martedì 29 agosto 2006

15 Famiglia oggi:riflessioni di coppia



Rubrica radiofonica a cura di Gianni e Antonietta


Canto: Dio ha tanto amato il mondo (CD – "Risorto per amore" 10)




Benvenuti all’ascolto di questa trasmissione, cari amici.


Dagli studi di Radio Speranza vi salutano Gianni e Antonietta.


Un’altra settimana è trascorsa, speriamo non invano. Noi ce la stiamo mettendo tutta per non trascurare le occasioni che il Signore ci mette davanti, per ricordarci che non ci lascia soli, che vigila sulle nostre azioni e non permette che siamo oberati dalla fatica più di quanta ne possiamo sopportare. E’ stata, quella passata, una settimana molto piena di impegni da fronteggiare, da assolvere, non ultimi, l’incontro con le coppie di fidanzati, sabato sera e questo appuntamento con voi il lunedì, che presuppongono calma, serenità, accordo tra noi due e tanta preghiera, perché ciò che andiamo a dire corrisponda a ciò che pensiamo e che ci sforziamo di fare.


A differenza dello scorso anno, quando, da questi microfoni commentavo "Il gioco dell’oca", il libro che avevo scritto sul percorso lungo e difficile che mi aveva portato a piegare le ginocchia davanti al Signore, quest’anno non abbiamo nulla davanti se non la nostra esperienza quotidiana con la croce dalla quale aspettiamo con fede di risorgere ogni volta con Gesù, che ci ha indicato la strada, un’esperienza indispensabile per rinvigorire la speranza e comunicarla anche a voi.


A volte il presente è offuscato dalla paura di non farcela, dal desiderio di strafare, puntando solo sulle nostre forze. La memoria del passato, in queste occasioni è la migliore maestra di come porci di fronte all’incognita di un futuro che si illumina, man mano che diciamo di sì, affidando al Signore i nostri strumenti imperfetti.



Così il tema di riflessione questa settimana non abbiamo dovuto cercarlo altrove, perché ce lo ha proposto padre Clemente, dandoci la traccia da seguire nell’incontro con i fidanzati che si preparano al celebrare il Sacramento del matrimonio. "La comunicazione con e senza Cristo" è ciò di cui dobbiamo parlare, partendo dal nostro vissuto. Nelle trasmissioni precedenti, sicuramente abbiamo fatto cenno alla nostra storia passata, ma mai in modo ordinato e tale da rendere chiaro quanto sia stato determinante nel nostro rapporto di coppia, l’incontro con Gesù. Per questo oggi vogliamo far finta di trovarci di fronte ai giovani che si accingono a sposarsi, proprio come abbiamo fatto sabato scorso e vogliamo, attraverso il nostro metterci a nudo, portarvi a riflettere su cosa significhi e cosa comporti l’amore, principio e fine di ogni comunicazione.


Infatti non è un controsenso partire da questa parola, che è il denominatore comune di ogni relazione che non vuol sfociare in un conflitto.



Il mondo non sa cosa significhi amare, perché ha dimenticato il significato delle parole, pur se.il termine "amore" permea la società umana, sia nella storia, sia nel presente. Diciamo: " Amo il nuoto, come amo mia madre o amo la pizza o il mio cane" Come se ciò non bastasse, impieghiamo la parola amore anche per spiegare certi comportamenti, come l’adulterio alla base del quale c’è sempre l’amore per qualcun altro che non sia il proprio partner.


Per questo a ragione Padre Clemente dà inizio al corso partendo dall’inno alla carità di San Paolo.


Cosa giovani e meno giovani devono sapere sulla carità? E’ cosa che li interessa, li interpella, li provoca? Ebbene sì, abbiamo convenuto, dopo un primo momento di smarrimento che ha ragione, perché la carità non è altro che l’amore che si richiede ad ogni cristiano che si sposi in chiesa.


Il Cristianesimo basa la sua fede su una persona: Gesù Cristo, che è venuto a testimoniare al mondo l’amore gratuito e totale. Quando San Paolo fa riferimento alla carità, non fa che ricordare questo: al vecchio comandamento "ama il prossimo tuo come te stesso", Gesù sostituisce il nuovo: "Amatevi come io vi ho amato", venendo di persona a dirci come si fa. Dove trovare in natura qualcosa che gli assomigli? In cioò che attrae la coppia e la spinge a unirsi per sempre.


Ci si sposa perchè ci si sente attratti, spinti ad amare l’altro naturalmente. Ma quando l’altro non è più amabile, quando non ci ama più, o non come noi vorremmo, quando non si sta più bene insieme, come si può fare a mantenere fede alle promesse? Come un amore umano può trasformarsi in amore divino?"Amatevi come io vi ho amato": è una parola! Ci sono situazioni che sembrano irrecuperabili, matrimoni che diventano polveriere.



"La sicurezza più salda di un bambino consiste nel sapere che i suoi genitori si amano l’un l’altro. Questo è ancor più importante del loro amore per lui. Egli si sente sicuro di far parte di un rapporto forte e gratificante ed è certo che non verrà mai abbandonato… Le sole persone che realmente sanno come esprimere l’amore sono quelle che hanno visto come si esprimeva l’amore. Un bambino conosce i suoi genitori più intimamente e nel modo più giusto di chiunque altro nella sua vita. Perciò quello che esprimerà sull’amore dipenderà da suo osservarli giorno dopo giorno." Leggiamo in Petersen.


Ecco cosa ci entra Cristo in un discorso sulla comunicazione, perché solo se gli sposi sanno guardare a Lui, imparano come si ama e come si comunica l’amore.


Quando ci siamo sposati tutte queste sottigliezze, se così le vogliamo chiamare, non c’erano, perché nella cultura di quei tempi esisteva solo il matrimonio indissolubile e il concubinato. Nelle nostre famiglie abbiamo respirato i valori che poi abbiamo visti rispettati dalla società in cui da grandi siamo stati catapultati.


Il sì è per sempre, ti piaccia o non ti piaccia, questo è tutto quello che sapevamo sull’amore eterno.


Sul nostro non avevamo dubbi, perché non sapevamo neanche immaginare che sarebbe stato diverso, dal momento che non potevamo fare a meno l’uno dell’altro; del resto non c’erano corsi che potessero metterci sull’avviso.


Poi è successo anche a noi, il fatto di entrare nella routine, nella noia, nell’insoddisfazione senza neanche poterne parlare perché ti sembrava un sacrilegio. Ci siamo sposati per amore, per vivere insieme tutta la vita, ma insieme cosa?. Qui sta il problema. Vivere sotto lo stesso tetto gioie e dolori, salute e malattia, tutti i giorni della vita, fianco a fianco. Lo sapevamo, e la crisi non è venuta tanto quando Antonietta è rimasta incinta di Franco, quando sono cominciati i primi problemi di salute, né quando sono diventati ingestibili, perché eravamo occupati a togliere acqua dalla barca e a provvedere a che non ne imbarcasse tanta da vederci affondare.


Entrambi abbiamo pensato a ciò che era giusto fare, ma da soli, ogni giorno impegnati a fare le stesse cose, a pensare le stesse cose, ma mai a condividerle, per paura che la falla diventasse più grande.




Abbiamo coltivato il silenzio, quello sì; ma lo spazio sacro, quello che avrebbe permesso al nostro amore di respirare, il polmone a cui non abbiamo dato aria, con la gioia e il dolore condivisi, con la salute e la malattia non vissuti da soli, si è ridotto sempre di più fino a scomparire del tutto, quando i problemi sono diminuiti o ci abbiamo fatto il callo, tanto erano diventati di casa.


Allora ci siamo accorti che, quando ci si sposa, è necessario avere un progetto comune, che duri nel tempo, per il quale si è disposti anche a soffrire e a morire.


Qual era il nostro progetto comune? E pensare che avevamo preso un tappeto persiano, pagandolo a rate, così ogni mese dovevamo metterci d’accordo per far quadrare il bilancio e assolvere all’impegno che ci eravamo dato. Ben otto milioni ci costò, ma il Signore aveva in serbo per noi una sorpresa. Il tappeto di persiano aveva solo il nome, perché c’erano sparse, disseminate e confuse tra i fiori, delle stelle a cinque punte, e ai bordi una scritta in caratteri a noi sconosciuti. Ci venne la curiosità di chiedere cosa significassero quei simboli e quelle parole e scoprimmo che la stella a cinque punte è quella di Davide e che dietro quei caratteri indecifrabili c’era il nome " Gerusalemme".Ci rallegrammo, quando il perito ci comunicò che il tappeto valeva tre volte il prezzo che l’avevamo pagato, non sapendo che investire in Gerusalemme, nella città di Dio vale infinitamente di più. Il Signore, come un ladro maldestro, aveva lasciato come sempre succede, tracce del suo passaggio nella nostra storia imperfetta di uomini. Bastava conoscere il Suo linguaggio.


Se ci avessero chiesto perché vi sposate, quando decidemmo di farlo, avremmo guardato gli interlocutori come marziani: perché, non si vedeva che ci amavamo? e che volevamo le condizioni più idonee per continuare a farlo per tutta la vita?


Ma poi i nostri silenzi cominciarono a diventare sempre più lunghi, le attese sempre più estenuanti, e abbiamo finito per chiederci che senso avesse continuare a stare insieme, se non c’era cosa che potessimo fare insieme ad eccezione dei viaggi per andare dal medico, quelli sì, ma con un’insofferenza che non potevamo più mascherare..


Poi la svolta,. quando un giorno decisi di farmi aspettare da Gianni, io che da una vita aspettavo che qualcuno mi aprisse la porta, quella vera, quella del cuore, che non fosse la porta dello studio di un medico o quella di un ospedale, io che ero stufa di aspettare che Gianni tornasse, che Gianni capisse, che sorridesse, che smettesse di essere triste e cominciasse a parlare. Alle sette era aperta solo la chiesa, la mia chiesa, la nostra chiesa, che non sapevo neanche esistesse così vicino a casa nostra. Quando sono entrata non sapevo cosa vi avrei trovato, ma so con certezza cosa cercavo: una parola che squarciasse il silenzio nel quale e dal quale mi sentivo seppellita, una parola che desse un senso a tutto quell’andare alla cieca, che mi svegliasse dal sonno, una parola che mi consolasse, che mi liberasse dai ricorrenti pensieri di morte.


"L’uomo crede di essere Dio ma non è Dio", fu la parola che mi scosse dal sonno e mi fece sollevare lo sguardo al grande crocifisso appeso dietro l’altare, un crocifisso che cominciò finalmente a parlarmi e questa volta erano parole d’amore. L’onnipotenza di Dio sta nell’onnipotenza del Suo amore; a questo cominciai a pensare.


E dire che non avevo mai osservato un crocifisso, né preso in considerazione, convinta che in casa dovesse essere esposto solo ciò che era bello a vedersi e compatibile con l’arredamento.


Franco ne teneva uno poggiato sul comodino, ma non ricordo neanche di averlo mai spolverato, e quello d’argento di mio suocero, l’unica eredità che Gianni mostrò il desiderio di condividere, non permisi che lo appendesse in casa e lui non ebbe il coraggio di contraddirmi, per via della sua abitudine a tenersi tutto per sé. Quel giorno trovai la chiave che apre tutte le porte, da quel giorno furono poche quelle che trovai chiuse.




Canto: Davanti a questo amore (CD – "Risorto per amore" 3)



Trovare la chiave non significa arrivare a destinazione, ma trovare la direzione e la luce giusta per cambiare i connotati alla tua vita


Gesù, il Verbo incarnato, la Parola che salva, è stato il medico che è venuto a curare i nostri silenzi, insegnandoci come si parla e perché si parla, cosa dire e a chi dire. Ci è venuto ad insegnare l’alfabeto dell’amore, che non ha bisogno di tante parole, quando la vita la spendi per gli altri.


Ci si sposa per amore, ci si lascia perché non ci si ama più". Ci si lascia quando non ci si capisce più, quando le parole sono pesanti come un macigno, quando si decide di mettere fine al silenzio.


Un matrimonio senza la Parola è un matrimonio destinato a fallire, è una condanna ai lavori forzati..


Quando ci si intende sulle parole, è allora che le cose si rimettono in carreggiata. Basterebbe ripartire dal dare il significato giusto a quel "Ti voglio bene", ripetuto tante volte, prima del matrimonio, pensando che stiamo dicendo "voglio il bene per te, voglio il tuo bene".


Comunicare significa amare, scendere dal piedistallo, uscire fuori dal bunker che ci siamo costruiti, mettersi sullo stesso piano dell’altro, in modo che possiamo donarci reciprocamente ciò che siamo e ciò che abbiamo.




Ma per comunicare bisogna fare silenzio e mettersi in ascolto.


Nelle pagine de "La coppia amorosa" di Leo Buscaglia leggiamo:


"Quando ti chiedo di ascoltarmi e tu cominci a darmi consigli, non fai ciò che ti chiedo.


Quando ti chiedo di ascoltarmi e tu cominci a dirmi perché non dovrei sentirmi in quel modo, calpesti le mie sensazioni.


Quando ti chiedo di ascoltarmi e tu pensi di dover fare qualcosa per risolvere i miei problemi, mi deludi, anche se può sembrare strano.


Forse per questo la preghiera funziona per molti.


Perché Dio è muto, non dà consigli, né prova ad aggiustare le cose.


Semplicemente ascolta e confida che tu risolva da solo.


Quindi ti prego, ascolta e sentimi. E se desideri parlare, aspetta qualche istante il tuo turno e ti prometto che ti ascolterò."


Il primo dovere dell’amore è saper ascoltare. E in una coppia come in famiglia, il primo dovere è proprio questo sapersi ascoltare. Non per niente il Padreterno ci ha dato ben due orecchie e una bocca sola.




Ma bisogna mettersi vicini per essere sicuri di capire bene, anzi mettersi nei panni dell’altro, come ha fatto Gesù. Gianni e io, come tanti, siamo caduti nella trappola che il nostro desiderio di donare l’amore corrispondesse alla capacità di trasmetterlo all’altro. Cosa tutt’altro che scontata, senza aver conosciuto il Maestro.


"Se dici " ti amo" in una lingua che il tuo coniuge non comprende, lui o lei non capirà affatto che tu esprimi amore..Il problema sta proprio nel fatto che parlate due linguaggi diversi. ." (leggiamo sulla copertina de "I 5 linguaggi dell’amore" di Gary Chapman).


Questo è quello che abbiamo imparato sulla nostra cronica incapacità di comunicare.


A saperlo che parlavamo lingue diverse, perché io per tutto il tempo del matrimonio non ho fatto altro che preparare a Gianni pranzetti succulenti, o comprargli vestiti, proprio come aveva fatto mia madre con noi, per via della guerra che non le aveva permesso di pensare ad altri bisogni, che non fossero quelli primari di coprirsi e di mangiare. E poi insistevo a dargli consigli, suggerimenti per superare le crisi depressive che puntualmente si ripresentavano presupponendo che avesse gli stessi strumenti di cui io disponevo per superarle, ma principalmente perché mi sarebbe piaciuto che qualcuno mi avesse dato consigli, invece di dire arrangiati!, quando proprio ne avevo bisogno.


Ci piace ricordare la metafora del serbatoio d’amore che ogni uomo deve tenere colmo per poterlo donare all’altro, vale a dire che non ci si può aspettare che l’altro ci dia ciò che non ha o che non ha mai avuto. Non possiamo riempire il serbatoio di un motorino con la stessa benzina che usiamo per le automobili, né un aereo con il carburante che fa andare le navi. Ma anche gli strumenti devono essere adeguati, per cui non tutti gli imbuti vanno bene, né tutte le pompe di carburante hanno lo stesso erogatore.


Quando ci si sposa ognuno ripone nell’altro delle aspettative e pensa che l’altro le soddisfi per il solo fatto che ama.



Ma la trappola più ricorrente è il credersi trasparenti, senza comunicare sentimenti, pensieri, emozioni, o leggere nella mente dell’altro, avendo la presunzione di conoscerlo.


Tutto questo porta all’incomprensione, che la mancanza di dialogo alimenta.


Nella società in cui ci muoviamo dialogare è sinonimo di conversare, come vediamo fare nei talk show dove tutti parlano, ma tutti rimangono delle stesse idee, compresi quelli a casa.


Si conversa, quando si parla di politica, di sport, di moda, degli altri, di argomenti che non ti toccano, che non ti coinvolgono, che non ti rimettono in discussione.


Dialogare è sinonimo di comunicare, che è tutt’altra cosa:


Dialogare è uscire dalla cella della nostra solitudine, rompendo le paure che ci bloccano, mettendo a nudo i nostri sentimenti, le nostre difficoltà, la nostra vulnerabilità.


Dialogare è incontrare l’altro, non per aggredirlo e stabilire chi ha torto o ragione, ma per instaurare un rapporto profondo con lui, accettandolo così com’è.


Dialogare è mostrare interesse, attenzione, partecipazione al mondo dell’altro.


Dialogare, infine, non è tanto renderci dei servizi, sia pure dicendo o facendo delle cose simpatiche per l’altro, ma è farci veramente presenti l’uno all’altro.Non ha fatto così Gesù?



La nostra comunicazione è cambiata da quando abbiamo cominciato a comunicare con Lui, facendo insieme una preghiera per una coppia di amici in difficoltà. Affiancati, l’abbiamo recitata tante volte quella preghiera che non è rimasta inascoltata, che ha fatto bene prima a noi, perché ci ha educato a fermarci e ad accordarci per chiedere, poi ai nostri amici che sono tornati a sorridere.


Ma il Signore, attraverso quella che è diventata una dolce e cara abitudine, ci ha portato a capire cosa dovevamo chiedergli per essere sicuri di vedere sempre esauditi i nostri desideri. Abbiamo così cominciato con insistenza a pregarlo perché ci donasse i suoi occhi e il suo cuore per guardare ed amare chi ci aveva messo vicino e solo quando abbiamo trovato il tempo per metterci di fronte e con gli occhi fissi a Lui, abbiamo trovato le parole giuste per comunicarci l’amore. 



Canto: Canto: Dio ha tanto amato il mondo (CD – "Risorto per amore" 10)




1 commento:

anonimo ha detto...

Grazie, solo grazie per la tua catechesi sul matrimonio. Ti leggo con avidità e mi ritrovo nella tua esperienza e prego Gesu' di farmi trovare il modo di "dialogare", di suscitare anche in chi mi sta accanto lo stesso desiderio di condividere il mio amore per Cristo. Il resto verrà da sè.