domenica 29 dicembre 2013

Essere famiglia





Sfogliando il diario


Si parla tanto di famiglia, di quella che lo stato deve riconoscere, di quella che non c’è nei momenti di difficoltà e di prova, si parla di famiglia, luogo di conflitti e di contraddizioni.


La società sente l’esigenza di ripartire dalla famiglia, per ricostruire al suo interno relazioni durevoli e formative, cercando surrogati da etichettare come buoni, ignorando di fatto ciò che è buono e che sfugge all’occhio distratto e superficiale del legislatore.


La T.V., i giornali, ogni giorno ci parlano di tragedie che scoppiano inaspettate all’interno delle case, polveriere in attesa che una miccia accesa le faccia esplodere.


E’ possibile che dobbiamo inventarci qualcosa di nuovo per far funzionare la società, surrogati di famiglie che non è detto che funzionino per il fatto che sono riconosciute come tali?


Di quale famiglia l’uomo ha bisogno? Di quella formata da due omosessuali, che essendo uguali, non mettono in conto la fatica di accettare la diversità come risorsa o di quelle che chiedono garanzie allo stato, quelle che non sono loro in grado di dare con un impegno che duri tutta la vita?


Di quale famiglia l’uomo ha bisogno?La legge sull’aborto, la 194, per intenderci, è nata dall’esigenza di tutelare la salute della madre: oggi di chi si vuole tutelare la salute?


Ci occupiamo e ci preoccupiamo delle aspirazioni, dei desideri, delle esigenze delle coppie cosiddette di fatto, molto meno delle necessità dei figli nati da quei matrimoni.


La natura ci mette davanti quanto conti l’amore nel guidare le nostre scelte, come all’interno di famiglie che funzionano, non si guardi l’orologio o il dispendio di energie o di denaro, quando è in gioco la salute o il bene di uno dei suoi componenti.


L’amore gratuito lo troviamo solo all’interno della famiglia, di quello che non fa rumore, che non va sui giornali, ma trasmette serenità e sicurezza a chi da esse si lascia toccare.


Da una settimana il reparto di geriatria, ala est, dell’Ospedale Civile della mia città, è diventato il mio luogo d’osservazione e di meditazione. Non per mia scelta, perché mia madre avrei desiderato non avesse avuto bisogno di quella struttura per stare bene.


Ma l’Ospedale è luogo d’incontro, incontro con la sofferenza prima di tutto, la sofferenza dipinta sul volto dei ricoverati, quella di chi se ne fa carico, ma è luogo d’incontro con l’amore di Dio che si manifesta nelle parole gentili degli infermieri, che, nonostante la stanchezza, a fine turno, hanno ancora la forza di sorridere e di tranquillizzare con una carezza o una stretta di mano.


Il volto di Cristo sofferente l’ho visto in quello di mia madre, la sera del ricovero, quando la febbre impediva al sangue di affluire al cervello o nei lineamenti contratti di mia sorella, medico, che senza tregua si adoperava per rianimarla.


Ho contemplato il Signore in quei volti, in quella relazione d’amore che stava per rompersi agli occhi degli uomini. Io guardavo e la tenerezza e il pianto hanno cancellato ogni altro pensiero che non fosse di apertura alla grazia che Dio in quel momento mi stava donando.


Di fronte al letto di mamma, per tre giorni le mani di due anziani coniugi hanno catturato il mio sguardo, quella inerte di lei, ancora viva, nonostante i tubi e le macchine a cui era attaccata e quella di lui perennemente poggiata sopra, mano tremante e calda di un vecchio che non voleva staccarsi dalla sua sposa. Due novantenni con le mani intrecciate a dire che l’essere famiglia è questo: restare fedeli alla promessa finché morte non li separi.


Ho visto, in quei giorni, nipoti assistere i nonni, anche durante la notte, accudirli con amore, con dedizione, con delicatezza, anche se molto anziani e con la mente confusa, gli unici capaci di farli sorridere, di rasserenarli, penetrando il loro silenzio.


Ho visto persone sole, abbandonate, senza famiglia, che ne hanno trovata una in quelli che, per l’occasione, sono diventati il braccio, gli occhi, la tenerezza di Dio, essendo chiamati ad allargare la propria, mentre si trovavano ad accudire un parente, un amico o solo un compagno di stanza o un vicino di letto.


Nell’Ospedale ho contemplato il progetto di Dio sulla famiglia umana e me ne sono innamorata ancora di più, ho contemplato il progetto di Dio su tutti gli uomini, chiamati a diventare famiglia, fratelli in Cristo, figli di Dio.


Vale proprio la pena d’impegnarsi perché il Suo progetto vada a buon fine, perché i miracoli li compie solo l’amore. E quale luogo è più idoneo per farlo crescere e sviluppare?


Alla famiglia Dio ha dato il compito di renderLo visibile al mondo, quando ha creato l’uomo maschio e femmina a Sua immagine e somiglianza.


Voglio ringraziare il Signore perché ha avuto fiducia nella coppia, ritenendola capace di continuare la sua opera creatrice, attraverso l’amore gratuitamente donato.


5 novembre 2005

1 commento:

ANGELO ha detto...

Non servono LEGGI in AMORE.
Giuseppe ne FU esemplare TESTIMONE andando CONTRO-CORRENTE, PRENDENDO con SE la MADRE di un FIGLIO non SUO, facendolo SUO in quell'ATTO di AMORE E TERNO.