lunedì 24 luglio 2006

Attesa



Signore ti ringrazio perché mi doni la pazienza di attendere che la terra porti frutto, di sperare che non invano e non a caso soffia il vento e cade la pioggia, non a caso la neve scende e il gelo ricopre la terra.

Signore, tu che hai creato le stagioni, diverse l’una dall’altra, tutte ugualmente utili e belle, Tu tutte le ami, perché le hai pensate per noi, le hai fatte così perché imparassimo ad accogliere il seme della tua bocca, lo custodissimo con cura nel nostro cuore, avessimo la pazienza di attendere che germogliasse, fossimo preparati a vederlo anche soffocato da erbe cattive, non ci stupissimo che, quando proprio pensavamo fosse morto, vedessimo spuntare la vita dove mai avremmo immaginato fosse possibile.

Tu hai pensato a tutte queste cose e ci concedi di vederle e di stupire, ogni anno, quando arriva la primavera e i campi si coprono di erba fresca e tenera, quando i rami degli alberi rinnovano il loro vestito, quando i colori dell’arcobaleno si posano sui fiori appena sbocciati, unendosi alla sinfonia della natura che cresce.

Così ci prepari al grande banchetto dell’estate quando giungono a maturazione e possiamo gustare i frutti succosi a lungo aspettati.

Delle stagioni l’estate è quella in cui si miete e si raccoglie, quella che non vorremmo finisse mai, è il tempo in cui vorremmo perderci, perché non è tempo di attesa, ma tempo pieno, in cui basta allungare la mano per gustare il frutto morbido e dolce che la natura ci offre.

Delle nostre stagioni, Signore, molte a volte ci sembrano inutili, perché il sole non le riscalda, la terra è grigia, le zolle dure e compatte, gli alberi con i loro scheletri pietrificati protendono invano le braccia nel cielo grigio e pesante.

Da quel cielo, Signore, il sole non sembra passare, perché le nuvole spesse lo coprono, premendo, gravando sulla dura crosta gemente, facendogli ancora più male.

Signore, ci sono stagioni in cui gli elementi si scatenano e tutto sollevano, stagioni in cui anche quei miseri resti di vita, spogliati del loro verde mantello, travolti dalla furia degli elementi, scomposti sussultano, singhiozzano, chiedendo pietà.

Ma arriva il momento in cui tutto finisce, perché anche le bufere più grandi hanno un termine, anche il cielo più buio e ingolfato si toglie il velo, per mostrare agli occhi in attesa le meraviglie a lungo celate.

Così il sole ecco salire nel cielo, ecco le stelle spuntare nel buio, ecco l’azzurro riempire il cuore di quella natura che non aveva smesso di credere che oltre le nubi l’azzurro non era scomparso per sempre.

Così la pioggia, la grandine, il vento non sempre accettati, acquistano un senso perché sono momenti del divenire del tempo di cui tu sei il Signore, sono momenti del divenire delle tue creature, perché si trasformino come le vuoi, come le hai progettate e pensate.

Arriva il momento in cui l’uomo cessa di divenire per essere.

All’infinito un giorno potremo vedere spuntare dal grembo della madre ormai pregno, i teneri fiori dei campi, i luccicanti germogli sui turgidi nodi dei rami, il risveglio da un sonno che sembrava di morte, perché tutto si colora di luce che dona agli occhi stupiti la gioia di godere della tua grazia multiforme e infinita.

C’è un tempo per piantare, un tempo per arare, un tempo per raccogliere, ma il più lungo è quello dell’attesa, tempo di silenzio, di deserto, di desolazione, di morte.

Fa’ Signore che in esso riusciamo a percepire la vita che si prepara nelle viscere calde della natura.

Fa’ che sappiamo aspettare senza paura, fa’ che sappiamo vedere il colore nel grigio delle nostre giornate, fa che sappiamo apprezzare anche ciò che è lungo a passare, fa’ che la nostra stagione sia compimento di ciò che hai stabilito dalla notte dei tempi per ognuno di noi.

  12 luglio 2001       

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