Rubrica
radiofonica a cura di Gianni e Antonietta
Canto:
Cristo è risorto veramente (CD – “Risorto per amore” 1)
Benvenuti
all’ascolto di questa trasmissione, cari amici. Dagli studi di
Radio Speranza vi saluta Antonietta. Oggi sono sola, Gianni è al
lavoro e mi ha incaricato di portarvi i suoi saluti. Da questa
situazione abbiamo tratto lo spunto per parlarvi del "noi"
in cui confluiscono i due "io" che si impegnano a costruire
gli sposi, quando decidono di amarsi per tutta la vita. Non è
semplice riuscirci, ma l’importante più del camminare è seguire
la giusta direzione. Quando, come oggi sta succedendo, nelle cose che
facciamo o diciamo l’altro è presente perché quella cosa non
l’avremmo detta o fatta senza di lui stiamo vivendo il noi, perché
le cose di cui mi accingo a parlare sono frutto dell’impegno comune
a camminare con Cristo. La preghiera di Gianni sono certa che mi
sosterrà, come siamo soliti fare quando uno solo di noi due deve
andare in avanscoperta
"Mentre
l’uno parla, l’altro preghi", questo era il mandato, quando
qualche domenica fa hanno invitato a parlare quelli che lo sapevano
fare, mentre distribuivano i volantini dopo la Messa, per invitare i
compagni di banco della domenica a lodare, benedire e ringraziare il
Signore, il martedì e il venerdì, nel gruppo Sacra Famiglia nella
chiesa di S. Giuseppe. Fra questi c’ero anch’io che non ho
bisogni di stimoli per aprire la bocca.
Ricordo che
pensai che dovevano essere pazzi a credere che basta saper parlare
per portare un annuncio e in quel caso era Gianni quello che doveva
pregare. Ma a pregare mi ci sono messa d’impegno anche io perché,
e questo era il dilemma, se gli uomini si erano dimenticati che
l’evangelizzazione nella piazza, davanti alla chiesa, passa anche
attraverso il mal di schiena di chi deve stare in piedi più di
quanto abitualmente gli sia concesso, io no, e avevo bisogno di
sapere se anche Dio se l’era dimenticato. Poi come spesso mi
accade, dopo il primo momento di smarrimento, mi sono messa a vedere
cosa Dio si sarebbe inventato per rendere possibile ciò che mi
sembrava incompatibile con la mia condizione di salute. Ma Lui non si
smentisce mai e ci ha messo in mano un microfono con il quale abbiamo
potuto raggiungere tante più persone di quante ci è dato
d’incontrarne, la domenica, durante e dopo la Messa.
E’ bellissimo
vivere nello stupore di come il Signore operi per utilizzare al
meglio le nostre risorse, quando ci vede disponibili a dirgli di sì.
All’inizio di questo cammino, cominciato con Gianni cinque anni fa,
non ci aspettavamo che le cose andassero così.Nella Chiesa che
avevamo cominciato a frequentare, Gianni che era arrivato dopo di me
trovò subito collocazione nel coro che anima la messa delle otto e
trenta della domenica, mentre io, stonata come una campana,
continuavo a chiedere al Signore che mi permettesse, almeno
all’elevazione, di cantargli: "Santo, santo santo, è il
Signore, Dio dell’universo" senza inorridire io, e far tappare
le orecchie a chi mi stava vicino, ma niente da fare, anzi proprio in
quel periodo, come se non bastasse, persi completamente la voce, per
via di due interventi che direttamente o indirettamente interessarono
la gola.
La storia di
Giobbe fu allora che mi prese a tal punto che mi convinsi che, se mi
fossi arresa al Signore, avrei ritrovato la salute e con la salute la
voce. Grazie alla rieducazione postoperatoria, la voce la recuperai ,
anche troppo, deludendo quelli che speravano di mettermi a tacere,
una volta per tutte. E vi assicuro erano tanti, compreso Gianni,
anche se ci scherzava sopra con i nostri amici e auspicava un tempo
di tregua dalle mie parole, che utilizzavo per indurlo a parlare.
Ricordo ancora la penitenza singolare che mi diede un sacerdote,
quella di stare cinque minuti in silenzio davanti al tabernacolo, che
mi costò tanta fatica allora , ma che mi fece riflettere
sull’importanza di fare silenzio per ascoltare cosa l’altro ha da
dirci.
Gli inizi del
nostro cammino di fede furono tutt’altro che facili, perché a me
piace rendermi utile e nella Chiesa sembrava che non ci fosse posto
per me, mentre Gianni non aveva dovuto aspettare un granchè per
mettersi al lavoro nel coro.
Anzi, le prove
lo portavano ad assentarsi da casa, dopo cena più di una volta la
settimana, per via di un concerto di evangelizzazione che si stava
preparando.Io non posso dire che ne ero dispiaciuta, anzi
approfittavo della sua assenza per dedicarmi al mio hobby preferito:
scrivere preghiere.Avevo trovato l’interlocutore che non avevo in
casa, quello a cui confidare i miei problemi, l’amico su cui
contare, il maestro che mi istruiva, ma non ancora il Padre da cui
farmi amare.Anni addietro il diario mi era servito per parlare solo
con me stessa. La difficoltà a dialogare con Gianni aveva sviluppato
in me questa scappatoia per non morire soffocata dal silenzio.
Pregare da sola
mi dava tanta forza e tanta pace, mi rigenerava, ma quando ritornavo
nella mischia, alle mie occupazioni quotidiane, che implicavano
l’incontro e lo scontro con il mio prossimo più prossimo, le
persone o la persona che il Signore mi aveva messo vicino, la pace e
la gioia andavano a farsi benedire, e dovevo fare una gran fatica per
non fuggire, sperando che il supplizio durasse il meno possibile.
A svegliarmi
dal sonno venne, durante la Quaresima di due anni fa, la parola di
Dio quando fa dire a Pietro, sul monte della Trasfigurazione:
"Maestro, facciamo tre tende, una per te, una per Mosè, una per
Elia"
Già le tre
tende che San Pietro voleva piantare per continuare all’infinito a
godere della luce di Cristo, anch’io avevo cercato di piantarle, ma
non mi era riuscito, come non riuscì a San Pietro, che voleva
prendere la scorciatoia, pensando che gli uomini e il mondo fossero
ostacolo alla santità.
"Prendete
e mangiatene tutti, questo è il mio corpo, offerto in sacrificio per
voi, fate questo in memoria di me" E’ la formula che sentiamo
ripetere ogni volta che andiamo alla Messa.
Ma cosa
dobbiamo fare in memoria di Gesù? Consacrare il pane e il vino?
Quello compete ai sacerdoti. Mangiare il corpo consacrato di Cristo,
questo sì lo possiamo fare, anzi mi ero messa d’impegno a farlo
ogni giorno e non ne potevo fare più a meno.
" Fate
questo in memoria di me" Queste sono le parole che mi hanno
colpito in una Messa senza omelia, di quelle che ti fanno dire:"
Oggi ritorno a casa tale e quale ero, tanto le letture le ho meditate
a casa.e il prete non si è sprecato.
" Fate
questo in memoria di me": sul mio lezionario meditato non sono
riportate queste parole che si ripetono ogni giorno, ma solo le
letture che variano secondo l’anno, corredate da splendide,
profonde ed esaurienti spiegazioni. Ho comprato l’opera in otto
volumi perché volevo sapere tutto e di più della parola di Dio,
senza trascurare niente, ma quel "fate questo in memoria di me",
non essendo ripetuto ogni giorno, non mi aveva mai colpito come
quella mattina, in una chiesa semideserta, con un sacerdote che aveva
fretta di arrivare alla fine. Aveva una voce forte e chiara, questo
si, e tutta la messa le formule le ha pronunciate ad alta voce,
scandendo le parole, perché le ascoltassimo e ci unissimo alla sua
preghiera.
" Fate
questo in memoria di me". Mi sono girata e guardata intorno. La
chiesa era grande, ogni banco una persona, a destra e a sinistra,
ugualmente distanti tra loro, fatta eccezione di due suore e di noi
due che eravamo inginocchiati vicini. Spezzarsi e donarsi, soffrire e
morire per gli altri, per chi ci aveva messo vicino; questo voleva
dire: "Fate questo in memoria di me".
Ho ringraziato
il Signore perché ci aveva concesso di capire quanto fosse
importante eliminare le distanze, specie quando si prega, l’ho
benedetto per il desiderio che ha messo in noi di essere segno di
un’unità a cui ci aveva chiamati a rispondere. L’ho detto a
Gianni alla fine della Messa, e insieme abbiamo ricordato, quando la
domenica o nella preghiera del gruppo ci mettevamo lontani, o anche
durante il pranzo o durante le feste con i parenti o gli amici,
ognuno cercando altrove ciò che naturalmente gli era stato messo
vicino.
Abbiamo
ricordato quante volte la presenza dell’uno infastidiva l’altro,
impegnato a fare un solitario o a parlare con l’amica di turno.
L’amico è colui davanti al quale puoi pensare ad alta voce. Chi
era l’amico o l’amica a cui potevamo dire tutto o proprio tutto
di noi?
Se non avessimo
incontrato il Signore, se non ci fossimo imbattuti come i discepoli
di Emmaus nel maestro che spiega il passato alla luce del presente
radioso della sua resurrezione, sicuramente avremmo visto la distanza
che ci separava diventare abissale. L’abisso lo ha colmato Gesù
venendo incontro al nostro desiderio di incontrarlo per vedere se
anche noi con Lui potevamo risorgere, attingendo alla sua acqua..
Canto: Gesù
e la samaritana (CD "Nelle tue mani" – 6)
L’Antico
Testamento, fino a quel momento incomprensibile, si è colorato di
una luce nuova e ci ha comunicato ciò a cui inconsciamente ognuno
dei due tendeva, ma che non sapevamo avere così a potata di mano.
Le parole della
Genesi riguardo alla creazione dell’uomo vorremmo ricordarle anche
a voi e da quelle trarre spunto per riflettere sull’unità dalla
quale abbiamo preso origine e alla quale siamo chiamati a ritornare.
La Bibbia si
apre con l’immagine dell’uomo maschio e femmina da cui Dio separa
Adamo ed Eva, la coppia, alla quale consegna il compito di mettere in
circolo l’amore, e si chiude con l’Apocalisse dove lo Sposo Gesù
e la Chiesa sua sposa si incontrano e si uniscono nelle nozze
escatologiche a cui Dio chiama l’intera umanità, grazie a
quell’amore messo in circolo con l’aiuto dello Spirito Santo.
Il linguaggio
della Bibbia è un linguaggio sponsale dall’inizio alla fine, e
l’istituzione dell’Eucarestia è il segno tangibile che Dio fa
sul serio e desidera che l’uomo sia disponibile a fare ciò che
Gesù ha fatto, a farlo in memoria di Lui. Allora le parole della
consacrazione non sono più quelle che interpella no il sacerdote e
lo chiamano a celebrare e rinnovare il sacrificio, ma quelle che ci
interpellano tutti, a spendere e offrire il nostro corpo al compagno
allo sposo, al fratello alla chiesa che Dio ci ha chiamati ad amare,
il corpo con il quale ci ha chiamato a rispondere.
La sacra
particola è il corpo di Cristo che servirà ad ogni uomo per rendere
possibile il miracolo che si comunichi l’amore attraverso la
diversità dell’essere maschio e femmina, giovane e vecchio, ricco
o povero, colto o ignorante.
Che cosa
stupenda è questo progetto che Dio ha sull’uomo, che ama più di
ogni umana creatura tutti, indistintamente, indipendentemente se
siano buoni o cattivi. La parabola del padre misericordioso, che
prima chiamavamo la parabola del figliol prodigo, ci parla proprio
dell’amore senza misura di un padre che aspetta che il figlio
ritorni e che non lo sgrida quando questo accade, ma gli mette la
veste più bella e fa festa perché finalmente è tornato ad abitare
nella sua casa. Che tristezza vedere che il fratello maggiore se la
prende e non gode della clemenza del padre, dando per scontato che
sia cattivo e intransigente come lui sarebbe se fosse al posto suo.La
verità è che noi facciamo Dio a nostra immagine e somiglianza e ci
riesce difficile pensarlo diverso da noi. E dire che Lui ci ha fatto
ad immagine e somiglianza sua, vale a dire il contrario.
Perciò, dopo
tante parole spese per farsi conoscere, attraverso la creazione,
attraverso la storia (quella d’Israele in particolare, narrata
nella Bibbia, che è chiamata Parola di Dio), si è deciso a scendere
tra di noi, dando un corpo alla parola, perché ci mettessimo in
relazione con ciò che abbiamo e che cade sotto i nostri occhi, il
corpo, lo strumento indispensabile perché noi uomini, non angeli,
posiamo comunicare.
Nel corpo di
Cristo noi incontriamo Dio, quando facciamo la Comunione, ma lo
incontriamo ugualmente nei fratelli, il corpo che ci ha lasciato per
fare comunione con lui, amandoli come lui ci ama.
Spesso penso a
Giovanni, il profeta che Dio ci ha mandato a domicilio, che più
diventa autonomo più dà per scontate le cose. Ricordo, quando
bussava alla porta, si catapultava nelle nostre braccia e ci baciava
senza che noi gli dicessimo niente. Adesso, quando arriva dal nido,
affamato bussa e chiede la pappa e ci cerca per vedere soddisfatte le
sue aspettative, ma quando la sera i genitori tornano dal lavoro
spicca la corsa e se ne va a casa sua, spesso dimenticando di dire
anche un semplice ciao. Gianni ed io ci siamo detti di non
promettergli regali in cambio di baci e di comunicargli, anche quando
si dimentica di salutarci l’amore che nutriamo per lui,
richiamandolo dentro la nostra casa per dargli quel bacio che, non
lui, ma noi desideriamo dargli, nonostante tutto.
La nostra
storia, come quella di tanti che hanno incontrato il Signore e vivono
nella sua casa è proprio questa: vivere come se tutto ci fosse
dovuto, pronti a chiedere al mattino ciò di cui sentiamo il bisogno,
ma lenti e pigri la sera a ringraziarlo per quello che ci ha dato e
di cui spesso non ci accorgiamo neanche.
Dio ci ha dato
un compito, il corpo, l’ho letto da qualche parte e mai abbiamo
sentito quanto difficile sia sentirsi corpo di Cristo, essere corpo
di Cristo, vedere nell’altro il suo corpo, essere eucaristia l’uno
per l’altro.
Quando vennero
quelli della missione a parlarmi dello Spirito Santo gli risposi che
non perdessero tempo, perché io l’avevo tutto consumato a cercarne
uno di Dio, e che non volevo complicarmi la vita. Uno bastava e
avanzava, dissi ad Annamaria e Graziellina.
Gianni, che è
meno complicato di me, tutte questi ragionamenti non era abituato a
farli e a lui bastò cercare la fonte della luce che aveva illuminato
il mio viso quando cominciai a farmi aspettare, per andare alla
preghiera, la sera del martedì, mentre lui inseguiva sullo schermo
le immagini vuote a cui uno stanco telecomando non riuscivano a dare
vita. Una vita lo avevo aspettato, era giusto che aspettasse anche
lui, finalmente era arrivato il tempo di render pan per focaccia,
perché avevo incontrato lo Spirito.
C’è da
chiedersi che Spirito avevo incontrato se l’effetto era quello di
lasciare solo il marito e di goderci e di commiserarlo, perché lui
non c’era riuscito. Ricordo, quando gli fu affidato il compito di
restaurare una chiesa, anni addietro e usciva tutte le mattine
all’alba per seguire i lavori e ne approfittava per entrare nella
cappella e farci una preghiera.
Io lo invidiavo
e mi dicevo che io non potevo permettermelo perché di mestiere
facevo l’insegnante e non la restauratrice di chiese. e non potevo
neanche farci capolino per via della mia incapacità a adattarmi a
qualsiasi appoggio che non fosse la sedia o il letto di casa mia.
Ma il Signore
era pronto a smentirmi, chiamando noi insieme a restaurare la casa,
la nostra casa, la piccola Chiesa domestica dove voleva venire ad
abitare.
Ricordo allora
che condividemmo le tensioni di un lavoro non facile alle prese con
operai che scomparivano proprio quando ce n’era più bisogno e con
i desiderata di un convento con tante teste. Della preghiera parlammo
poco, ma ricordo che la cosa m’incuriosiva e in fondo lo invidiavo
per quella fede semplice che io non riuscivo a trovare.
Poi il
desiderio di andare in Chiesa divenne un’esigenza comune, ma
rimanevamo ancora distanti e soli con il nostro Dio personale che
facevamo fatica a condividere. Era come pretendere che passasse la
corrente attraverso dei fili spezzati.
Canto: Ad
una voce (CD "Ad una voce" – 3)
E’ strano
come le coppie si trovino a condividere tutto, dalle cose più banali
e non belle a quelle più importanti, ma hanno difficoltà a
condividere ciò che li farebbe volare, lo Spirito Santo che invocato
insieme ogni giorno renderebbe piane le vie più scoscese e farebbe
sentire vicini anche quando a dividerli c’è un oceano. All’inizio
questo non lo capimmo e eravamo contenti del fatto che il Signore ci
concedesse la grazia di perdonare l’altro e di non tenere il muso,
salvo poi, quando la misura diventava colma riprendere tutto ciò che
ci eravamo lasciati alle spalle. Facevamo come quei creditori che
abbonano il debito ma non trascurano occasione per ricordartelo. La
memoria delle offese ricevute è il più grande ostacolo all’ingresso
della misericordia di Dio.
Dicevo della
nostra difficoltà a condividere Dio ad unirci nella preghiera,
perché non riuscivamo a perdonare e a perdonarci per quello che
avremmo voluto essere e che non eravamo.
L’invito a
pregare insieme per una coppia in difficoltà, rivoltoci in occasione
di un incontro pastorale per la Famiglia, fu lo stimolo a cambiare
abitudine.Se fino a quel momento eravamo convinti che saremmo stati
migliori se l’altro fosse stato migliore, pian piano ci accorgemmo
che di fronte a Dio non c’erano migliori o peggiori, essendo tutti
figli e fratelli in Gesù. Il Padre nostro, recitato a fatica,
masticato, almeno le prime volte, ci ha introdotti nell’amore del
Padre che guarda i suoi figli con lo stesso occhio benevolo e che non
ha badato a spese perché ce ne convincessimo.
Gesù insieme
con noi insegnandocela, pronuncia le parole che più ci coinvolgono:
"Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri
debitori"Ricordo il brivido freddo che mi attraversava le ossa
quando le pronunciavo, pensando di essere sola, dimenticando che Gesù
era venuto a donarci lo Spirito per rendere possibile ciò che
umanamente è impossibile: amare come lui ci ha amati. E il miracolo
pian piano lo stiamo vedendo, ogni volta che ci mettiamo insieme a
pregare. Come possiamo farlo se non ci siamo perdonati a vicenda?
Come possiamo avvicinarci al sacro banchetto se non abbiamo aperto il
cuore all’altro, permettendogli di vedere e toccare le nostre
ferite e di farci guardare e curare da tutti quelli che mangiano lo
stesso pane e si dissetano alla stessa sorgente?.
Il segno di una
comunità unita nell’amore, il segno che il Corpo di Cristo non è
disgregato è in quel pregare vicini, fianco a fianco, sia che
l’Eucarestia la si celebri in Chiesa alle sette di mattina, sia che
la si consumi in casa alla mensa comune o nel talamo.nuziale. Gesù è
venuto a mostrarci come si fa, non solo quando ha scelto una
mangiatoia o una stalla per farsi adorare, ma soprattutto quando si è
tolto le vesti e ha indossato il grembiule per lavarci i piedi, che
presuppone uno stare più vicini di quanto umanamente siamo in grado
di sopportare, sia che li laviamo sia che ce li lasciamo lavare, i
piedi, s’intende.
Chiediamo al
Signore che ci dia l’umiltà e la perseveranza per fare tutto
questo, che è poi la strada maestra per la Santità.
Con questo
augurio vi lascio, e vi do appuntamento alla prossima settimana,
speriamo insieme a Gianni in carne ed ossa.
Dagli studi di
Radio Speranza abbiamo trasmesso "Famiglia oggi: Riflessioni di
coppia".
Canto: Dio
ha tanto amato il mondo (CD – "Risorto per amore" 10)
28 febbraio
2005
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