giovedì 24 agosto 2006

19 Famiglia oggi:riflessioni di coppia


Rubrica radiofonica a cura di Gianni e Antonietta

Canto: Dio ha tanto amato il mondo (CD – "Risorto per amore" 10)



Carissimi amici, benvenuti all’ascolto di questa trasmissione. Dagli studi di Radio Speranza vi salutano Gianni e Antonietta

Siamo entrati nella Settimana Santa, che le chiese d’Oriente chiamano la Grande Settimana e che l’antico rito della Chiesa di Milano definiva Settimana Autentica. Non vi nascondiamo che ci sentiamo addosso tutta l’inadeguatezza delle parole in questo periodo forte dell’anno, specialmente perché persone più preparate di noi da questi microfoni o da altre emittenti cattoliche vi spiegano il Vangelo e vi parlano di Gesù meglio di come sappiamo fare noi. Tante cose le abbiamo capite, accostandoci, il più spesso possibile, alla mensa della parola e del pane, ma tante cose le dobbiamo ancora fare nostre, metabolizzarle, incarnarle nella nostra vita personale e di coppia.

Nella società in cui viviamo, alle prese con i mille problemi quotidiani, forse le parole che ci riuscirebbe più naturale pronunciare sono quelle che Gesù disse nell’orto degli ulivi, quando, pensando a ciò che lo attendeva sudò sangue e disse:"Padre, se è possibile, passi da me questo calice" e il calice, ci siamo messi a riflettere, è spesso questa nostra vita, così difficile da portare avanti, senza smarrirsi, scoraggiarsi e voltarsi indietro.


In certi frangenti, la tentazione di premere un pulsante per cambiare canale è grande, come si fa quando la televisione trasmette un programma che non ci piace.

Fuor di metafora, cambiare strada spesso è l’unico modo che conosciamo, per risolvere i nostri problemi, quando il percorso si fa difficile e gli ostacoli sembrano insormontabili. Ma tutto dipende da quale luce ci lasciamo guidare.

A volte la difficoltà nasce dal fatto che ci ostiniamo a percorrere strade sbagliate e non vogliamo sentire ragioni. Ogni volta che le cose non vanno come vorremmo, ce la prendiamo con il Padreterno, sia che ci crediamo, sia che non ci crediamo, perché di qualcuno deve essere la colpa e se non la troviamo negli uomini, sicuramente è Lui che si diverte a metterci nei pasticci..

Il tempo di fermarsi e riflettere non lo troviamo e neanche lo cerchiamo, tutti intenti a fare, a muoverci ed agire in una qualsiasi direzione, che ci anestetizzi dai pensieri angosciosi di sofferenza e di morte. Passiamo la vita a esorcizzarla la morte, a far finta che non ci sia, che non ci riguardi, convinti che è cosa che capita agli altri, augurandoci di morire nel sonno, così non saremo costretti a pensarci..

Viviamo con gli occhi bendati, ostinandoci a negare l’unica cosa certa che riguarda tutti, ma proprio tutti gli uomini, non avendo fatto eccezioni neanche per Gesù, che poteva chiedere almeno uno sconto su questo, visto che è Figlio di Dio.

La morte è una brutta parola, che fa venire i brividi lungo la schiena, anche solo a pronunciarla, ma è una realtà con la quale siamo chiamati a confrontarci, specie in questo periodo forte dell’anno liturgico, che culmina con la Pasqua.

A Natale non è così tanto difficile immedesimarci nell’attesa di Maria e di tutti i credenti e commuoverci di fronte ad un bimbo indifeso, coperto di stracci, deposto su una mangiatoia e riscaldato dal fiato di un bue e di un asino.

Quando Giovanni l’ha visto, in dimensioni naturali, esposto sull’altare di una chiesa, dove l’avevo portato per fargli vedere il presepe, a ridosso dell’Epifania, non ha voluto avvicinarsi, perché doveva andare a casa a prendergli la copertina, e la sua voce che rimbombava nella chiesa deserta prendeva l’anima, stringeva il cuore. E dire che di Gesù Bambino ne aveva visti tanti, ma era il primo che gli ricordava, per la sua dimensione, che non era un giocattolo, ma una persona.

Poi l’Epifania tutte le feste se le porta via e con le feste cancella dalla memoria il Bambinello e i buoni sentimenti che ha suscitato.


Quel bimbo, che nel frattempo è diventato grande, ce lo ritroviamo nella Quarta Domenica del tempo ordinario, a poco più di un mese dal Natale, che chiama beati i poveri, gli afflitti, i perseguitati, tutti quelli che la nostra società emargina e ritiene infelici

"Se qualcuno vuole venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno, e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà". Le parole di Gesù sono difficili da comprendere e da accettare, E’ difficile pensare che ci riguardino.

Un tempo pensavamo che il Vangelo e la vita fossero due cose distinte, scollegate fra loro e l’essere cristiani non presupponeva un cambiamento radicale delle nostre abitudini, dentro, ma soprattutto fuori delle mura di una Chiesa.

Ci siamo chiesti perché a Pasqua si va in vacanza più che a Natale. Anche noi spesso ne abbiamo approfittato per andarci, per cambiare canale, almeno il Lunedì dell’Angelo, quando il tempo lo permetteva.

Per conoscere la risposta abbiamo dovuto accendere il televisore che con ritmo martellante propone alternative alla sofferenza, alla rinuncia e alla morte, sperando che ci crediamo, per continuare a vendere sogni, destinati ad infrangersi, quando meno ce l’aspettiamo.

Della nostra infanzia ricordiamo la processione che solenne attraversava le strade principali della città, accompagnata dal suono lento e grave della banda, i simboli astratti che precedevano il Cristo morto, seguito dalla Madonna, coperta da un velo nero, che chiudeva il corteo. Noi eravamo catturati da quelle inconsuete immagini, rapiti dal silenzio innaturale che faceva da sfondo alla musica, insieme al bagliore delle cascate di luce che, lungo corso Vittorio Emanuele, scendevano dai negozi più in vista e da qualche balcone.

Al digiuno ci aveva pensato la guerra e non ci era difficile per un giorno fare qualche rinuncia.


Ricordiamo le uova sode e le frittelle impastate con l’acqua e con la farina che ingordi divoravamo, al suono gioioso delle campane sciolte, a mezzogiorno del sabato, e il pranzo della domenica, che con amore le nostre mamme ci preparavano.

I vestiti nuovi, i cavalli e le pupe con i confettini colorati sparsi sopra la pancia, l’immancabile uovo sodo inserito nel grembiule o sulla sella che ci contendevamo, quando tutti insieme, il lunedì andavamo a fare la gita, sono i ricordi di un’attesa che esplodeva in una festa che non avremmo voluto avesse mai fine.

Il sentimento che lega il passato al presente, la fanciullezza inconsapevole alla maturità responsabile vorremmo trasmetterlo al piccolo Giovanni, la gioia di un evento che prende senso e dà gioia solo se ti dà cose su cui non sei abituato a contare. Ma come dirgli che quel bimbo che lui voleva coprire è stato crocifisso? Come parlagli di morte, come di resurrezione?


Canto: Il tuo amore è grande (CD – "Il tuo amore è grande" 3)


Ad una società che la morte o la ignora o presume di sconfiggerla a discapito di altre vite, quelle dei tanti embrioni sacrificati per un figlio ad ogni costo o per il progresso della scienza, come può parlare la Pasqua? Eppure solo se si fa esperienza di morte, si può fare esperienza di resurrezione e la nostra, come tante altre storie dove ha fatto irruzione Cristo ne è l’esempio tangibile.Quel crocifisso che a tanti dà fastidio e che anche noi abbiamo nascosto allo sguardo per tanto tempo, è la chiave per entrare nel grande mistero della sofferenza come strumento privilegiato di salvezza.

Ma la sofferenza, il sacrificio e la rinuncia sono piante rare, in via d’estinzione, e le possiamo trovare solo lontane da occhi indiscreti, come anche la morte. Per questa ci sono gli obitori, per la sofferenza ci sono gli ospedali, gli ospizi e le case di cura, per la rinuncia e il sacrificio ci sono le tante ricette che è pronto a somministrare l’imbonitore di turno dai microfoni di qualche emittente o dalle pagine di uno dei tanti giornali.

Per trovarli, questi ingredienti sulla nostra strada e imparare a farci i conti, bisogna uscire fuori dal guscio, dall’appartamento che nell’etimologia esprime ciò che, chi ci abita, si sforza di vivere, l’appartarsi, il chiudersi alla verità che viene dalla relazione con l’altro.

Oggi è difficile che un bambino si accosti ad un malato o ad un morto, perché le tragedie si consumano fuori di casa e negli ospedali è vietato l’accesso ai minori..

Quando nonna si ammalò, mio padre sostenne con tutte le forze che non era giusto ricoverarla in un ospizio, nonostante fossimo già in sei ad occupare la nostra piccola casa e lei aveva bisogno di tutto, nonostante nonna Ida fosse la suocera di papà, nonostante mia madre non fosse ancora andata in pensione e noi eravamo quattro pulcini non ancora pronti per spiccare il volo. Ricordo che non ci stupì la scelta di tenere nonna con noi, né ci sottraemmo ai turni che necessariamente era doveroso fare al suo capezzale. L’abbiamo vista soffrire e morire, ma anche l’abbiamo vista operare instancabilmente perché stessimo bene, donandosi tutta a noi, perché il lavoro fuori casa dei nostri genitori non ci risultasse troppo gravoso.

La malattia, la sofferenza, e purtroppo anche la morte erano di casa come la vita, perché si partoriva in casa e me li ricordo gli urli di mamma, quando stava per nascere mia sorella e il suo primo vagito e lo stupore che si fosse salvata, lei e mia madre, perché stavano morendo entrambe, per questo che si chiama Maria, perché è stata salvata dalla Madonna, come ci dissero allora. , proprio a ridosso di Pasqua


Altri tempi, in cui i disagi contribuivano a forgiare la tempra degli uomini, in cui il digiuno non era una scelta, ma spesso una necessità.

Come oggi la Quaresima può diventare un cammino percorribile per i nostri giovani abituati a veder soddisfatta ogni loro esigenza, come vedono fare dalla pubblicità alla quale i genitori non sanno sottrarsi?

Pensiamo a Giovanni a cui, grazie a Dio, non manca niente e che, avendo quattro nonni e due bisnonne, oltre al padre e alla madre, non fa in tempo a chiedere le cose che già le ha in mano.

Le foto di bambini indigenti, malnutriti, malati non sono nei libri che lui sta imparando a sfogliare, né nei cartoni che ama vedere.

Nonostante quindi siamo vissuti in tempi dove tutto non era scontato e le cose ce le dovevamo sudare, dobbiamo sforzarci non poco per educare Giovanni a tener conto anche di chi sta peggio di lui, a rinunciare ad un desiderio perché il superfluo non gli appartiene.

Ci piacerebbe che, una volta diventato grande, non si rivolgesse a noi con queste parole che Ferrero ha scritto nella pubblicazione "L’importante è la rosa":

Volevo latte e ho ricevuto biberon,

volevo dei genitori e ho ricevuto un giocattolo,

volevo parlare e ho ricevuto un televisore,

volevo imparare e ho ricevuto pagelle,

volevo pensare e ho ricevuto sapere,

volevo una visione generale e ho ricevuto un’ideuzza,

volevo essere libero e ho ricevuto la disciplina,

volevo amore e ho ricevuto la morale,

volevo una professione e ho ricevuto un posto,

volevo felicità e ho ricevuto denaro,

volevo libertà e ho ricevuto un’automobile,

volevo un senso e ho ricevuto una carriera,

volevo speranza e ho ricevuto paura,

volevo cambiar


volevo vivere…


Canto: Pane di vita (CD – "Il tuo amore è grande" 6)


Si scrivono tanti libri di pedagogia, ci sono tanti genitori che prima che nasca un figlio si preoccupano di comprare tutti i sussidi possibili per farlo crescere bene.. Se noi avessimo comprato il Vangelo e ci fossimo presi la briga di leggerlo, forse avremmo fatto meno errori nell’educare nostro figlio.

Per fortuna che Dio ha pensato ad aggiustare le cose.

I nostri sforzi li concentravamo nel non fargli mancare nulla, nel risparmiargli dolori e preoccupazioni, anzi ci guardammo bene dal dirgli le nostre difficoltà e il modo con cui cercavamo di superarle. Se ci esprimeva un desiderio non gli comunicavamo il fatto che per esaudirlo dovevamo fare delle rinunce. Ci sembrava il minimo, visto che non era venuto al mondo per sua scelta e, se gli avevamo dato la vita, dovevamo rendergliela più tranquilla e serena possibile, agevolandolo in qualunque cosa desiderasse.

La storia del bruco che per diventare farfalla e volare ha bisogno dello sforzo, della pazienza e della fatica di aprirsi un varco nel bozzolo, giorno per giorno, perché le sue ali si fortifichino e siano in grado di librarsi sicure nell’aria è emblematica.

Ve la leggiamo come l’abbiamo trovata navigando su internet, strumento prezioso per mettere in circolo le buone idee.


Un giorno apparve un piccolo bruco in un bozzolo; un uomo che passava per caso, si mise a guardare la farfalla che per varie ore , si sforzava per uscire da quel piccolo buco.

Dopo molto tempo, sembrava che essa si fosse arresa ed il buco fosse sempre della stessa dimensione. Sembrava che la farfalla ormai avesse fatto tutto quello che poteva , e che non avesse più la possibilità di fare niente altro.

Allora l’uomo decise di aiutare la farfalla: prese un temperino ed aprì il bozzolo. La farfalla immediatamente uscì fuori. Però il suo corpo era piccolo e rattrappito e le sue ali erano poco sviluppate e si muovevano a stento.

L’uomo continuò ad osservare perché sperava che, da un momento all’altro, le ali della farfalla si aprissero e fossero capaci di sostenere il corpo, e che essa cominciasse a volare. Non successe nulla! In quanto la farfalla passò il resto della sua esistenza trascinandosi per terra con un corpo rattrappito e con le ali poco sviluppate. Non fu mai capace di volare. Ciò che quell’uomo, con il suo gesto di gentilezza e con l’intenzione di aiutare, non capiva, è che passare per lo stretto buco del bozzolo era lo sforzo necessario affinché la farfalla potesse trasmettere il fluido del suo corpo alle sue ali, così che essa potesse volare. Era la forma con cui Dio la faceva crescere e sviluppare.


Lo sforzo è esattamente ciò di cui abbiamo bisogno nella nostra vita. Se Dio ci permettesse di vivere la nostra esistenza senza incontrare nessun ostacolo, saremmo limitati, non potremmo diventare forti e volare. Infatti risparmiando ai nostri figli la sofferenza, non abituandoli al sacrificio, tenendoli al riparo dai pericoli, non li aiutiamo a crescere e ad assumersi le responsabilità alle quali la vita inevitabilmente li chiamerà.

Il Dio della Bibbia è un Dio che ama prima di tutto, che ama il bene dei figli, che desidera che stiano bene non solo un momento, ma per l’eternità. Per questo non ignora il castigo come strumento di correzione.

Ma se noi non avevamo le idee chiare su come da un bruco potesse nascere una stupenda farfalla, il Signore ci è venuto in aiuto mandandoci a domicilio il maestro, vale a dire la malattia..

Il fatto che stessi male ci portò ad affidare Franco ad una Chiesa, e che in quella Chiesa operasse un gruppo scout fu un ulteriore regalo del Signore.

L’AGESCI, organizzazione scout di matrice cattolica, gli ha insegnato ad amare Dio e la natura, a rispettarla e a trarne il necessario per vivere, facendo perno sulla capacità di adattarsi a qualsiasi situazione, contando sulle proprie forze e mettendole a disposizione dei più deboli e bisognosi.

Se noi non fummo bravi a dimostrare che potevamo risolvergli tutti i problemi, specie quando non fummo in grado di provvedere, per un lungo periodo, neanche a quelli suoi più elementari, il Signore gli mostrò da Chi doveva aspettarsi ciò che i genitori non sanno o non possono dare.

La festa di San Giuseppe ci ha portato a riflettere su cosa significhi essere padri putativi, sulla santità che si consegue quando accogliamo i nostri figli non come fossero nostra proprietà, ma come persone che ci sono affidate perché le portiamo a piena maturità, facendo tutto ciò che è possibile per farli crescere nell’amore, che è poi dare loro la felicità.


Il poeta libanese Kahil Gibran così parla dei figli, frecce scoccate dall’arco che siamo noi genitori.

Arco che non può fare a meno dell’Arciere sommo che tende la corda.

I vostri figli non sono i vostri figli.

Sono i figli e le figlie della fame che in se stessa ha la vita.

Essi non vengono da voi, ma attraverso di voi,

E non vi appartengono benché viviate insieme.

Potete amarli, ma non costringerli ai vostri pensieri,

Poi che essi hanno i loro pensieri.

Potete custodire i loro corpi, ma non le anime loro,

Poi che abitano case future, che neppure in sogno potrete visitare.

Cercherete d’imitarli, ma non potrete farli simili a voi,

Poi che la vita procede e non s’attarda su ieri.

Voi siete gli archi da cui i figli, le vostre frecce vive, sono scoccati lontano.

L’Arciere vede il bersaglio sul sentiero infinito, e con la forza vi tende,

affinché le sue frecce vadano rapide e lontane.

In gioia siate tesi nelle mani dell’Arciere,

Poi che, come ama il volo della freccia, così l’ immobilità dell’arco.


Canto: Dio ha tanto amato il mondo (CD – "Risorto per amore" 10)

 25 marzo 2005


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1 commento:

anonimo ha detto...

ci fai entrare nella tua vita e ci fai ricordare nelle tue esperienze le nostre esperienze e rammaricare per aver imparato cosi' poco da queste. Sono forse anche io una farfalla cui è stato facilitato l'abbandono del bozzolo? Oppure ognuno ha i suoi tempi ed io sono fortunata perchè nella luce che tu proietti è più facile ritrovare la strada giusta. Ciao e grazie