domenica 31 dicembre 2006

9 Famiglia oggi:riflessioni di coppia

 


Rubrica radiofonica a cura di Gianni e Antonietta.



Canto: Cristo è risorto veramente (CD – “Risorto per amore” 1)



Un caldo e affettuoso saluto a tutti, amici di Radio Speranza, da Gianni e Antonietta.

Un altro anno è passato e siamo già a fare progetti per quello che non si prospetta certo come un giardino incantato, come la terra promessa ai nostri padri e che ci figuriamo ricca di tante delizie e priva di qualsiasi problema Anzi il nuovo anno si prospetta con gli auspici più foschi a sentire televisione e giornali che con insistenza continuano a sottoporci le immagini della catastrofe che non ha risparmiato nessuno, ricchi, pochi, poveri molti che nelle lontane terre del sud est asiatico hanno incontrato la morte, morte dei propri cari, di ciò che avevano e di ciò che speravano, realtà e sogno, naufragati e sommersi dall’onda assassina.

Il tempo è diventato tiranno, perché troppo in fretta si è consumata la strage, troppo lenti sono i soccorsi, lunga sarà la ricostruzione, difficile il ritorno alla vita normale. Inesorabili le pagine del calendario si sono assottigliate fino a scomparire del tutto, anch’esse travolte dall’onda anomala che le ha completamente inghiottite. Ma almeno in questo possiamo correre ai ripari con un calendario nuovo su cui campeggia scritto in neretto il numero 2005. Chissà quanta gente si è chiesta o si chiede il perché di un numero piuttosto che di un altro. Gesù Cristo dalla cui nascita si è cominciato a raccontare la storia, prima e dopo di Lui, per quanto ci si sforzi di metterlo a tacere, di negarlo, togliendo i crocifissi da tutti gli edifici pubblici, vigila sugli eventi e invita a guardare la croce.

Sembra strano come nel periodo più bello e più dolce dell’anno pieno di buoni sentimenti e di buoni propositi sbocciati intorno alla grotta dove è nato , si debba pensare alla croce.

Ma a ben riflettere il Natale, festa della vita, non può prescindere da una morte, la prima e la più importante, quella di Dio che ha deciso di morire a se stesso, di .farsi piccolo piccolo, da infinito che è, assumendo su di se la condizione mortale, in tutto facendosi simile alle sue creature tranne che per il peccato.



Il Natale è la festa dell’amore di Dio che non ha avuto paura di morire perché dalla sua morte sbocciasse la vita per coloro a cui era stato mandato.

Natale, festa della morte, è anche festa della vita, che contraddizione! Ma il simbolo è ciò che unisce, che porta a mettere insieme il prima e il dopo, il di qua e il di là, il sopra e il sotto.. Maria continua a guidarci, la stella cometa che scompare quando siamo giunti alla meta

Maria meditava nel cuore tutte queste cose, ci ricorda la liturgia del 1 gennaio.

Meditare, dal greco “sunballein”, significa “unire, mettere insieme, vedere nella realtà visibile i segni di quella invisibile”. Così i morti, attraverso il mistero dell’incarnazione, riprendono a respirare, dalle tragedie nasce un senso, dallo smarrimento la speranza in un futuro migliore.

L’augurio che vi facciamo è che tutti possano guardare all’anno nuovo con i suoi occhi, che sono poi quelli del figlio, che ci porta a sollevare lo sguardo, a guardare oltre, per permettergli di entrare nelle nostre case, nei nostri presepi, nei nostri cuori.

Le parole del profeta Isaia“Un germoglio spunterà dal tronco di Jesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici.Su di lui si poserà lo spirito del Signore, spirito di sapienza e di intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore di Dio.” ci si chiede come potranno avverarsi e incarnarsi nella nostra vita, se quell’albero lo soffochiamo con i tanti, troppi pacchi ingombranti che coprono non solo la radice, ma la vista di tutto l’albero, che si suole fare a Natale, ai piedi del quale sono posati e che la notte della vigilia siamo soliti scartare, appesantiti dal cibo e dal sonno e, diciamocela tutta, anche dalla noia di un rito, che alla maggior parte non dice più nulla.

Rimangono, finita la festa, sparse le carte e le coccarde e i fiocchi che hanno reso belli i regali, carte non più utilizzabili, stropicciate, strappate dalla frenesia di sapere se finalmente l’abbiamo trovata la pietra filosofale, ciò che continuiamo a cercare nei negozi del mondo, dove non ti danno niente, se non dopo che tu hai pagato.

Ma se la radice la lasciamo respirare, vedremo spuntare quel dono speciale, che ha pensato a pagare Lui di persona, da quell’albero a cui è stato inchiodato.



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Per non parlare dei presepi, che se ne fanno sempre di meno…

Se ne vendono di preconfezionati, così non ci si impazzisce a costruirli, cercando la carta per i monti, quella del firmamento e poi il muschio….dove andare a trovarlo? e la sabbia per il deserto ecc. ecc..

Ecco la sabbia… nessuno ci pensa che sia indispensabile per un presepe, mentre le statuine che riproducono i movimenti stereotipati del ciabattino, dell’artigiano, del macellaio e via dicendo, quelle si trovano un po’ dappertutto, anche nei supermercati.

I presepi animati sono quelli che mi fanno stare più male, confessavo a Gianni, perché fotografano lo stare fermo dell’uomo che non riesce a smettere di fare sempre le stesse cose, sempre uguali, noiosamente stoltamente uguali e non si accorge che sta succedendo qualcosa, vicino a lui di veramente speciale, unico, irripetibile..

Su questo ci ha aiutato a riflettere una pagina trovata sulla rivista “Qualevita”:



A come… ABITUDINE

Lentamente muore chi diventa schiavo dell’abitudine, ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marcia, chi non rischia e cambia il colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce.

Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su bianco e i puntini sulle i, piuttosto che un insieme di emozioni, proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore davanti all’errore e ai sentimenti.

Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul lavoro, chi non rischia la certezza per l’incertezza, per inseguire un sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai consigli sensati.

Lentamente muore chi distrugge l’amor proprio, chi non si lascia aiutare; chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante.

Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi non fa domande sugli argomenti che non conosce.

Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare.

Soltanto l’ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida felicità.



Solo i pastori riescono a percepire nel silenzio delle loro dimore itineranti, l’annuncio che viene dal cielo ed è difficile che siano animati perchè li si immagina sempre fermi davanti alla grotta, folgorati dalla luce che da essa emana, estasiati a contemplare il miracolo.

I pastori camminano sempre su prati erbosi, su luoghi di montagna dove non ci risulta ci sia la sabbia.

Eppure due anni fa, quando vedemmo Massimo e Anselmo fare il presepe nella nostra chiesa ci interrogammo su dove avrebbero messo la sabbia che avevano in quantità presa dal mare.

Dopo averla setacciata con cura, la distribuirono davanti alla grotta, lontano dalla scena animata di tanta gente occupata a fare le stesse cose: un asino che girava a vuoto intorno ad un pozzo, un pescatore che gettava l’amo ad un pesce scappato e poi in alto una città senza uomini, spettralmente illuminata e i pastori più grandi di tutte le altre statuine, come anche la grotta e S.Giuseppe e la Madonna e Gesù e l’asino e il bue

Ricordo, pensai, che dovevano essere proprio stanchi, per mettere le cose a rovescio e la grotta che non.si vedeva subito, ma solo alla fine, se giravi la testa, e la sabbia non nel deserto lontano, ma proprio davanti ad essa..

Poi ci accorgemmo che qualcuno aveva loro guidato la mano, perché mai un presepe ci aveva parlato a quel modo.

Dio lo si incontra nel deserto delle nostre povertà, delle nostre paure, delle nostre stanchezze, dei nostri vuoti affettivi, delle nostre insicurezze, della nostra vita nomade alla ricerca di una stabile dimora.

Ed è proprio vero! I pastori sono più grandi perché sono i più piccoli, e la grotta la vedono solo quelli che la cercano.

Questo e non solo abbiamo imparato sui simboli del Natale, ma solo dopo che abbiamo accettato di aprire l’involucro del dono che attraverso il Battesimo Dio fece recapitare alla nostra famiglia , consegnandoglielo perché ne avesse cura.

Dobbiamo ringraziare il Signore perché quel pacco non è andato perduto, tenuto vivo dalla fede di chi si è preso cura di noi.

La fede ci ha aperto le porte alla comprensione del mistero di Dio, ma quello che più conta ci ha permesso di entrare nella terra promessa prima di arrivare alla meta..

Dello stretto rapporto tra fede e deserto avevamo fatto e continuiamo a fare esperienza



Canto: Dio ha tanto amato il mondo (CD – “Risorto per amore” 10)



La fede non è la terra promessa, la realizzazione di un sogno, il paradiso incantato dove Adamo ed Eva vivevano felici, liberi da qualsiasi schiavitù.

La fede è lo strumento perché il sogno si realizzi e la terra promessa non sia solo un miraggio balenato nell’orizzonte del tempo che stava nascendo.

La fede è la fiducia in Chi quel deserto lo vuol trasformare in occasione d’incontro con Lui, incontro speciale, unico, irripetibile, dello sposo con la sua sposa, dell’uomo con Dio, ogni volta che lo si cerca attraverso le dune, lo si chiama dalla polvere di cui i nostri piedi sono coperti, lo si invoca, guardando le stelle che a sera spuntano a illuminare le nostre paure, le tenebre che ci avvolgono quando ci rifiutiamo di sollevare la testa.

La fede è il viatico per ogni uomo per attraversare il proprio deserto, quello in cui non ci sono appigli a cui ancorarsi, quando il vento sconvolge anche le sagome delle montagne, perché sono di sabbia e si perde l’orientamento, quando l’orizzonte è uguale dovunque tu guardi, e non c’è alcuna speranza che muti.

Senza ombra, né riparo che non sia la tua tenda, caricata sopra le spalle, con la quale coprirti, quando il sole è cocente e non si può proprio procedere, destinata ad ospitare anche chi non ha neanche quella o che, pur avendola, non ha forze per trasportarla.

Il deserto è questo mondo che dobbiamo attraversare, una volta usciti dall’Egitto, liberati dalla schiavitù del faraone., non certo per soccombere ad altre schiavitù, ad altri idoli che non pagano e non appagano.

Il deserto è lo spazio che siamo chiamati ad attraversare nel tempo che il Signore ha assegnato ad ognuno di noi.

Al suo popolo ci vollero 40 anni per arrivare alla terra promessa, ma quanti ancora per entrare nel mistero di Cristo, il Messia scacciato e insultato, non accolto e non riconosciuto.

In questo percorso ognuno trova ogni tanto un’ oasi in cui riposarsi e abbeverarsi, alcuni nella propria vita non l’incontrano mai, ma si accontentano del sorso d’acqua che qualcuno porge loro dalla borraccia riempita all’ombra delle palme, altri riescono a vivere senza bere, spremendo l’umore che esce dai cactus, piante spinose di cui è cosparsa la vita..

Spesso si cammina isolati e non ci si accorge che il peso della tenda si può condividere e non solo l’ombra, che quando ci tocca di approdare ad un oasi sarebbe bello fare provvista anche per chi potrebbe averne bisogno lungo la strada.

Dio si è scelto un piccolo gruppo di nomadi, di gente sconosciuta e senza patria per dargli la dignità di popolo e una terra che nessuno osava solo sognare.

Non è un caso che i nostri progenitori fossero gente avvezza al deserto, i patriarchi, che erano stati chiamati a condurre il popolo attraverso le dune con una forza e un coraggio che oggi ci disorienta.

Ma da chi quella forza, da chi quel coraggio, se non dal rapporto continuo e fiducioso con quel Dio che li aveva chiamati a grandi speranze?

La fede fu l’arma con cui fu combattuto il caldo, il freddo, la sete, la fame, lo smarrimento, il rimpianto delle cipolle d’Egitto, la fede fece entrare Israele nella terra promessa grazie al sacrificio non di montoni o di grasse vivande, ma del figlio di Dio, che ha scelto di unire la mangiatoia, la croce e l’altare, per sconfiggere per sempre la morte e ridonare al mondo la vita.



Una vita senza Dio è come un cielo senza sole, le piante marciscono e la vita si spegne.

Quest’anno abbiamo aspettato la fine dell’anno pensando a queste cose, pieni di gratitudine verso Dio che ci aveva accompagnato e che non aveva permesso che ci voltassimo indietro.

Con queste parole pressappoco raccontavo, nel libro dove sono confluite le esperienze che mi hanno portato ad alzare le braccia,”Il Gioco dell’oca”, la terribile esperienza di un capodanno di tanti anni fa, vissuto lontano da Dio.



1975

Tornata a casa, dopo l’intervento di ernia del disco, in una clinica di Bologna, ogni tentativo di mettermi in piedi si rivelò inutile.

Il dolore era quello di prima. L’anno volgeva al termine. La notte di Capodanno fui colta da dolori lancinanti alla schiena, come mai ne avevo sentiti.

Mi trovavo da mia madre, per festeggiare, con i parenti, il compleanno di mio padre. All'inizio feci finta di niente, cercando di nascondere quell'ennesimo malessere che rischiava di rovinare la festa.

I miei cari si erano convinti che il peggio era passato e io avevo fatto di tutto per non deluderli. Gianni mi aveva persino comperato una pelliccia per festeggiare la fine dell'incubo.

Come potevo dire che stavo male? Ricordo la smorfia di disappunto che fece quando gli chiesi di accompagnarmi a casa. In seguito mi confessò che aveva pensato ad un capriccio.

Il 1976 si presentava con gli auspici più foschi.

Due io che non riuscivano a diventare un noi ha fatto sì che “Il gioco dell’oca”, la storia che sembrava non avere mai fine, la beffa di un destino crudele che mi nascondeva il traguardo, proprio quando ero lì per conquistarlo, la vivessi da sola, in una solitudine sempre più disumana ed assurda.

Oggi, rileggendo quelle pagine, non nascondo un certo malessere che nasce dal constatare quanto dolorosa sia la condizione dell’uomo che non riesce a relazionarsi che con se stesso, con le proprie paure, con i propri giudizi e pregiudizi.

La malattia fu l’unico filo che tenne attaccati, per anni, i pezzi della nostra storia, nella quale sognavamo un mondo perfetto di gente perfetta.

Ma dall’album delle foto sbiadite pian piano sta prendendo colore quella che ritrae la mia famiglia intorno al tavolo per la foto di rito, il giorno del compleanno di mio padre, il 31 dicembre, ripetuta negli anni, che mi dà il filo che non si spezza della mia vita personale confluita nella nostra vita di coppia..

In quella foto vedo i volti che non si vedono di quei nonni, di quelle nonne che contribuirono a trasmettere un valore, che è stato il faro che ci ha guidato e continua a guidarci.

Quando a Luglio mio padre se n’è andato, a noi figli rimasti così è piaciuto ricordarlo a quanti lo conoscevano



Quando un uomo giusto e sazio di anni muore, non ci sono parole che servono per riempire ciò che lui ha provveduto a riempire e a lasciare colmo.

Vogliamo ringraziare il Signore per papà, un uomo che non ha bisogno di chi aggiunga qualcosa di più di quanto egli stesso non abbia testimoniato con la sua vita.

Del tempo che ci ha concesso per apprezzare fino in fondo quale grande dono ci ha fatto, benediciamo e lodiamo Dio, che ha ispirato i suoi pensieri, le sue parole, le sue azioni.

Chiediamo a Lui di poter conservare saldi nel nostro cuore i valori che ci ha trasmesso: il più prezioso dei quali è quello di una famiglia unita nell’amore.



Dopo aver provveduto ai bisogni di mia madre, che è venuta a stare da noi perché non rimanesse sola la notte di S. Silvestro, la più lunga e dolorosa dell’anno, senza il marito che le faccia compagnia, stanchi ma pieni il cuore di gioia e di tenerezza, abbiamo ringraziato il Signore perché aveva provveduto a lei e a noi donandoci la compagnia di Franco, di Monia e del piccolo Giovanni, reduce dall’influenza.

Intorno al tavolo non c’erano fisicamente tutte le persone che nel corso degli anni hanno con noi festeggiato mio padre, che regolarmente avevamo preso l’abitudine di invitare a casa nostra, per vederlo felice insieme ai suoi cari, ma abbiamo sentito forte la serenità che viene dal godimento di ciò che ci è stato lasciato e che non vogliamo vada perduto.

Abbiamo ripensato all’anno trascorso, a tutte le occasioni che Dio ci ha messo davanti, a quelle che abbiamo saputo cogliere a quelle che ci siamo lasciati sfuggire. Ma una cosa ci ha consolato: in tutto il corso dell’anno il Vangelo della famiglia ci ha interpellato, un Vangelo che parte da un grazie, quello ispirato dalla gratitudine di chi sta imparando a non dare nulla per scontato.

Costruire insieme la casa attraverso tre grazie ogni giorno, con la convinzione che il vero segreto per rendere migliori gli altri è ostinarsi a crederli buoni, come ha detto qualcuno, è l’impegno che lo scorso anno abbiamo preso e che vogliamo rinnovare per l’anno che comincia.

Vogliamo trasformare così la violenza di certi giorni passati a difenderci nelle nostre trincee, all’ombra invalicabile dei nostri steccati, con un gesto di benevolenza e di pace per costruirla dentro e fuori di noi.

Paolo VI nel 1968 pensò di proclamare il 1°gennaio “giornata mondiale per la pace”, inviando un messaggio a tutti i potenti della terra. Da allora ogni anno, pur nella diversità delle parole, si invitano gli uomini a riflettere sul male che li affligge, da quando ruppero l’amicizia con Dio.

La liturgia, nel contempo, celebra la solennità di Maria Madre di Dio, per ricordarci che siamo figli di uno stesso Padre e siamo fratelli in Gesù attraverso Maria. La famiglia è il luogo dove si impara a conciliare la diversità di essere maschio e femmina, si impara ad essere coppia, padri e madri, figli e fratelli, la famiglia dell’uomo chiamata a costruire quella di Dio attraverso l’amore gratuito che solo in lei possiamo trovare.



E’ arrivato il momento di lasciarci e S.Paolo ci suggerisce le parole del commiato:



Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini (Ef 1,3-6,15-18)

Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo.

In Lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà. E questo a lode e gloria della sua grazia, che ci ha dato nel suo Figlio diletto.

Perciò io, Paolo, avendo avuto notizia della vostra fede nel Signore Gesù e dell’amore che avete verso tutti i santi, non cesso di rendere grazie per voi, ricordandovi nelle mie preghiere, perché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una più profonda conoscenza di lui. Possa egli davvero illuminare gli occhi della vostra mente per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità tra i santi.

Canto: Cristo è risorto veramente (CD – “Risorto per amore” 1)

3 gennaio 2005

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