giovedì 23 novembre 2006

10 Dal diario di Antonietta

 

Rubrica radiofonica a cura di Antonietta

Canto:Dalla tristezza alla danza

Un caldo e affettuoso saluto a voi, amici, sintonizzati sulle frequenze di Radio Speranza e benvenuti all’ascolto di questa trasmissione, arrivata alla decima puntata.

Da quando ho cominciato a parlarvi, sempre più mi sorprendo a stupirmi di quante cose avevo nascoste nel cassetto che non sapevo di avere.

Quanti ricordi sono riemersi rispolverando un passato che sembrava ormai tutto concluso!

E’ proprio vero che il Signore fa nuove tutte le cose, e, quelle che ci sembravano brutte o a dir poco banali, ce le mostra dal verso giusto e ci accorgiamo che solo l’abitudine e il non volerci spostare neanche un poco  ci portano a tagliare la mela sempre dall’alto in basso, perpendicolarmente, costringendoci a guardare sempre la stessa faccia.

Quando don Giorgio Mazzanti, teologo di indubbia fama, aprì, a novembre, il convegno che vedeva riuniti tutti gli operatori di pastorale familiare dell’Abruzzo e del Molise, per farci capire che non c’è un unico modo di guardare le cose, ci invitò a prendere una mela e a tagliarla in modo diverso da come eravamo soliti fare, noi rimanemmo sconcertati, perché pensavamo che lì si parlasse di cose difficili e non di giochi da fare con i bambini.

Ma la provocazione produsse l’effetto desiderato, perché, a pranzo, tutti facemmo l’esperienza di una stella che si vede, se la mela è tagliata nell’altro verso.

Questi sono i miracoli di chi non si sottrae all’invito di muoversi controcorrente, di cambiare le proprie abitudini, di staccarsi dalle proprie certezze.

Così è avvenuto per il nome che porto e che mi ero rassegnata a portare, non più con disgusto, ma sicuramente con indifferenza. .

E pensare che quel nome, Antonietta mi piaceva così poco che, smaltita la rabbia per non averlo potuto cambiare, decisi di cambiare il Santo di riferimento.

Il 13 giugno, festa di S. Antonio da Padova, non sono mancati mai gli auguri da parte di tutti quelli che in me volevano ricordare nonna Antonietta, che aveva lasciato una traccia indelebile nel cuore di chi l’aveva conosciuta e amata.

Di questo santo niente mi attraeva, perché non lo conoscevo, mentre mi affascinò la figura di S, Antonio abate, padre del deserto, che più si confaceva al mio desiderio di uscire dalla mischia, isolandomi da un mondo che non mi piaceva e che non mi corrispondeva.

Erano i primi passi del cammino intrapreso il 5 gennaio del 2000, e fu il primo santo con cui m’imbattei poco dopo, il 17 gennaio, festa che ne ricorda la sua nascita in cielo.

Ma il Signore fu pronto a smentirmi e mi fece capitare sotto gli occhi la vita di quel S, Antonio da Padova che volevo rinnegare.

La sua umiltà, dietro la quale si celava una grande conoscenza delle cose di Dio, la sua infaticabile opera di evangelizzazione per la quale non si risparmiò, fino a minare fortemente la sua salute, mi attrassero a tal punto, da desiderare di fare altrettanto.

Ho capito, infatti, che la strada da Dio tracciata, non conosce scorciatoie, che ci si santifica nel rapporto con i fratelli, specie quelli che non ti amano e che non ti corrispondono.

Ho capito che bisogna combattere perché tutti arrivino ad amare non noi ma Dio prima di tutto, lui che è la fonte e il fondamento di ogni amore.

Nel mio nome c’è quindi scritto anche l’invito a tenere gelosamente per me i tesori che Dio mi ha dato ma a spenderli perché tutti ne godano.

Canto:Mia gioia sei

La volta scorsa vi ho letto passi della storia vecchia, quella per intenderci del Gioco dell’oca, ma solo per mettere a fuoco ciò che allora non ancora potevo vedere e che vado scoprendo ogni giorno con gioia, con stupore, con gratitudine nei riguardi di Chi non ha permesso che tante foto rimanessero non sviluppate in fondo al cassetto della memoria.

Anche oggi voglio partire dalla lettura di ciò che scrissi nel 1996 al medico di Milano per parlargli della mia malattia, la sindrome da deficienza posturale, che lui mi diagnosticò e sulla quale stava conducendo uno studio.

La difficoltà a percepire l’appoggio e a vivere come se non ci fosse, non mostrava chiaramente qual era la mia reale difficoltà a fidarmi e ad affidar

mi a nessuno che non fossi io?

Quanta fatica a camminare da sola, senza sostegno alcuno!

Quanta consolazione a scoprire che c’è un Dio di cui si può dire

Il Signore è il mio pastore:

non manco di nulla;

su pascoli erbosi mi fa riposare,

ad acque tranquille mi conduce.

Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino,

per amore del suo nome.

Se dovessi camminare in una valle oscura,

non temerei alcun male, perché tu sei con me.

Il tuo bastone e il tuo vincastro

Mi danno sicurezza..

Davanti a me tu prepari una mensa

Sotto gli occhi dei miei nemici;

cospargi di olio il mio capo.

Il mio calice trabocca.

Tornando alla lettera, ancora una volta mi ritrovo a stupirmi di ciò che allora scrissi, senza sapere che quelle informazioni non alla medicina ufficiale servivano, ma a me che a distanza di anni le ho ripensate alla luce di Chi allora non mi chiuse la bocca e mi ispirò a che non tacessi la traccia sulla quale voleva che io camminassi..

1962

La traccia

Finito il liceo, scelsi la facoltà di Lettere antiche, attratta dal fascino che esercitava su di me l’archeologia per scoprire i reconditi segreti di civiltà sepolte e sconosciute, io che per una vita avevo sognato d’insegnare matematica, la materia in cui riuscivo di più.

Risolvere i problemi era sempre stato il mio passatempo preferito, cosa che tuttora mi piace fare, anche se quelli di oggi sono di tutt’altro tipo.

Fu un incidente di percorso, o la mano del destino, che mi indussero a cambiare idea dopo la maturità?

Certo é che feci un clamoroso fiasco nelle materie scientifiche dove avevo puntato tutto, mentre fui insolitamente brillante in quelle letterarie.

Grande fu la meraviglia nello scoprire che al compito d’italiano avevo avuto il massimo voto. Com’era potuto succedere? Avevo sempre penato per guadagnarmi il misero sei, dovuto più alla correttezza della forma che alla ricchezza dei contenuti.

Riemerge, affondato nel profondo della memoria il titolo di quel compito risultato perfetto: “La contemplazione del dolore in Manzoni e Leopardi”

Non era forse perché un anziano professore, da cui mi ero recata un paio di volte per mettere a punto la mia preparazione, illustrandomi il Romanticismo, mi parlò dei sentimenti capaci di cogliere tutto ciò che la ragione non può spiegare? Ogni parola uscita dalla sua bocca, tendente ad esaltare la magica armonia di un tramonto o l’inesauribile sete di assoluto presente in ogni uomo, si fissava indelebile nella mia mente.

Quelle poche lezioni avevano dato il loro frutto e per la prima volta, davanti ad un argomento proposto, non mi trovai a contare le righe per verificare se avevo scritto il minimo indispensabile.

Da allora sfruttai al massimo la mia piccola rendita, che mi permise di superare agevolmente la prova scritta d’italiano, tutte le volte che ce ne fu bisogno. Avevo trovato la chiave per capire i grandi poeti e il loro universo di emozioni e sensazioni, ma ero ancora lontana dal pensare che altrettanta ricchezza potevo trovarla dentro di me.


Canto :Mio rifugio sei tu



In questa storia si parla di traccia, la traccia di un tema che mi portò a riflettere, non solo il tempo assegnato per lo svolgimento del compito in classe, ma tutto il tempo della mia vita, in cui il dolore, è e continua ad essere il mio scomodo compagno di viaggio

In questo periodo forte dell’anno liturgico, in cui ripercorriamo le strade che ci hanno portato ad incontrare il Signore o a rispondere all’invito di chi ci chiama a prepararle di nuovo, migliori, più sgombre, più dritte, quale la strada da preparargli, quali le vie di cui si serve per incontrarci?

Quando mi presentai la prima volta a voi, non potei fare a meno di dirvi che il percorso, la via stretta attraverso cui ho dovuto passare per incontrare il Signore è stato il dolore.

Agli esami di maturità mi fu chiesto di riferire la posizione di un ateo, il Leopardi e di un credente il Manzoni di fronte alla sofferenza dell’uomo e del mondo.

Non mi fu chiesto il mio parere, perché agli studenti si suole chiedere quello che pensano gli altri e a nessuno importa che ne pensi tu, perché non è sei né poeta, né scrittore, né filosofo e non ti puoi sostituire ai grandi della letteratura e della storia.

Ma io facevo il tifo per Alessandro Manzoni, perché a lui i conti tornavano, con quel romanzo, I promessi sposi, dove dimostra che Dio non turba mai la gioia dei suoi figli se non per prepararne loro una più certa e più grande.

Peccato che era una storia inventata, mentre a Leopardi i conti non tornavano mai; anzi, più andava avanti, più diventava triste per non poter godere all’infinito di tutto quanto i suoi occhi vedevano spuntare dal ricco forziere della natura che pian piano da madre gli divenne matrigna, non solo sua ma di tutti gli uomini condannati allo stesso supplizio.

Non riuscì, il grande poeta a fare il grande salto che lo avrebbe portato a vedere in ciò che si apriva ai suoi occhi un segno imperfetto della perfezione di Dio, non potendo goderne perché lo misurava con il metro della sua mente e non con l’infinito che racchiudeva nel cuore

Il compito assegnatomi, la traccia da seguire, sempre più ha occupato lo spazio dei miei pensieri fino a quando, quasi per caso non m’incontrai con un crocifisso che parlava d’amore.

A lui chiesi il perché del dolore del mondo, a lui il perché del dolore innocente.

Ogni volta le sue risposte diventavano più convincenti, perché a parlare era l’Innocente per eccellenza condannato a soffrire e a morire, perché per sempre gli uomini finissero di soffrire.e morire.

Ma quando non ho a portata di mano un crocifisso mi basta guardare Giovanni del quale il Signore si serve per continuare la catechesi.

Quando tenta di toccare i fornelli su cui si sta cucinando la pappa o quando trova la porta aperta e imbocca sicuro la via delle scale, quante lacrime non volute per allontanarlo dal ogni pericolo!

Lui dice che siamo cattivi, cattiva la nonna, cattivo il nonno perché non gli fanno fare quello che più gli piace.

Quanta fatica per farlo crescere sano, per insegnargli a distinguere il bene dal male!

Quella storia che mi sembrava inventata (per intenderci, quella scritta da Alessandro Manzoni) ora anch’io mi sento di scriverla seguendo la linea dal Signore tracciata, quella che passa attraverso la sofferenza e la croce per poter godere dei frutti che da quell’albero spoglio, su cui è stato inchiodato, sono stati donati a tutta l’umanità.

Ora i conti mi tornano, molto di più di quando ero una saetta a risolvere i problemi di matematica, prima ancora che si finisse di scriverli sulla lavagna.

Voglio ringraziare il Signore per la pazienza, per la costanza, per la tenacia, per l’amore con cui ha continuato a dirmi che stavo sbagliando.

Ora ho smesso di fare domande, non aspetto più risposte che non siano l’aiuto per superare la prova.

E se questo tarda a venire, non mi chiedo perché.

Anche l’attesa è diventata momento di preghiera, d’incontro, di riflessione, di conoscenza.In fondo non è per niente non è a caso che un uovo ci sembri uno scorpione, un pesce un serpente, un pane un sasso.

Se voi che siete cattivi date cose buone ai vostri figli, tanto più il vostro Padre celeste non vi farà mancare ciò di cui avete bisogno, dice Gesù.

Le benedizioni di Dio entrano dalle finestre rompendo i vetri.

Sia benedetto il Signore per quei vetri che ci sommergono, quando ci sommergono, perché la benedizione scende copiosa sulla casa di chi lo teme.

Ma perché una mela tagliata a metà, ci mostri una stella, basta cambiare il verso con cui la tagliamo, basta abbandonare le vecchie e tristi abitudini per ritornare a stupire del miracolo stupendo e infinito racchiuso in tutto il creato.

Approfittiamo di questo tempo di avvento, tempo di attesa e di incontro, tempo di conversione per farci illuminare dalla luce vera, quella che viene a fare nuove tutte le cose mostrandoci le stelle che si nascondono nella quotidianità dei gesti più elementari, nelle cose a portata di mano, e in quelle che ci sembrano irraggiungibili, destinate solo ai ricchi e ai potenti di questa terra come lo sono per esempio i diamanti.

La mela e il diamante, cosa possono avere in comune?

Eppure all’origine di entrambi c’è un seme gettato nella terra, un seme che ha dovuto marcire e morire per poter dare vita al germoglio che poi è diventato stelo e poi fusto e albero sui cui rami in mezzo alle foglie spunteranno i frutti succosi, destinati anch’essi a passare attraverso non si sa quante morti, per diventare torba e poi carbone e poi diamante purissimo.

Ce ne vuole del tempo perché tutto questo avvenga, dopo che la materia organica cessa di vivere e sprofonda nelle viscere della terra.Sottoposto a pressioni inaudite, in mancanza di aria e a temperature altissime, quello che era stato un seme può diventare in certe condizioni, nel corso dei secoli un diamante capace di riflettere la luce, se da essa viene illuminato.

Noi uomini non siamo forse stati creati per questo?

Ognuno di noi è quel diamante che Dio ha creato a sua immagine e somiglianza, capace di riflettere la luce se accetta di soffrire e morire come Lui, la luce che stiamo aspettando, quella che ci affascina il giorno di Natale, guardando il bambinello nella grotta illuminata.

E’ lui che per primo ha segnato la traccia, scegliendo non gli agi e le comodità della nostra società opulenta, ma il freddo e la povertà di un umile stalla, dove da una mangiatoia ha cominciato a parlarci.

Quest’anno facendo il presepe a queste cose andavo pensando e mi sono accorta che mi mancava la luce, una grande luce che illuminasse la grotta.

Per questo ho costruito la grotta attorno ad una grande abat-jour che non si spegne mai a differenza delle piccole luci intermittenti che illuminano i villaggi del grande scenario.

Dimenticavo. Ho provveduto a tracciare le strade e a gettare ponti anche sulle montagne perché fosse possibile, a tutte le statuine, da qualunque luogo si mettessero in cammino per arrivare alla grotta.

Siamo giunti al termine di questo appuntamento. Mi auguro di non avervi annoiato, ma di aver stimolato in voi il desiderio di mettere le ali per incontrare il Signore che viene.


Canto:Dalla tristezza alla danza


17 dicembre 2003

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foto©http://antomilella.files.wordpress.com/2006/09/28.jpg

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