio ad un altro armadio, guarda caso distante solo 10 metri…

O di più?

Ma il tuo cuore, Franco, quello dove lo porti?

Il vuoto che lasci di te, del tuo disordine assurdo, dei tuoi silenzi, dei tuoi nervosismi, delle tue attenzioni nascoste, dei tuoi gesti gentili, mischiati al fracasso di ciò che non volevi apparisse, della voglia di dirmi, di dirci che ci volevi bene, che volevi ti amassimo come tu sei, come ti sforzavi di essere, mi sembra incolmabile.

I tuoi diari, lasciati per caso, senza parere poggiati su un tavolo, dimenticati in un angolo, erano lì ad aspettare che qualcuno li aprisse, per capire e conoscere ciò che ti ostinavi a nascondere.

Per sbaglio ne ho aperto, un giorno lontano una pagina e vi ho trovata scritta una preghiera.

L’ho letta perché era bella, perché era tua, perché non mi sembrava di violare un segreto, visto che l’avevi lasciata lì, ad aspettare che finalmente mi accorgessi che c’eri, che il tuo cuore batteva, che avevi trovato un compagno, un amico a cui confidare il tormento e la pena dell’essere soli, un amico che non conoscevo.

Ora quell’amico anch’io l’ho trovato, ora possiamo parlare con Lui e di Lui senza riserve, senza che la vergogna e il pudore ci chiuda la bocca, ora possiamo sentirci vicini, perché è Lui che ci porta lì dove non sapevamo salire.

Non siamo più soli, perché se l’uno l’altro perde di vista, Lui ci sente e ci rimette in contatto, ricordandoci che l’amore non conosce distanze, riempie i vuoti dell’anima, i vuoti delle stanze deserte, che non rimangono mute, quando un figlio si sposa, quando una madre, invecchiando, non può condividere le sue spensierate e giovani scelte.

Lui è quello che, saldandoli, ricongiunge, i fili spezzati, è quello che riempie di luce le stanze buie e gelate, riscaldandole con il suo dolce tepore.

Oggi, Franco, guardando la tua stanza, a tutto questo ho pensato.

Se non mi fossi fermata un momento, per scriverti dello strazio delle cose portate lontano, non avrei potuto gioire del dono stupendo di cui tu sei stato strumento: il Compagno, l’Amico con cui tu te ne vai, ma anche quello che tu lasci qui dentro, perché in fondo ciò che conta è vedere nella morte dei nostri pensieri la vita dei nuovi pensieri, che sbocciano nel cuore irrigato dal pianto e purificato dall’aria che soffia leggera sulle cose trasformate da Dio.



Solo l’anno dopo, però, abbiamo constatato quanto fossero vere le parole del Salmo 120, con cui abbiamo accompagnato gli auguri e il regalo al piccolo Giovanni, in occasione del suo Battesimo



Alzo gli occhi verso i monti:

da dove mi verrà l’aiuto?

Il mio aiuto viene dal Signore,

che ha fatto cieli e terra.



Non lascerà vacillare il tuo piede,

non si addormenterà il tuo custode.

Non si addormenterà, non prenderà sonno,

il custode d’Israele.



Il Signore è il tuo custode,

il Signore è come ombra che ti copre,

e sta alla tua destra.

Di giorno non ti colpirà il sole,

né la luna di notte.



Il Signore ti proteggerà da ogni male,

Egli proteggerà la tua vita.

Il Signore veglierà su di te,

quando esci e quando entri,

da ora e per sempre



Ecco i miracoli della fede. Avevamo pensato di parlare di tutt’altro in questa trasmissione, ma, dopo che io e Gianni avevamo concordato e trascritto ciò che volevamo dire, sul computer, giovedì è stato cancellato tutto da un’improvvisa interruzione di corrente.

All’inizio abbiamo cercato di ricucire i brandelli del discorso, che avevamo disseminato sui fogli, poi abbiamo deciso di fare una preghiera e di lasciarci guidare dal cuore, chiedendo al Signore che le nostre parole fossero un mezzo non il fine del nostro servizio, che volevamo fare a Lui e non a noi. E questo è il risultato.

Per quello che ha fatto e continua a fare non finiremo mai di lodarlo benedirlo e ringraziarlo.

Siamo arrivati al termine delle nostre riflessioni ed è giunto il momento di lasciarci.

Dagli studi di Radio Speranza vi salutano Antonietta e Gianni


Canto : Il buon pastore (Risorto per amore 4)

22 novembre 2004


1 commento:

anonimo ha detto...

grazie