martedì 3 ottobre 2006

13 Famiglia oggi:riflessioni di coppia


Rubrica radiofonica a cura di Gianni e Antonietta


Canto: Cristo è risorto veramente (CD – "Risorto per amore" - 1)


Cari amici, all’ascolto di Radio Speranza, buongiorno da Antonietta e Gianni.

Oggi vi vogliamo salutare così, anche se ci hanno raccomandato di non fare riferimenti temporali, perché questa trasmissione va in onda anche in differita.

Ma se la nostra lingua è carente, per quanto riguarda un augurio che abbracci l’intera giornata, vogliamo inventarcele noi le parole che mancano al vocabolario, per invitare ad accogliere la luce che brilla anche di notte, perché è proprio quando tramonta il sole che non ci vediamo e abbiamo bisogno di aiuto, abbiamo bisogno di fede..

Le candele che si accendono il giorno della presentazione al tempio di Gesù, la Candelora per intenderci, sono piccole, ma servono a ricordarci proprio questo: ricordavamo la volta scorsa, illuminano quel tanto che basta per non mettere i piedi in fallo e il resto lo lasciano al buio.
Quelle candele che ci consegna il sacerdote il 2 febbraio, ricordano le parole del vecchio Simeone: "Ora lascia, o Signore che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola; perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele".

Il vecchio Simeone aveva aspettato per tutta la vita il momento in cui avrebbe visto sorgere un sole che non tramonta; è bellissima l’immagine di questo vecchio che prende in braccio il bambino, un bambino speciale, s’intende, ma che è immagine e simbolo della vita che sboccia.

Alla gioia di Simeone si affianca quella dell’anziana profetessa Anna, che non appena vede Gesù, si mette a lodare e ringraziare il Signore, anche lei cogliendo tutta la portata di quel momento a lungo aspettato. Viene da chiedersi perché proprio a due anziani viene data la capacità di accorgersi della luce nascente. Forse perché hanno imparato a fermarsi, ad attendere, ad apprezzare ciò che veramente conta nella vita.

La vita che sembra non appartenere agli anziani è ciò che invece nascondono dentro di loro, la vita considerata nel suo fluire, quella vera che non conosce tramonto, ma solo momento del divenire del tempo, che da finito diventa infinito.


Il teologo moralista Giordano Muraro, così si esprime a riguardo:

"Forse l’immagine che più di ogni altra esprime questo modo di essere è quella delle stagioni. C’è la primavera, l’estate, l’autunno e l’inverno. Ma sono tutte stagioni di vita e ognuna ha i suoi frutti, anche l’inverno, che è il tempo del riposo e della vita nascosta, e prepara al rilancio della vita.

Per quanto possa sembrare assurdo, la primavera è simile all’inverno, perché entrambi non hanno frutti, ma li preparano, anche se con modalità diverse: la primavera con l’esplosione dei fiori che contengono i frutti; l’inverno con un silenzio spoglio, che accoglie i semi deposti nel tempo precedente e ne conserva e apprezza la vitalità, aspettando le condizioni necessarie per iniziare una nuova primavera.

La persona, mentre diventa fisicamente meno produttiva o addirittura improduttiva, può sviluppare in se altre dimensioni di vita, alle quali fino a quel momento ha dedicato poco tempo o lasciato addormentate o inespresse. E’ la fase cruciale della storia della persona. Il tempo della storia si esaurisce, e si apre un cammino che si perde nello spazio sconfinato dell’eternità. Continua a vivere nella storia, ma incomincia a capire che la strada in cui fino a ieri aveva camminato si apre su un orizzonte che non ha più confini.

La morte non è il baratro che ingoia tutto nel suo silenzio vuoto e immobile, ma è un passaggio ad una nuova dimensione di vita. Per questo l’anzianità può essere paragonata alla stagione invernale, quella che nasconde e alimenta i germi della vita nuova. Non è facile prendere coscienza di questa dimensione della vita quando si è nella gioia della fioritura e nel tempo in cui tutto fruttifica in abbondanza.

In quel momento la vita sembra bastare a se stessa. Le condizioni per avvertire l’esigenza di una nuova dimensione di vita sono il silenzio, la povertà, l’umiltà, quando si riconosce l’insufficienza di ogni altra esperienza. Allora la vita diventa capace di percepire l’impercepibile, come è avvenuto per Simeone ed Anna nell’abbraccio con il Bimbo".


Canto: Io vedo il re (CD – "Risplendi Gerusalemme" - 3)

Quel Bimbo, portatore di gioia e di luce, è frutto del sì di sua madre e suo padre, Maria e Giuseppe, del sì di una coppia, anch’essa un pochino speciale, che ha accettato di accogliere il progetto di Dio nella propria vita, attraverso quel figlio che non apparteneva a loro, ma a Dio che, servendosi di loro, lo aveva donato a tutta l’umanità. Questa coppia ha tanto da insegnarci per quanto riguarda il segreto del loro accordo silenzioso, perché erano strettamente uniti a Dio con la preghiera e con l’ascolto della sua parola, tanto da non avere dubbi su quale fosse la sua volontà alla quale si sono sempre uniformati.

La scorsa volta abbiamo concluso la trasmissione rilevando quanto fosse importante nel matrimonio la consapevolezza che ci si sposa in tre e che la Grazia insita nel Sacramento, lo Spirito Santo, rende possibile l’eternità dell’amore, l’unità indissolubile della coppia, l’uniformità dei voleri, specie nelle decisioni più impegnative come sono quelle di apertura alla vita.

Il 6 febbraio 2005 abbiamo celebrato la ventisettesima giornata per la vita e ci sembra bene con voi riflettere sul messaggio che i Vescovi hanno indirizzato alla comunità cattolica italiana.


FIDARSI DELLA VITA

"La vita è un intreccio di relazioni e le relazioni richiedono che ci si possa fidare gli uni degli altri.

Secondo una tendenza culturale diffusa, la vita degli altri però non è degna di considerazione e rispetto come la propria.

In particolare non riscuote un rispetto sacro la vita nascente, nascosta nel grembo di una madre; né quella già nata, ma debole; né la vita di chi non ha i genitori, oppure li ha ma sono assenti e cerca di averli, col rischio di aspettare molto a lungo, forse addirittura di non averli mai.

Così chi attende di nascere rischia di non vedere mai la luce, e chi attende in un istituto l’abbraccio di due genitori, rischia di vivere per tutta la vita con il desiderio di un evento che mai accadrà.

Scontiamo modi di pensare e di vivere che negano la vita altrui, che non si fidano della vita perché diffidano degli altri, chiunque essi siano. E invece nella Genesi si legge: "Non è bene che l’uomo sia solo!".

Lo scopo dell’esistenza sta nella relazione. Con l’Altro che ci ha creati, ci ama da sempre e per sempre, e per noi ha in serbo la vita eterna. E con gli altri, a cominciare da chi più ha fame e sete di vita e di relazione: come il bambino non ancora nato o i molti bambini senza genitori.

C’è il bambino non ancora nato, icona e speranza di futuro: entrare in relazione con lui, considerandolo da subito ciò che egli è, una persona, è la più straordinaria avventura di due genitori.

In questo senso l’aborto, quando è compiuto con consapevole rifiuto della vita, superficialmente o in obbedienza alla cultura dell’individualismo assoluto, è la più terribile negazione dell’altro, la più gelida affermazione dell’individuo che ignora l’altro perché riconosce soltanto se stesso.

In non poche circostanze in verità l’aborto è una scelta tragica, vissuta nel tormento e con angoscia, sbocco di povertà materiale o morale, di solitudine disperata, di triste insicurezza: in queste situazioni a negare l’altro è, in ultima analisi, tutta una società, cieca nei riguardi dei bisogni delle persone e insensibile al rispetto del figlio e della madre.

Anni di esperienza inducono a ritenere che la via maestra per vincere la cultura dell’individualismo, ma anche per superare la fragilità che durante una gravidanza può nascere per la paura di non farcela, consiste nel fare compagnia alle madri in difficoltà, aiutandole a capire che gli altri esistono, ti aiutano, non ti lasciano sola e, portando assieme a te il tuo peso, lo rendono sopportabile, fino a farti scoprire che non di un peso si tratta, ma della gioia più grande

Ci sono poi molti bambini e ragazzi che trascorrono la loro infanzia in un istituto, perché i loro genitori li hanno abbandonati o per i più svariati motivi non sono in grado di tenerli con se. Il loro futuro è incerto e insicuro, perché tra pochi mesi questi istituti saranno definitivamente chiusi.

Si aprirà così per le famiglie italiane – sia per quelle che godono già del dono di figli propri, sia per quelle che vivono la grande sofferenza della sterilità biologica – una grande opportunità per dilatare la loro fecondità attraverso l’adozione o l’affido temporaneo.

Se una famiglia si dimostra disponibile, non va lasciata sola. Deve avvertire intorno a sé una rete di solidarietà concreta, fatta non solo di complimenti ed esortazioni, ma di tante forme di aiuto e di solidarietà. E chi si rende disponibile per l’adozione o l’affido, deve sentirsi parte di un’avventura collettiva, in cui gli altri ci sono, vivi e presenti.

Risuonano perciò particolarmente suadenti in questo momento, per le famiglie e per la comunità, le parole di Gesù: "Chi accoglie questo fanciullo nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato. Poiché chi è il più piccolo tra tutti voi, questi è grande" (Lc 9,48).

Perché dunque non fidarsi della vita rispondendo ad una sfida che viene dagli eventi? Ne guadagnerebbero le famiglie nel vivere l’esaltante avventura di una fecondità coraggiosa che fa sperimentare che "vi è più gioia nel dare che nel ricevere" (At 20,35). Ne guadagnerebbero molti figli nel trovare finalmente l’affetto e il calore di una famiglia e la sicurezza di un futuro. Ne guadagnerebbe l’intera società nel mettere in evidenza segni convincenti che le farebbero prendere il largo nella civiltà dell’amore.

La vita vincerà ancora una volta? Osiamo sperarlo e per questo chiediamo a tutti una preghiera unita a un atto di amore accogliente e solidale".


Canto: Come Tu mi vuoi (CD – "Io scelgo te" - 2)

Dopo aver letto queste parole ci sono venuti in mente i nostri amici: Sergio ed Elisabetta che non si sono rassegnati al fatto che dopo 13 anni il sospirato figlio non venga e continuano a chiedersi cosa il Signore voglia da loro, Simona e Marco che non sono andati tanto per il sottile per averlo e hanno fatto ricorso più volte all’inseminazione artificiale, spendendo anche ciò che non avevano. Abbiamo pensato alle due creature nate dall’esperimento, gravemente malate, a cui è affidato il compito di riempire il vuoto affettivo dei loro genitori.

Abbiamo pensato a Tommaso, affetto da una rara malattia genetica, cuore di una famiglia unita nell’amore, a Luciano che da 55 anni dipende dalle cure di sua madre a cui continua a regalare sorrisi, a quel bimbo ucraino, rimasto nell’istituto, che Letizia e Lorenzo non se la sono sentiti di prendere, perché all’Adozione internazionale avevano precisato che lo volevano sano e che sano non era, alle due sorelline che stanno aspettando di essere date in affido alla coppia, qui in Italia, perché non è mai troppo tardi per cominciare ad amare; abbiamo ricordato il dramma di Elvira con una storia familiare disastrosa alle spalle, legata ad un tossico che non ce l’ha fatta a dire di sì al bimbo che portava nel seno, come non ce l’hanno fatta Mauro e Marcella, dopo sei mesi di attesa spensierata e serena, ad accettare che il bimbo che aspettavano, presentava qualche malformazione e hanno fatto ricorso, consigliati dai medici, all’aborto terapeutico.

Abbiamo aperto la Bibbia e ci è balzata davanti la figura di Abramo, l’uomo di Dio, il prototipo del credente, colui a cui il Signore ha dato tutto perché è stato disposto a tutto, anche a sacrificare sopra l’altare quell’unico figlio che Dio gli aveva concesso in tarda età e che voleva riprendersi

subito.

La storia della fede è la storia di tanti sì, quelli che hanno cambiato la storia, come il sì di Abramo e il sì di Maria, ma anche tutti quei piccoli sì che ogni giorno pronunciamo per portare cemento alla casa del Padre, i nostri sì ripetuti con fatica, con sofferenza, con rabbia, con rassegnazione, che confluiscono nell’oceano accogliente e generoso della misericordia di Dio.

Abbiamo istintivamente sentito il desiderio di pregare per quelli che non lo fanno, per quelli a cui tutto è dovuto, per quelli che non riescono a fare il salto, e non riescono a godere dei frutti della promessa.

Ci siamo uniti al coro dei bambini mai nati che insieme agli angeli celebrano la gloria di Dio e pregano per i loro genitori perché Dio allarghi loro le braccia e gli apra il cuore.

Poi ci è venuto in mente Giovanni, il nostro nipotino, a parere di molti nato troppo presto, perché i genitori potevano godersi un poco la vita, i primi anni di matrimonio, e non l’hanno fatto, il profeta che il Signore ci ha mandato a domicilio per istruirci delle cose che Lo riguardano e ci riguardano.

E un altro Giovanni ci è venuto alla mente, il bimbo nato a Monica e Alberto dopo 13 anni di matrimonio, frutto di un’attesa lunga ma serena in compagnia di Gesù.

Abbiamo sentito forte il desiderio di ringraziare, lodare e benedire il Signore per la vita che vediamo e per quella che cova nascosta nel grembo della natura, nel grembo della madre, per la vita di ogni uomo chiamato a mettere in circolazione l’amore.

Ecco, l’amore fa la differenza tra una storia di solitudine e di fallimento e una storia piena di occasioni per godere dei frutti della promessa. L’amore viene da Dio, l’amore è Dio, che ci chiama a contemplarlo nel nostro partner, con il quale costruire la civiltà dell’amore, la città di Dio.

.Lo Spirito Santo è lo strumento perché una storia di uomini diventi capolavoro di Dio. Solo invocandolo, accogliendolo, permettendogli di operare, gli sposi toccano con mano che la felicità consiste nel dare e non nel prendere, nel portare frutto, e non nel cogliere i frutti di un giardino che non abbiamo provveduto a coltivare con i doni dello Spirito, con l’amore gratuitamente donato perché l’altro abbia la vita.

Concludiamo con le parole con le quali il poeta libanese Khail Gibran ha celebrato l’amore:


Quando l’amore vi chiama, seguitelo, anche se ha vie ripide e dure. /

E quando dalle ali ne sarete avvolti, abbandonatevi a lui, anche se, chiusa tra le penne, la lama vi potrà ferire./

E quando vi parla, credete in lui, anche se la sua voce può disperdervi i sogni come il vento del nord devasta il giardino. /

Poichè, come l’amore v’incorona, così vi crocifigge, e come vi matura, così vi poterà../

Come sale sulla vostra cima e accarezza i rami che fremono più teneri nel sole, /

così discenderà alle vostre radici, e laggiù le scuoterà dove più forti aderiscono alla terra./

Vi accoglie in sé, covoni di grano./

Vi batte finché non sarete spogli. /

Vi straccia per liberarvi dalle reste./

Vi macina per farvi neve./

Vi plasma finche non siate cedevoli alle mani./

E vi consegna al suo sacro fuoco, perché voi siate il pane sacro alla mensa di Dio./

In voi tutto ciò compie l’amore, affinché conosciate il segreto del vostro cuore, e possiate farvi frammenti del cuore della vita. /

Ma se la vostra paura non cercherà nell’amore che la pace e il piacere, allora meglio sarà per voi coprire le vostre nudità e passare oltre l’aia dell’amore, /

nel mondo orfano di climi, dove riderete, ahimè, non tutto il vostro riso, e piangerete non tutto il vostro pianto./

L’amore non dà nulla se non se stesso. /

e non coglie nulla se non da se stesso ./

L’amore non possiede, né vorrebbe essere posseduto; /

poi che l’amore basta all’amore. /

Quando amate non dovreste dire, " Ho Dio nel cuore", ma piuttosto, " Io sono nel cuore di Dio".

E non crediate di condurre l’amore, giacché se vi scopre degni, esso vi conduce ./

L’amore non vuole che consumarsi. /

Ma se amate e bramerete senza scampo, siano questi i vostri desideri: /

sciogliersi, e imitare l’acqua corrente che canta il suo motivo alla notte. /

Conoscere la pena di tanta tenerezza /

Piagarsi in comprensione d’amore; /

e sanguinare di voluta gioia ./

Destarsi all’alba con un cuore alato e ringraziare un nuovo giorno d’amore; /

riposare nell’ora del meriggio e meditare l’estasiato amore; /

grati rincasare al vespro; /

e addormentarsi pregando per l’amato in cuore, con un canto di lode sulle labbra.


Canto: Cristo è risorto veramente (CD – "Risorto per amore" 1)

31 gennaio 2005

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