domenica 7 gennaio 2007

10 Famiglia oggi:riflessioni di coppia



Rubrica radiofonica a cura di Gianni e Antonietta



Canto:Cristo è risorto veramente (CD  “Risorto per amore” 1)



Un caro e affettuoso saluto a tutti, amici all’ascolto di questa trasmissione. Dagli studi di Radio Speranza vi danno il benvenuto Gianni e Antonietta.

Benvenuti a che cosa direte voi, a cosa ci chiediamo noi. Siamo qui per condividere con voi la fatica dell’andare, la difficoltà a ripetere ancora una volta quel sì che il Signore ci chiede ogni giorno, ogni momento. Non è facile, come anche voi ben sapete, e ancor più è difficile testimoniare ciò che non si riesce a fare. I paramenti del sacerdote da una settimana hanno cambiato colore, sono verdi come l’erba dei prati, quella che aspettiamo venga a spuntare nella nostra terra arida e spoglia dell’inverno, non ancora passato. Ma il seme è stato gettato, la vita palpita e freme, in attesa che il sole di Pasqua faccia sbocciare tutti i fiori che in essa vi sono racchiusi. Ma quando le giornate sono sempre più grigie, quando il tempo è lento a passare sui problemi che si ripresentano, sempre uguali, non è facile guardare gli alberi spogli, la terra compatta e gelata, il cielo coperto di nubi, la nebbia che ti penetra dentro, e gioire e sperare nel miracolo della natura che si rinnova.

Per fortuna Antonietta, per rendere proficuo il tempo dell’attesa e non dimenticare, è solita scrivere gli eventi dell’anima su tutto ciò che di bianco le capita sotto tiro. Fino a poco tempo fa le dicevo che, dopo la sua morte, non mi sarei annoiato, perché avrei messo in ordine a tutti i fogli, i diari e le agende che nella sua vita è andata riempiendo, che testimoniano il tempo della malattia e il tempo della rinascita.. Non sapevo che il Signore ci avrebbe chiamato in anticipo a condividere quelle riflessioni per donarle anche a voi e farle diventare patrimonio comune.

Ecco quello che sulle stagioni ha scritto a luglio del 2001:



Signore ti voglio lodare benedire e ringraziare per l’opportunità che ancora una volta mi concedi di mettermi al tuo cospetto, di rivolgere a Te lo sguardo con la certezza che mi ascolterai e mi consolerai.

Ti ringrazio perché la speranza non va mai delusa, perché mi doni la pazienza di attendere, la fiducia che tu presto arriverai. Signore, tu che hai creato le stagioni, diverse l’una dall’altra, tutte ugualmente utili e belle perché nate dalla tua sapienza infinita, Tu tutte le ami, perché le hai pensate per noi, le hai fatte così perché imparassimo ad accogliere il seme divino della tua grazia, lo custodissimo con cura nel nostro cuore, avessimo la pazienza di attendere che germogliasse, fossimo preparati a vederlo anche soffocato da erbe cattive, non ci stupissimo nel veder spuntare un segno di vita dove mai avremmo immaginato fosse possibile.

Tu, Signore hai pensato a tutte queste cose e a tutte quelle che ci hai concesso di vedere, quando arriva la primavera e i campi si coprono di erba fresca e tenera, quando i rami degli alberi si rivestono del loro verde rinnovato e splendente, quando i colori dell’arcobaleno si posano sui fiori appena sbocciati, unendosi alla sinfonia della natura che cresce.

Così ci prepari al grande banchetto dell’estate, quando giungono a maturazione e possiamo gustare i frutti succosi a lungo aspettati. Signore tu hai creato le stagioni, nessuna uguale all’altra, tutte utili e belle, ma solo una è quella in cui si miete e si raccoglie.

L’estate è la stagione per noi più breve, è quella che non vorremmo finisse mai, è il tempo in cui vorremmo perderci, perché non è tempo di attesa, non è tempo di deserto, non è speranza che qualcosa arrivi finalmente a saziare la nostra fame, a dissetare la nostra gola riarsa: basta allungare la mano e il frutto morbido e dolce dell’albero della vita viene a riempire la nostra bocca, finalmente appagandola nel suo desiderio ancestrale.

Delle nostre stagioni, Signore molte a volte ci sembrano inutili, perché il sole non le riscalda, la terra è grigia, le zolle dure e compatte, gli alberi con i loro scheletri pietrificati protendono invano le braccia nel cielo grigio e pesante.

Da quel cielo, Signore, il sole non sembra passare, perché le nuvole spesse lo coprono agli occhi e al cuore, premono, gravando con il loro peso, sulla dura crosta gemente, facendogli ancora più male.

Signore, ci sono stagioni in cui gli elementi si scatenano e tutto sollevano, stagioni in cui anche quei miseri resti di vita, spogliati del loro verde mantello, sono travolti dalla furia degli elementi scomposti, sussultano, singhiozzano, chiedendo pietà.

Ma arriva il momento in cui tutto finisce, perché anche le bufere più grandi hanno un termine, anche il cielo più buio e ingolfato si mostra togliendosi il velo, le meraviglie a lungo celate.

Così il sole ecco salire nel cielo, ecco le stelle spuntare nel buio, ecco l’azzurro riempire il cuore di quella natura, che non aveva smesso di credere che, oltre le nubi, l’azzurro non fosse scomparso per sempre.

Così la pioggia, la grandine, il vento non sempre accettati, acquistano un senso perché sono momenti del divenire del tempo, di cui tu sei padrone e signore, sono momenti del divenire delle tue creature perché si trasformino come le vuoi, come le hai progettate e pensate.

Arriva il momento in cui l’uomo cessa di divenire per essere.

All’infinito un giorno potremo vedere spuntare dal grembo della madre ormai pregno, i teneri fiori dei campi, i luccicanti germogli sui turgidi nodi dei rami, il risveglio da un sonno che sembrava di morte perché tutto si colora di luce, che dona agli occhi stupiti, la gioia della grazia multiforme e infinita.

C’è un tempo per piantare, un tempo per arare, un tempo per raccogliere, ma il più lungo è quello dell’attesa, Signore: tempo di silenzio tempo di deserto, di desolazione e di morte.

Fa’ Signore che in esso riusciamo a percepire la vita che si prepara nelle viscere calde della natura.

Fa’ che sappiamo aspettare senza paura, fa’ che sappiamo vedere il colore nel grigio delle nostre giornate piovose, fa’ che sappiamo apprezzare anche ciò che è lungo a passare, fa’ che la nostra stagione sia compimento di ciò che hai stabilito dalla notte dei tempi per ognuno di noi.



Canto: Fa che io creda o Signore (CD – “Io scelgo te ” 5)



Ebbene in questa settimana è accaduto proprio questo: abbiamo avuto non poche difficoltà a guardare oltre, ad accettare io le parole di Antonietta, lei il mio silenzio, a sintonizzarci sulle frequenze dello spirito, mentre sempre più eravamo attirati dalle nostre frequenze, dalle nostre disarmonie che non ci piaceva condividere con nessuno. Se ci appartiamo, se non ci mescoliamo, se non ci confrontiamo, nessuno si accorge che siamo stonati e smette di pretendere che sappiamo cantare. Così ci siamo trascinati, i primi giorni della settimana, incapaci di trovare il coraggio di riprendere il cammino insieme, dopo che delusi avevamo constatato che l’altro non ci capiva, quindi non ci amava, deduzione che sembra non fare una grinza.

Ma per fortuna, pur nella confusione, nel caos, nella dispersione di ciò che faticosamente avevamo costruito, non abbiamo smesso di cercare il faro, la direzione, dove dovevamo dirigere la rotta. Il cielo coperto di nubi, il vento impetuoso che travolgeva ogni cosa, la sabbia del deserto sollevata fino alle stelle, sembravano ostacoli insormontabili per vedere fisicamente dove brillava la luce. Ma questo sarebbe stato un ostacolo se non ci fossimo esercitati a cercare dentro di noi, ciò che Dio vi ha seminato. Così, indipendentemente l’uno dall’altro, abbiamo ricordato le parole che ci eravamo dette tempo fa: “Quando il non senso delle nostre giornate si prolunga è la preghiera che deve dare loro un senso”

Così abbiamo separatamente, in chiese e in orari diversi, chiesto a Dio l’aiuto di cui avevamo bisogno per tornare a camminare insieme, accettandoci per quello che siamo, con le nostre debolezze, i nostri piccoli e grandi difetti, la nostra difficoltà a farci vedere fragili e indifesi, la nostra incapacità ad essere migliori.

Rabbì dove abiti?” è la domanda che abbiamo continuato a rivolgergli, queste le parole che ci hanno accompagnato, in questi giorni, dopo aver disfatto il presepe e non avendo davanti nulla che ce lo facesse ricordare.

Ben diverso era lo stato d’animo di Antonietta quando scrisse queste riflessioni, a ridosso delle feste dello scorso anno.



Aspettando che Giovanni si svegli.

Oggi sono cominciate le mie vacanze, quando sono finite quelle degli altri.

Il mondo si è rimesso a girare con le sue leggi e i suoi ritmi, io ritorno ai miei più consoni, perché pur nella fatica del procedere, riesco a gustare più a fondo e per tempi più prolungati, la grazia di Dio e a sintonizzarmi con meno difficoltà sulle frequenze dello spirito.

Così questa mattina, dopo la Messa, sono tornata a casa con in testa mille cose da fare.

Ma erano già le 10,30 quando agli occhi mi è balzato il presepe. Certo non ci avevo pensato: il presepe bisognava disfarlo e riporlo con ordine per il prossimo anno. Dovevo farlo perché il giorno dopo Anna, avrebbe provveduto a spolverare e lavare per bene i piani della libreria, che dovevo liberare per tempo

Questa mattina, nella preghiera con Gianni, il compagno che Dio mi ha messo accanto con cui ho imparato a pregare, per costruire quel ”noi“assente quando ci siamo sposati, avevo parlato del presepe come guida di questo Natale e di questo avrei voluto scrivere, del dono che per me era diventato, un dono sempre più imprevedibile e ricco.

Quel presepe avrei voluto stamparlo nel cuore, quello della Chiesa di S. Giuseppe che mi era parso tutto sbagliato, ma che non aveva cessato di parlarmi.

Del resto non poteva che essere così, dopo che per due martedì consecutivi avevamo invocato lo Spirito su chi lo stava preparando.

Di quel presepe, messo non in cantina, ma riposto nel cuore, avrei voluto usare ogni immagine, perché nel presepe c’era l’uomo, tutto l’uomo, c’ero io che mi riconoscevo in quell’asino che girava a vuoto intorno al pozzo, senza che nessuno prendesse l’acqua o quello di un uomo che continuava a pescare nel suo piccolo stagno un pesce, sempre lo stesso o quel cielo senza stelle lontano dalla stella cometa o quelle case sull’alta montagna, illuminate, ma vuote di abitanti e di vita.

Avrei voluto ripescare le immagini, durante i giorni dell’anno, di quella sabbia setacciata con cura da Massimo e Anselmo, messa in abbondanza davanti alla grotta, per ricordare che siamo polvere sulla bilancia dell’Altissimo, che siamo deserto arido, senz’acqua, avrei voluto tenere lo sguardo fisso ai pastori che in quel deserto forzato camminavano sicuri e dritti, perché davanti avevano la luce che si sprigionava da dentro alla grotta.

Avrei poi sicuramente voluto tenere a portata di mano la mangiatoia e in essa immedesimarmi, perché è lì che Gesù l’ho visto e mi sono persa.

La Madonna, S. Giuseppe, la cometa, i Magi, la grotta, fredda e umida, lontana dai rumori della città…in quante parti mi sentivo scomposta, in quante contrastanti, dai sapienti dell’oriente lontano, ai doni di morte e di vita, all’erba, alla roccia alle pecore, le grasse e le magre, le ferite e quelle appena nate e i pastori e il Pastore che le chiama per nome e le guida e le accarezza e le prende in braccio, perché ha compassione del suo gregge, che ha bisogno di lui.

Ecco la compassione era il tema delle varie letture che per sbaglio ho letto questa mattina. L’ho scritto anche all’inizio di questo diario: Dio ci ha amato per primo, ha avuto compassione di noi.

Per compatire bisogna fare un trasloco dall’io al tu, bisogna diventare come il tu pecora, agnello, asino, pescatore, casa vuota posta sopra le alture, sabbia setacciata di un deserto sconfinato…

Bisogna compatire, patire con, soffrire con, perché il presepe non sia disgregato e sconnesso, bisogna compatire perché i pezzi siano funzionali l’uno all’altro, bisogna compatire se vogliamo che l’opera dell’uomo diventi capolavoro di Dio.

Quando questa mattina ho disfatto il presepe, ho con devozione preso il bambino e ho pensato che un trasloco avrei voluto farlo dentro di lui, ma mi è sembrato un azzardo e una bestemmia.

Avrei voluto tanto essere lui… mi ha consolato che lui non ha avuto problemi a traslocare in una fredda e umida mangiatoia.

Sicuramente non mi avrebbe negato la gioia di essere ospitato nella mia casa sporca e disordinata.

Avrebbe lui provveduto a metterla in ordine e a purificarla fino a trasformare un desiderio blasfemo in una realtà possibile.

Diventare come Lui., a questo Dio ci ha chiamati, per questo ci ha scelti. Ho ringraziato il Signore perché quest’anno mi ha fatto lezione davanti ad un presepe, l’ho ringraziato per il dono di tanti fratelli che mi ha dato da compatire e da accompagnare.

Ma specialmente l’ho ringraziato per tutti quelli che in silenzio e senza pretese lo hanno fatto senza che me ne accorgessi.



Canto: Padre mio ( CD “Il tuo amore è grande” 2)



L’Epifania tutte le feste non se le porta via, perché, se i doni del mondo rispettano i calendari, per Dio, tutti i momenti sono propizi, perché il tempo, morendo, l’ha trasformato in occasione perenne di grazia.

Non a caso, la liturgia delle feste non si conclude con il 6 di gennaio, giorno dell’Epifania, ma con la domenica successiva in cui si celebra, il battesimo di Gesù, inizio e fondamento della festa più grande, preparata da Dio per ogni uomo.

La Chiesa, per paura che, riponendo in soffitta il Bambinello, ci mettessimo pure ciò che ci aveva portato, per ricordarci che non c’è momento che non ce lo dia, ce lo presenta che si mischia alla folla, per ricevere da un uomo, Giovanni, ciò che lui è venuto a portare, rinnovando quel lavacro di acqua, con lo Spirito su di lui effuso.

Ma per conoscere e apprezzare e godere del dono, è necessario che lo seguiamo sulle strade da lui percorse, per sentire che cosa ha da dirci, con chi si mischia, chi predilige, a chi si rivolge, come si pone, cosa fa tra un miracolo e l’altro, tra un insegnamento e il successivo.

E’ straordinario come seguendolo, passo passo, ci accorgiamo che la preghiera è ciò che lega la sua storia alla nostra: la preghiera fatta al Padre mediante lo Spirito.

Gesù, non ha avuto paura di sporcarsi, di inquinarsi, quando si è trattato di immergersi tutto in questa brodaglia melmosa e fetida dei nostri insulsi, sconvolti e irriconoscibili presepi.

Lui l’acqua la rende chiara e pulita, prendendone sopra di se tutto lo sporco.

Ma, come la calamita attrae a sé tutti i materiali ferrosi, non cambiando la sua natura né la sua funzione, una volta che li togliamo, così Gesù, rimane lo stesso, capace di mettere sopra l’altare oltre alle scorie, se stesso, per bruciare insieme ad esse e donare al mondo la speranza di essere per sempre salvato..

Gesù non ha avuto paura di mischiarsi con noi, perché non si è mai staccato dal Padre a cui è rimasto unito indissolubilmente attraverso la preghiera.

Per andare oltre, per non smettere di sperare, vale la pena frequentarlo, vedere quali luoghi predilige, quali sono i suoi gusti.

Bisogna viverci insieme e anche dormirci, perché non ci siano sconosciuti i modi e i tempi delle sue azioni, che impareremo ad amare perché ci vengono da Chi non ha creato niente per sbaglio e, tutto ciò che ha creato, lo ha per primo amato.

Così abbiamo pensato che non dobbiamo avere paura a vivere insieme a chi non ci piace, a confrontarci con chi non la pensa come noi, ad accogliere chi ci delude, chi disattende le nostre aspettative, chi non ci capisce, chi non ci ama..

Gesù ci dà l’esempio di come andare verso l’altro, partendo dalle sue domande, dai suoi bisogni, e non dalle nostre risposte, da ciò che diamo per scontato.

Ecco lo sconto è quello che tutti cerchiamo. E’ periodo di saldi e tutti corrono a fare acquisti, sperando di pagare di meno. Bisogna fare la fila, i primi giorni, davanti a certi negozi, e farsi largo con prepotenza, se vuoi arrivare a prendere qualcosa che abbia un valore superiore a quello stampato sul cartellino. Lo sconto è la meta a cui gli affezionati dei saldi agognano. Poi sono le stesse persone che la vita la vivono come se fosse loro tutto dovuto. Danno per scontato che, la mattina, quando vanno al lavoro o a fare la spesa, il traffico scorra veloce, che i semafori siano sincronizzati sul verde, che dall’altra parte dello sportello ci sia gente sorridente e gentile, danno per scontato ogni cosa, perché non sanno vivere senza che qualcuno gli faccia regali. Il bello è che non si accorgono di chi glieli fa e non sono abituati a ringraziare.

Quattro gesti di tenerezza al giorno aiutano a sopravvivere, otto a vivere, ci ricordava don Carlo Rocchetta in un incontro per la pastorale familiare.

Abbiamo avuto non poche difficoltà a farlo all’inizio, perché l’abitudine ci aveva chiuso gli occhi e il cuore alla gratitudine, ma poi ci siamo ripromessi di dirci almeno quattro grazie al giorno, per non morire. L’abbiamo anche scritto sull’agenda all’inizio dello scorso anno, come impegno per una rinnovata vita di coppia.

Ma abbiamo constatato quanto sia difficile mettere in pratica i buoni propositi e ci siamo ritrovati, come spesso succede, ad accorgerci dell’esistenza dell’altro, solo quando per qualche motivo non faceva le cose che ci aspettavamo e su cui eravamo abituati a contare: il caffè al mattino portato a letto, la spazzatura scesa la sera con qualunque tempo e in qualsiasi stagione..

Dicevamo di questa settimana, di quello che abbiamo vissuto, di come abbiamo cercato di affrontare i problemi e di come non li abbiamo risolti. Ma ancora una volta abbiamo sperimentato che la fede non ci toglie i problemi, ma ci dà la capacità di affrontarli insieme senza arrabbiarci, unendo i nostri sforzi e fidandoci di Dio

Vogliamo chiudere questo incontro con una preghiera e una riflessione che ci suggerisce un autore spirituale, Jean Debruynne, che ha incentrato tutta la sua invocazione sulla nostra attuale incapacità di attendere serenamente.

.

Dio, hai scelto di farti attendere

Per tutto il tempo di un Avvento

Io non amo attendere.

Non amo attendere nelle file

Non amo attendere il mio turno.

Non amo attendere il treno.

Non amo attendere prima di giudicare.

Non amo attendere il momento opportuno.

Non amo attendere un giorno ancora.

Non amo attendere perché non ho tempo.

E non vivo che nell’istante.

Ma tu, Dio hai scelto di farti attendere

per tutto il tempo di un Avvento.

Perché tu hai fatto dell’attesa

lo spazio della conversione,

il faccia a faccia con ciò che è nascosto.

Solo l’attesa desta l’attenzione

e solo l’attenzione è capace di amare

Canto: Cristo è risorto veramente (CD – “Risorto per amore” 1)



17 gennaio 2005

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