lunedì 14 agosto 2006

12 Famiglia oggi:riflessioni di coppia







Rubrica radiofonica a cura di Gianni e Antonietta 



Canto: Cristo è risorto veramente (CD – “Risorto per amore” 1)



Dagli studi di Radio Speranza vi salutano Antonietta e Gianni. Benvenuti, cari amici, a questo appuntamento che non so a voi, ma a noi giova moltissimo, non fosse altro perché ci induce a sederci vicino, rubando il tempo anche al sonno, e a riflettere insieme su quanto andremo a dirvi. Così il tempo per coltivare lo spazio sacro, il nostro territorio comune, non facciamo fatica a trovarlo, perché c’è Qualcuno che provvede a metterci davanti le occasioni per crescere insieme. Mentre ci accingevamo, questa settimana, a preparare la trasmissione, ci siamo ritrovati a chiederci cosa ancora potevamo dirvi di nuovo, come avremmo potuto essere lampada ai vostri passi se faticavamo noi a vederla la luce. Ma è venuta la parola di Dio a scuoterci, quella che dice: ” Si porta forse la lampada per metterla sotto il moggio o sotto il letto? O non piuttosto per metterla sul lucerniere? Non c’è nulla, infatti, di nascosto che non debba esser manifestato e nulla di segreto che non debba essere messo in luce”Allora ci siamo ricordati il proposito che avevamo fatto, all’inizio di questi incontri, dopo avervi letto “La Metafora della famiglia”



 “Da Gerusalemme la famiglia scendeva verso Gerico, nella pianura del gran lago salato, sotto il livello del mare. Scendeva per le vie tortuose e impervie della Storia quando, ad una svolta della strada, incontrò i Tempi Moderni. Non erano di natura loro briganti, non peggio di tanti altri tempi, ma si accanirono subito contro la famiglia, non trovando di loro gradimento la sua pace, che rispecchiava ancora la luce della città di Dio.

Le rubarono prima di tutto la fede, che bene o male aveva conservato fino a quel momento come un fuoco acceso sotto la cenere dei secoli. Poi la spogliarono dell’unità e della fedeltà, della gioia dei figli e di ogni fecondità generosa. Le tolsero infine la serenità del colloquio domestico, la solidarietà con il vicinato e l’ospitalità sacra per i viandanti e per i dispersi.

La lasciarono così semiviva sull’orlo della strada e se ne andarono a banchettare con il Materialismo, l’Individualismo, l’Edonismo, il Consumismo, ridendo tutti assieme della sorte sventurata della famiglia.

Passò per quella strada un sociologo, vide la famiglia sull’orlo della strada, la studiò a lungo e disse: ”Ormai è morta”. Le venne accanto uno psicologo e sentenziò: "L’istituzione familiare era oppressiva. Meglio che sia finita!”

La trovò infine un prete e si mise a sgridarla: ”Perché non hai resistito ai ladroni?Dovresti combattere di più. Eri forse d’accordo con chi ti calpestava?”

Passò, poco dopo, il Signore, ne ebbe compassione e si chinò su di lei a curarne le ferite, versandovi sopra l’olio della sua tenerezza e l’olio del suo amore. Poi, caricatala sulle spalle, la portò alla Chiesa e gliela affidò, dicendo: ”Ho già pagato per lei tutto quello che c’era da pagare. L’ho comprata con il mio sangue e voglio farne la mia prima piccola sposa. Non lasciarla più sola sulla strada in balia dei Tempi. Ristorala con la mia Parola e con il mio Pane. A1 mio ritorno vi chiederò conto di lei.”

Quando si riebbe, la famiglia ricordò il volto del Signore chino su di lei. Assaporò la gioia di quell’amore e si chiese: ”Come ricambierò per la salvezza che mi è stata donata?”

Guarita dalle sue divisioni, dalla sua solitudine egoista, si propose di tornare per le strade del mondo a guarire le ferite del mondo. Si sarebbe essa pure fermata accanto a tutti i malcapitati della vita per assisterli e dire loro che c’è sempre un Amore vicino a chi soffre, a chi è solo, a chi è disprezzato, a chi si disprezza da se stesso avendo dilapidato tutta la propria umana dignità.

Alla finestra della sua casa avrebbe messo una lampada e l’avrebbe tenuta sempre accesa, come segno per gli sbandati della notte. La sua porta sarebbe rimasta sempre aperta, per gli amici e per gli sconosciuti: perché chiunque - affamato, assetato, stanco, disperso - potesse entrare e riposare, sedendo alla piccola mensa della fraternità universale “”



Una bella storia, non c’è che dire.

Volevamo essere quella famiglia che il Signore ha guarito e che alla finestra si sarebbe sforzata di tenere sempre accesa la lampada come segno per gli sbandati della notte.

Abbiamo pensato che la luce, quando non sta davanti, la dobbiamo cercare dentro, nella memoria di quante cose il Signore ha fatto per noi, e che ci dà la certezza che non ci lascia soli, e che come la madre aspetta con le braccia spalancate il suo bambino che fa i primi passi, così Lui, non distraendosi neanche un attimo, ci apre le braccia, specialmente quando non riusciamo a camminare da soli.



Il Signore continua a donarci la sua tenerezza, il suo appoggio, la sua stima, la sua fiducia in quello che noi possiamo dargli, anche quando è molto poco. Lui si accontenta e trasforma un piccolo gesto di buona volontà in un miracolo che ci chiama a contemplare, un miracolo che ci fa stupire.  Ci è servito ricordare ciò che, lo scorso anno, di questi tempi, ci ha aiutato a superare un brutto momento.

Così scriveva Antonietta sul suo diario, i primi di febbraio del 2004:



“” In questi giorni Gianni ed io abbiamo avuto modo di sperimentare quanto sia importante non perdere la speranza, quanto conti stare saldamente attaccati alla roccia, per non essere travolti dalla furia del vento, attraverso le piccole e grandi prove a cui il Signore ci ha chiamati, come la malattia dei miei anziani genitori, il ricovero in ospedale di mio padre e poi quello di Giovanni, il più grande e il più piccolo, vittime innocenti dell’influenza che si è accanita sui più deboli e bisognosi di cure.

Ancora una volta abbiamo toccato con mano come la famiglia, sia un valore imprescindibile in questa società, dove i rapporti sono regolati dal dare e dall’avere, dove il privilegio di pochi schiaccia ed umilia il bisogno di molti, dove la persona è rispettata per quello che sembra e non per quello che è.

Quando la molla dell’agire non è il proprio tornaconto, quando le parole non sono per esaltare il proprio operato, quando la luce che guida i nostri passi è la luce di Cristo, quando la verità non ha mille facce

, ma si poggia su una parola, la Parola che salva, il Verbo incarnato morto e risorto per noi, cosa può farci paura?

Così abbiamo assistito ai miracoli che compie l’amore, mobilitandoci tutti per soccorrere chi aveva più bisogno, pur non essendo nessuno stato risparmiato dal male, come nessuno ha presentato il conto dell’energia, del tempo e del denaro speso perché la famiglia uscisse indenne dalla bufera, affidando al Signore la guida della barca in preda ai marosi.

Due luci, due piccole e timide fiammelle hanno accompagnato la nostra preghiera, mia e di Gianni, due candele accese nel momento del bisogno, che don Gino ci aveva dato il giorno della Candelora.Non avevamo mai saputo che farcene di quelle candele, fino a quando qualcuno ci ha detto che si accendono, quando arrivano i temporali.

E che temporale è arrivato! Ma quanta luce quelle candele hanno sprigionato!

E’ bello camminare insieme, anche al buio, se in mano stringi una piccola candela, quella che serve per non mettere i piedi in fallo e illuminare solo il pezzo di strada che ti sta davanti.””



Canto: Abbà Padre (ascoltami) (MC – “Vittoria” A-2)



Camminare insieme, ecco la chiave perché il matrimonio non diventi una tomba, ma il trampolino di lancio per cambiare il volto alle cose.

All’inizio di tutti gli incontri con i fidanzati, che accompagniamo per la preparazione al Sacramento del matrimonio siamo soliti rivolgere loro questa domanda, la cui risposta sembra scontata, ma che scontata non è. “Perché vi sposate, cosa vi spinge a fare un passo così impegnativo?” “ Perché stiamo bene insieme, perché lui, lei mi capisce, per essere felici.” Anche noi avremmo risposto la stessa cosa, se ce lo avessero chiesto 34 anni fa. Ma il dopo sembra appartenere agli altri, quello fatto di delusione, di noia, di felicità che si cerca al di fuori della famiglia, frequentando amici con cui parlare e divertirsi, coltivando hobby solitari o condivisi con altri che non siano il proprio partner ecc. ecc.

.

Così si vedono coppie che non sopravvivono neanche al viaggio di nozze, la prima prova del fuoco per imparare a stare insieme. Quello stare insieme che prima sembrava il paradiso diventa un inferno, quando ci sei costretto per tutta la vita. Poi c’è qualcuno che si consola mettendosi in casa degli animali, quando non arrivano i figli o quando non si è disposti ad accoglierli, perché troppo impegnativi e fanno troppe domande. L’ultima inchiesta di Natale ha rivelato che nelle case degli italiani i cani e i gatti sono più numerosi dei bambini. Perché danno lo stesso affetto dei figli, dicevano le risposte del sondaggio.

“Prometto di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita”, è ciò che gli sposi si dicono il giorno del matrimonio, e non c’è dubbio che non ne siano convinti, quando sono innamorati e non possono fare a meno l’uno dell’altro. Ma come dicevamo la volta scorsa, viviamo in una società dove il significato alle parole lo danno i mass media che mistificano tutto per portare acqua al loro mulino.



Ci è capitata per caso tra le mani una rivista di alta tiratura, datata 10 gennaio. Sulla copertina dorata, propria per i numeri speciali, da collezione, risaltano alcune delle 250 foto di vip più o meno vestiti, con o senza partner di turno, annunciate all’interno insieme all’oroscopo per l’anno che viene. Mi sembra giusto che al bilancio segua il preventivo perché non ci si trovi impreparati a qualche evento che possa turbare la consueta routine, il balletto degli amori e degli umori dei volti noti dei giornali e della televisione. Ci siamo chiesti come sarà la copertina del prossimo anno, se la patinatura potrà coprire la tragedia dipinta sui volti dei pochi sopravvissuti allo zumami, se lo scempio del paesaggio di quelle terre incantate e sognate dai patiti dei viaggi e delle vacanze, potrà operare il miracolo di cambiare la posizione dell’obiettivo e fotografare quello che conta e che ci ostiniamo a negare.



Ecco il filo conduttore di tutte le foto era l’amore, sbocciato, coltivato, come si suole oggi fare, nelle convivenze che non t’impegnano, coronato con tanto di festa, di champagne e fotografi che nelle foto di gruppo non possono prescindere da quella che fa tenerezza del figlio ancora piccolo, nato dalla precedente relazione e chi ne ha più ne metta. E’ inutile raccontare ciò che ognuno è abituato a vedere, senza scandalizzarsi più di tanto, se no fai la figura del retrogrado, di chi non è al passo con i tempi e finisci per essere deriso. Dovevamo fare un corso ai fidanzati per riflettere meglio su cosa significhi amare e onorare, noi che pensavamo di averle capite queste cose, da tempo; ma non è mai tardi per imparare.



Dobbiamo ringraziare padre Clemente che ci ha invitati a partire dall’Inno alla carità di S. Paolo. (1 Cor. 13) che recita così:

“” Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna. E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, e non avessi la carità, non sono nulla. E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per essere bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova.

La carità è paziente, è benigna la carità; non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine.””



Lo dicevamo la volta scorsa: viviamo in un mondo senza parole, in un mondo dove la parola non suscita più nessuna emozione, nessun sentimento che ti interroghi, che ti cambi, che ti impegni. E’ necessario che consultiamo il vocabolario per essere certi che non si parli a sproposito, quando a delle giovani coppie si sottopone l’Inno alla carità di S. Paolo.

Se ce l’avessero proposto, anche noi avremmo pensato che si stavano sbagliando e che noi volevamo sposarci,  non pronunciare i voti perpetui.

Invece ci siamo dovuti ricredere perché questo tipo di amore, la carità, per intenderci, è il fondamento da cui partire per capire tutto il resto, per entrare nel mistero dell’amore umano che affonda le sue radici nel mistero trinitario, nel mistero dell’amore di Dio.



L’amore a cui ci chiama il matrimonio cristiano è quello di cui parla S. Paolo, quello che tutto copre, tutto sopporta, l’amore che ha come scopo quello di far crescere e diventare bello l’altro, facendo sì che prenda forma e diventi persona.

L’amore a cui si allude è l’amore oblativo, quello che non si manifesta solo nelle grandi occasioni, quello che dura una vita, perché è una scelta di vita, l’amore agapico, come lo chiamano gli addetti ai lavori, quello che ti porta a donare tutto, a perderti, a morire per l’altro, come ha fatto Gesù. 

Don Ermete non sbaglia a consigliare di incorniciarla e di metterla a capo del letto, la promessa che si fanno gli sposi il giorno del matrimonio, per non dimenticarla, per meditarla, per non disattenderla, quando cadiamo nella tentazione che dopo tutto solo alla morte non c’è rimedio e che un matrimonio dove sta scritto che è indissolubile?

Ma come tener vivo l’amore? Come trasformare un sentimento istintivo in una scelta di vita?



Ogni giorno ripetendo il nostro sì all’altro, ogni giorno accogliendolo nel nostro cuore, colmando, quando è vuoto, il suo serbatoio d’amore, con gesti di tenerezza.

Ci ha colpito, a riguardo, la storia che ci è stata raccontata di un ragazzo adolescente, disperazione di tutti i professori, che passava da una sospensione all’altra per via del suo carattere insopportabile e del suo comportamento indisciplinato.Il gesto, che ha posto fine alla sua turbolenza, è stato l’atto di clemenza di un’insegnante speciale che, invece di punirlo, ha deciso di amarlo, condonandogli il castigo, la volta che ne aveva fatta una più grossa delle altre Da quel momento la riconoscenza ha ispirato il suo agire.

Nella vita di coppia un gesto di tenerezza spesso riesce a sgombrare il cielo dalle nubi più fosche.

Questa settimana, dopo un po’ di giorni “no” in tutti i sensi, nonostante gli sforzi di non perdere la calma. Gianni e io siamo ricaduti nella tentazione di dare tutto per scontato, nella pigrizia di rimandare i discorsi e le parole per non turbare la quiete faticosamente conquistata.

Poi è arrivato un mazzo di fiori, inaspettato, dietro cui si nascondeva il volto sorridente di Gianni, che aveva deciso di smettere di essere triste. E’ stata un’emozione dolcissima. Quando non te l’aspetti il regalo è tanto più gradito e ti commuove, specie se pensi di non meritarlo. In questi ultimi tempi abbiamo discusso non poco sul dare tutto per scontato a che l’essere sposati non esime dal dovere e dal piacere di farsi regali. Che non ci siano i soldi non è un ostacolo, quando il regalo può essere un sorriso, una carezza, il tempo sottratto ad un hobby per stare con te. Si deve smettere di pensare che ognuno deve avere i suoi spazi, quando questi ignorano la solitudine e la sofferenza dell’altro o quando questi servono da tappabuchi ad un matrimonio che è diventato un colabrodo.



Non esistono regole per quanto riguarda il come e il dove incontrarsi per rimanere soli e farsi il regalo più grande: guardarsi negli occhi, ascoltarsi, ricreando quello spazio sacro, che da fidanzati non si mancava di coltivare e che, con gli anni, si è andato sempre più restringendo, a causa dei mille impegni a cui chiama la famiglia e non solo. Ma ce l’hanno ripetuto più volte, in tutti gli incontri a cui abbiamo partecipato, pagate una baby sitter, datevi un appuntamento per mettere in comune gioie e dolori, speranze e delusioni e accordare il passo per ritrovarsi all’appuntamento successivo non tanto distanti da non potervi neanche abbracciare.



Lo spazio sacro per gli sposi è l’ambiente più idoneo per far crescere e rinsaldare l’alleanza, la promessa che si sono fatti il giorno del matrimonio. Tutte queste rimarrebbero solo belle parole se non ci mettessimo l’ingrediente principale, quello che fa la differenza tra un matrimonio celebrato in comune e uno celebrato in Chiesa, quello che trasforma la bella utopia del “per sempre” in una splendida realtà fruibile. La grazia insita nel sacramento, lo Spirito Santo, è ciò che Dio dona agli sposi perché diventino una cosa sola, camminando insieme, aspettandosi, ascoltandosi, accogliendosi.Lo Spirito Santo è la marcia in più perché una storia di uomini diventi capolavoro di Dio. Solo la presa di coscienza che ci si sposa in tre e non in due può dare agli sposi la certezza di arrivare insieme felici, alla meta.





Canto: Cristo è risorto veramente (CD – “Risorto per amore” 1)



Gennaio 2005

1 commento:

anonimo ha detto...

Vi prego, attivate il servizio di Feed RSS dal pannello di controllo del vostro blog.
Anche se non l'usate tanto, però sarà immensamente utile per tutti coloro che desiderano essere sempre aggiornati sul vostro splendido blog.

Un marito e un vostro fan
cyberpanc