martedì 18 aprile 2006

Le mani

Sfogliando il diario

Ieri ho incontrato le mani di un paralitico.

Nel silenzio della preghiera pian piano hanno cominciato a parlarmi.

Erano lisce e bianche come quelle di un bimbo, che si affida a chi gli si fa compagno, guida e maestro, perché ha bisogno di chi lo porti, dove solo non è capace di andare.

Quell’uomo, con lo sguardo innocente, seduto sopra la sedia, a cui per accomodarlo non erano bastate due braccia, pregava con gli occhi sereni di chi sta in paradiso.

Le mani giacevano immobili sulle gambe colpite dal male.

Ma ad un tratto, come acqua che sgorga, dalle bocche venne fuori quel canto, che pian piano divenne torrente e poi fiume che, lento e solenne, tutto accoglie nel suo letto scavato.

Fu allora che quelle mani si sono levate, per unirsi al coro di lode che riempiva tutta la chiesa.

Un momento, poi mentre l’una ricadeva pesante, l’altra in alto rimaneva sospesa a salutare il Santo che passava tra i banchi.

Ieri, Gesù non l’ho visto nell’Ostia che il sacerdote sollevava sopra di noi, ma in quella debole mano che prendeva forza da Lui.


Nella Chiesa dove mi reco a pregare, mi hanno colpito le mani di un uomo che, per camminare, ha bisogno delle stampelle e di sua moglie alla quale si appoggia, mettendole il braccio sopra le spalle.

La donna lo sostiene, nonostante le gambe, fasciate da una benda rigida e stretta, parlino di sofferenza vissuta in silenzio, di dolore a cui non si può dare ascolto.

Con sempre maggiore frequenza li avevo visti arrivare, lentamente percorrere la grande navata e a fatica guadagnare il banco di fronte all’altare.

Durante la celebrazione eucaristica quell’uomo rimane in piedi, mentre l’inginocchiatoio sostiene la gamba malata distesa e appoggiata sulla parte imbottita del banco.

Alle mani, l'uomo, affida tutto il peso del corpo, distribuito sulla stampella e sul banco al quale si aggrappa per non cadere.

Ma al Padre nostro, questa mattina, hanno lasciato i loro puntelli e si sono levate con forza, rimanendo sospese nell’aria per tutto il tempo della preghiera, sollevandolo in altra atmosfera, staccando i suoi piedi da terra, mentre l’inutile sostegno cadeva.


Altre mani dovevano catturare il mio sguardo, attirandolo nelle meraviglie nascoste agli occhi che non sanno vedere.

Erano mani nodose, distorte dalle troppe fatiche e dagli anni, aggrappate ad un rosario di plastica bianca, con il filo annerito.

Erano quelle di una donna su cui lo sguardo passa veloce per non venire turbato dallo scempio del tempo passato a servire.

Piccola, tozza, gli occhi fuori della sede consueta, i capelli scoloriti, sfibrati dalle troppe tinture improvvisate nei lavandini di casa, un ridicolo codino di bimbo, le gambe viola per le troppe varici, i piedi infilati in trasparenti zoccoli rossi, una catenina attorno alla caviglia ingrossata...

Troppo per non essere distolta dalla preghiera.

Con il viso stravolto, il corpo contorto in una smorfia di dolore profondo, la donna mi chiese qualcosa che non ricordo, forse il foglio dei canti con i quali il coro accompagnava le parole e i gesti del sacerdote.

Non mi sembrò una mancanza prestarle ascolto, visto che non riusciva a frenare il suo pianto, mentre mi parlava del suo essere sola, della disperazione di una vita passata nella prova continua.

Mentre la consolavo, dicendole che non si è soli, se si ha Chi pregare, non lasciò neanche un momento il rosario intrecciato in mezzo alle dita.

Non si era accorta, che chi prega non può essere solo, altrimenti il suo gesto sarebbe insensato.

Quando glielo avevo fatto notare, mi aveva guardato stupita, ma grata perché non ci aveva pensato.

Man mano che la celebrazione eucaristica procedeva verso il suo culmine, e i canti che l’accompagnavano diventavano sempre più intensi, la sua voce da flebile divenne potente, mentre le mani stringevano sempre più forte il rosario,  mani che, a messa finita,avevano ancora tante cose da dirmi, mentre riconoscenti mi salutavano.


Le mani di Anna Maria sono mani di persona a cui non è stato concesso di crescere, perché idrocefala, mani piccole, ben fatte, bianche, lisce, minute.

Il calore di quelle mani scaldano i cuori ogni giorno, quando arriva il momento di dare la pace, durante la Messa, perché senti che quel gesto è veramente genuino e sincero.

Anna Maria è benedizione di Dio che attraverso le sue mani, ci stringe, ci abbraccia e ci scalda quando entriamo e usciamo dalla Sua chiesa.


Guardo ora le mie, le mani con cui ho costruito la casa del mondo.

Sono gonfie, deformate, lì dove l’articolazione è importante per prendere, afferrare,   stringere forte, tenere serrate le tante troppe cose che non volevo lasciarmi sfuggire.

Mentre scrivo, aspettando il mio turno, le osservo.

Perché la penna non scivoli via, perché scorra lasciando il suo segno, perché la fatica non sia troppa, basta non premere forte, basta non stringere lo strumento di questo pensiero che nasce, che è nato,che vuole esplodere e raggiungere un altro cuore che non si è accorto a che servono le mani, specie quelle malate.

Che le mani servissero per vivere l’ho sempre pensato e creduto,

Con esse ho costruito i miei idoli, le mie certezze, con esse ho percorso il tempo del silenzio, dell’attesa, della paura, della rabbia, dell’impotenza, facendole muovere in modo instancabile, quando la malattia mi costringeva a fermarmi.

Ora sono andate in pensione, le mie mani che non hanno conosciuto riposo per scialli, pupazzi, vestiti, coperte, borse e tutto ciò che da esse facevo spuntare.

Sono andate in pensione per correggere errori che non mi competono, in compiti in classe per alunni che non ci sono.

Sono mani, le mie, non più in grado di stringere neanche quella di un fratello per dargli la pace.

Sono mani malate, soffrono anche quando sono ferme, perché l’uso che ne ho fatto è stato veramente eccessivo.

Le guardo, disadorne, dolenti. Alle dita: la fede e un crocifisso attaccato ad un anello..

E pensare che mai avrei immaginato di poterlo indossare quando me lo regalarono in cambio di un favore che avevo fatto di cuore… e che non sarei mai riuscita a disfarmene chi l’avrebbe mai detto?

E tutti gli anelli preziosi che non bastavano a coprire le dita, dove sono andati a finire?     

Con queste mani oggi scrivo, a volte mordendomi il labbro per continuare a parlare con Te e di Te Signore.

Queste mani hanno smesso di fare ciò che un tempo ritenevo importante.

Queste mani hanno imparato a pregare e continuano a farlo ogni volta che Tu glielo concedi. 

Ora nelle mie mani e in quelle degli altri vedo Te, Signore, che ti manifesti.

23 maggio 2000

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