sabato 13 maggio 2006

Quadri

Sfogliando il diario


Caro zio Remo,


ti voglio raccontare la storia di pareti, un tempo nude e fredde, quelle della mia casa, quelle che tutti possono vedere e quelle che non si vedono , perché nascoste nel cuore


Quando ci siamo sposati, Gianni e io, non avevamo nulla da appendere ai muri imbiancati di fresco, tranne una Madonna di vetro, che cadde subito, perché il chiodo era piccolo e la cornice troppo pesante.


Ce l’aveva regalata un’amica per l’occasione; ma non me ne diedi pensiero.


Durò giusto il tempo per essere rimpiazzata, al ritorno dal viaggio di nozze, con un poster in cui sfolgorava una rossa, Ferrari. L’attaccammo all’ingresso, per far capire, a chi bussava alla porta, che noi volevamo bruciare le tappe, volevamo volare, come quella splendida macchina, verso esaltanti trofei.


Poi il poster si sciupò, perché non c’erano soldi per farlo tenere un po’ in piedi, almeno con delle bacchette.


In seguito tu mi regalasti, in occasione di uno dei tanti soggiorni obbligati a Bologna, per curare ciò che nessuno riusciva e non ancora riesce a capire, un disegno grande e colorato, un disegno che un tuo amico vignettista ti aveva portato e che non sapevi dove attaccare, perché le pareti erano ormai tutte piene.


La stanza di Franco accolse quell’opera di poco valore, ma allegra, dove gente che cantava e suonava alla luna, appoggiata ai lampioni, pur se ubriaca, illudeva che la vita era bella, invitando ad annegare dimenticare, nel vino, l’affanno e la pena di dentro.


Un giorno un collega, un artista, mi fece vedere ciò di cui era capace.


Fui attratta da una xilografia in cui campeggiava lo schizzo di un uomo, attraversato da linee verdastre, che in un paesaggio spettrale, fra palazzi senza finestre, era diviso a metà da una sbarra che gli tagliava la testa.


La misi a capo del letto, perché non c’era niente e perché pensai che poteva essere il mio biglietto da visita per chi veniva a trovarmi nei lunghi, lunghissimi anni della mia solitudine antica e sofferta nel corpo e nell’anima, piagati da ferite che non si rimarginano.


Pian piano le pareti della mia casa si colorarono di tanti frammenti di vita: emozioni, ricordi, passioni di momenti che diventavano sempre più lunghi; ma nella stanza da letto quell’uomo continuava a rimanere solo


Poi conobbi un pittore persiano (a Fiuggi, ricordi?) che dipingeva cristi e madonne.


Ne comprai una, perché era bella e potevo metterla sopra al comò per farla ammirare dagli altri.


A destra del letto attaccai piccolo quadro sbiadito in cui, un uomo e una donna, smarriti, guardavano l’albero del frutto proibito, girando lo sguardo al serpente che li aveva tentati, ma non rispondevano alle mie tante domande angosciose sul perché del dolore innocente.


Passarono gli anni e tra le molte cose nascoste, ammassate in cantina, mamma ripescò uno stendardo che i nonni, forse, tenevano appeso sul letto.Era un’icona della Sacra Famiglia che, né topi, né tarli erano riusciti a corrodere. Fui l’unica che si mostrò contenta di prendere ciò che sembrava dovesse andare buttato.


Quando venne il momento, feci bloccare, tra due lastre trasparenti di vetro, la stoffa invecchiata e ingiallita di quell’immagine sacra. L’appesi in un angolo della mia casa, ormai troppo piena di quadri che contano, in attesa che mi venisse un idea, anche solo per ricavarne dei soldi.


Quando, morto il padre di Gianni, mi vidi arrivare la sua eredità, m’irritai con chi aveva scelto per noi il grande crocifisso d’argento, di cui non sapevo che farmene.Lo misi nella casa di fronte, perché non lo volevo vedere.


Fra tre settimane Franco si sposa. e andrà ad abitarvi.


Entrando nel fresco e giovane nido che accoglierà lui e la sua giovane sposa, ho notato che alle pareti mancava qualcosa, qualcosa di veramente speciale, che le illuminasse.Mi sono chiesta cosa avrebbe fatto loro piacere e ho pensato che doveva essere cosa che veniva dal cuore. Così ho staccato la bella Madonna che arredava con gusto la nostra stanza da letto e gliel’ho regalata , perché la usassero meglio di come avevamo saputo far noi.


In cambio ho voluto quel crocifisso che stava ammucchiato nel loro stanzino, per appenderlo lì dove potessi guardarlo quando, stesa sul letto, la notte non riesco a dormire.


Così la gioia del dono dipinta negli occhi di Franco e della sua sposa è anche la mia che, se da un lato sono riuscita a donare ciò da cui mai mi sarei separata, dall’altro posso riposare nell’amore di Cristo che da tanto era lì ad aspettare che a Lui volgessi lo sguardo.Voleva invitarmi da sempre a guardare la croce a cui, innocente, era stato inchiodato, mi voleva ricordare che il vuoto di pareti fredde e deserte si riempie con l’amore donato, si illumina con le braccia spalancate di un Dio che ha pagato il prezzo più alto, donando suo figlio per ognuno di noi.


Anche la Sacra Famiglia è cambiata di posto.Ora la vede chiunque bussa alla porta, e quell’uomo, solo, l’ho mandato in cantina, in attesa che un Crocifisso gli parli.Spero che una storia di pareti vuote e di quadri non ti abbia annoiato; mi auguro anzi che anche tu, tra le tante immagini attaccate ai muri della tua casa, ne trovi una da poter pregare ed amare.


 25 giugno 2001

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